Settembre 2001

L’EUROPA UTILE - 3

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Quali confini
Mario Pinzauti  
 
 

 

 

 

Con poche
eccezioni i fatti
hanno dimostrato
e dimostrano
che, anche
economicamente, l’Europa conviene.

 

Ma davvero l’Europa conviene? E’, questa, una domanda che ogni tanto ritorna. Non a proposito dei risultati politici del processo d’integrazione europea, da tutti dati per positivi: ma per quelli economici.
Si cominciò a porre l’interrogativo quando, nel ‘58, con l’entrata in vigore dei Trattati di Roma e la nascita del Mercato Comune, caddero le prime frontiere commerciali. Avvenne di nuovo parecchie volte in seguito. Avviene di nuovo ora mentre si avvicina il momento in cui l’Unione Europea sarà più ampia (i primi ingressi dei 13 Paesi candidati potrebbero esserci già nel 2003) e mentre ai molti entusiasmi politici si affiancano, da parte di alcuni, forti preoccupazioni economiche. Tra coloro che già fanno parte dell’Unione c’è infatti chi – ad esempio la Spagna – teme di dover pagare con pesanti rinunce e sacrifici il consistente soccorso economico che ci si è impegnati a dare ai Paesi candidati in maggiori difficoltà, ad esempio la Bulgaria, che ha un prodotto interno lordo pro capite pari al 23 per cento di quello medio dell’Europa comunitaria.
La Spagna, per l’esattezza, ritiene che gli aiuti ai candidati più poveri rendano indispensabili tagli ai cosiddetti “fondi di coesione” grazie ai quali ha fatto letteralmente correre la sua economia e pensa di poter continuare a farlo sempre che nel prossimo futuro il previsto, considerevole afflusso di soldi europei a favore di Madrid (80 mila miliardi tra il 2001 e il 2006!) non si fermi o non si riduca.
La domanda sulla convenienza economica dell’Europa – nel nostro caso e in tanti altri ispirata da grandi e piccoli egoismi – è dunque vecchia come il processo di integrazione, ha cioè quarantatré anni. Altrettanto vecchia è però la risposta. Finora è sempre stata un convinto sì. E crediamo che lo sarà anche in avvenire. Questo perché con poche eccezioni (come alcuni sprechi dei primi anni della politica agricola comune e un limitato numero di “spese facili” che il Parlamento Europeo imputò nel ‘99 alla Commissione presieduta da Jacques Santer, costringendola a dimettersi) i fatti hanno dimostrato e dimostrano che, anche economicamente, l’Europa conviene.

Lo si è visto con i risultati del Mercato Comune, del Mercato Unico, perfino della prima fase dell’euro (che nonostante la gara non sempre vittoriosa con il dollaro ha favorito l’avanzata economica dell’Unione e ha dato stabilità alle monete dei singoli Stati). Altre conferme sono venute e vengono dal successo di tante grandi e piccole iniziative dell’Europa utile di cui abbiamo parlato in nostri precedenti articoli, raccontandovi, tra l’altro, quanto l’Unione fa per aiutare le aziende interessate alle esportazioni e per tutelare i consumatori. Fa parte delle prove della convenienza dell’Europa lo stesso caso della Spagna, Paese che, grazie agli investimenti europei, ha dato smalto e vigore alla propria economia. E tanto più perché questo caso, nel suo genere, non è isolato.
L’Irlanda quando entrò nell’Europa comunitaria, nel 1973, aveva un prodotto interno lordo pro capite di poco superiore alla metà (esattamente il 58,8 per cento) di quello medio comunitario. Oggi, ventotto anni dopo, ha raggiunto e superato – di ben l’11 per cento! – il tetto della media comunitaria. E’ stato un miracolo economico reso possibile grazie ai fondi di coesione (concessi dall’Europa, lo ricordiamo, ai Paesi che hanno un prodotto interno lordo pro capite inferiore al 75 per cento di quello medio comunitario).
Ed è stata un’altra conferma di quanto l’integrazione europea, anche sul terreno economico, possa convenire: come in un opuscolo – non a caso stampato e diffuso proprio mentre si discute sui costi dell’ampliamento dell’Unione – ha voluto sottolineare il movimento europeo irlandese.
Una precisazione: in questo come in tutti gli altri casi la convenienza dell’Europa non era e non è scontata in partenza. Occorreva e occorre sapersela guadagnare. Come? Semplicemente utilizzando al meglio e al massimo i mezzi offerti dall’Unione Europea.

Irlanda e Spagna lo hanno fatto: ed ecco come si spiegano i grandi, esemplari progressi delle economie di questi due Paesi. Lo stanno facendo anche le amministrazioni locali, i medi e piccoli imprenditori, i cittadini delle zone di montagna di buona parte d’Europa, rendendo possibile un altro miracolo economico non meno importante di quello di cui stanno beneficiando l’Irlanda e la Spagna. E’ grazie a questo miracolo che la montagna d’Europa sta passando dalla crisi a un inizio di prosperità.
Il 30 per cento circa del territorio dell’Unione Europea è costituito da montagne: che vanno dalle Alpi agli Appennini, ai Pirenei, alle Highlands scozzesi, all’Isola di Creta e così via. In alcuni dei Paesi dell’Europa comunitaria (Italia, Austria, Spagna, Portogallo, Grecia) metà della superficie è coperta da zone montuose. Queste zone, nel complesso dell’Unione, ospitano la metà dei parchi naturali. Sono abitate da 30 milioni di persone, cioè da circa un decimo dell’intera popolazione dei 15 paesi dell’Europa comunitaria. Questi dati dicono che la montagna ha ricevuto dalla natura il diritto ad avere un ruolo importante nella realtà europea. Altri dati dicono però che questo ruolo rischiava di cessare di esistere.
Fino a tempi recenti la montagna d’Europa si stava spopolando, l’agricoltura e l’allevamento del bestiame davano redditi sempre meno proporzionali alla durezza di un lavoro ad alta quota e in condizioni climatiche spesso inclementi, mentre la scarsità e lo stato sia delle strade che dell’attrezzatura alberghiera rendevano poco redditizio anche il turismo.
Ma ecco il soccorso europeo sostenuto e integrato dall’impegno popolare. Il corso delle cose ha preso a cambiare. La montagna ha cominciato ad avere un suo ruolo, non solo in natura ma anche in economia.
Vediamo come sta avvenendo. Attingendo alle casse del FEAOG (il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia, cioè la “banca” della Politica Agricola Comune), ai mezzi messi a disposizione del programma “Leader” (destinato allo sviluppo delle zone svantaggiate dell’Unione) e ad altre iniziative europee sono stati offerti ad allevatori e agricoltori “importi compensativi”. Variano da 100 a 200 euro per ettaro (un euro, lo ricordiamo, è pari a 1.936,27 lire) e costituiscono una sorta di rimborso – anche se solo parziale – per le fatiche e i magri redditi di chi coltiva la terra su terreni ripidi dov’è impossibile ricorrere alla meccanizzazione e dove le frequenti gelate rendono precari i raccolti. Con analoghi importi si sono incoraggiati gli allevatori di bestiame a continuare la loro attività.
Non è tutto. Grazie ai progetti europei, in montagna ora si costruiscono strade, si favorisce la creazione di aziende agricole collegate con le catene di distribuzione, si rende possibile – per queste aziende – il ricorso sempre più frequente all’informatica, si incrementa il turismo. E’ un insieme di interventi che è senza precedenti. E che, per merito anche del lavoro e delle idee delle popolazioni montane, sta dando risultati notevoli, in alcuni casi imprevedibili fino a pochi anni fa.
Diamo uno sguardo a qualche esempio. Nella Stiria, regione dell’Austria ai confini della Slovenia, gli aiuti europei hanno permesso agli agricoltori di intensificare la produzione di fragole, ribes e lamponi. In pochi anni i terreni coltivati con questi frutti sono passati da 300 a 1.000 ettari. Ricorrendo ad agronomi – che prima non potevano permettersi – gli agricoltori hanno difeso i raccolti dai parassiti. Adottando confezioni ecologiche – su cui spicca un’invogliante etichetta “Comprate frutti maturati sulla pianta, non sui camion o nei magazzini” – hanno notevolmente incrementato le vendite. Oggi le fragole, i lamponi e i ribes della Stiria sono apprezzati in tutta l’Austria.
Nel Trentino, a Flavon e nelle Valli di Cembra e di Non, i soldi europei sono stati spesi per migliorare (con la costruzione di bacini artificiali e di riserve idriche) i sistemi di irrigazione. Risultato: è aumentata la quantità e la qualità della produzione di mele, di uva, di vino.

Prima dell’arrivo del soccorso europeo Kinlochleven, paesino delle Highlands scozzesi, sembrava economicamente finito. Aveva appena chiuso la fonderia locale che da 200 anni era, per gli abitanti, la principale fonte di lavoro e di reddito. Sembrava non ci fossero alternative tra la miseria nera e la fuga verso zone più prospere della Gran Bretagna. I soldi dell’Europa e la fantasia di un certo numero di cittadini hanno reso possibile una terza soluzione. Sono state create nuove, piccole imprese e si è scoperto che Kinlochleven ha attrattive turistiche che era ora di pubblicizzare e sfruttare. E’ stato aperto un albergo, è stato creato un centro per lo studio della montagna, tutto il paesino – che ha parecchi edifici di interesse storico e architettonico – è stato rimesso a lucido. I turisti hanno preso ad arrivare. E Kinlochleven ha ritrovato la sua tranquillità economica: come ai tempi della fonderia, anche meglio.
La fantasia e la tenacia dei cittadini, oltre agli aiuti europei, hanno dato tranquillità economica anche a Funasdalen, paese della provincia di Harjedalen, in Svezia. Il piccolo centro è posto in una zona dove il gelo è di casa per gran parte dell’anno ma dove, da sempre, si tramandano le tradizioni contadine dei “sami”, cioè dei lapponi. Quando i soldi dell’Europa sono arrivati gli abitanti di Funasdalen si sono chiesti: perché non utilizzarli per aprire un museo dedicato appunto a una cultura, quella dei lapponi, che è poco conosciuta nel mondo e nella stessa Svezia? Detto e fatto. Il museo è stato aperto. Ora, ogni anno, ha 100 mila visitatori e all’economia del paesino svedese è garantita una bella cura ricostituente. E’ lo stesso risultato che contano di raggiungere, con un’idea diversa ma sempre con gli aiuti europei, gli abitanti di alcuni centri che sorgono sui fianchi delle Alpi meridionali francesi. Sugli aridi terreni di questa zona cresce e prospera la lavanda. E crescerà e prospererà sempre di più grazie al soccorso dell’Unione: che permetterà di portare da 2.500 a 4.000 ettari le superfici coltivate. Non è tutto. Come i discendenti dei “sami” (lapponi) di Funasdalen anche gli abitanti delle Alpi meridionali francesi pensano al turismo. Progettano tra l’altro di proporre ai visitatori un profumato percorso attraverso “la via della lavanda”, con soste in “un giardino dell’aroma” a Nyers e al museo (naturalmente della lavanda) di Coustellet.
La somma ottenuta aggiungendo agli aiuti europei le idee e il lavoro degli abitanti della montagna ha dato tanti altri risultati. Vediamone ancora qualcuno prima di concludere il nostro viaggio nelle trasformazioni in corso nell’economia delle zone montuose dell’Unione.
Con i soldi dell’Unione oggi a Umhausen, paesino delle Alpi Tirolesi, opera un “telecentro” in cui trecento persone seguono programmi di formazione che permettono l’uso della tecnologia informatica nella gestione delle aziende agricole e in attività connesse (come la vendita dei prodotti). Con i soldi dell’Unione a Bernia (regione di Valencia, Spagna), sono al lavoro 60 giovani che, dopo un periodo di tirocinio professionale, stanno provvedendo alla riforestazione di zone devastate da incendi e dalla siccità. Con i soldi dell’Unione nella valle del Molital, sotto il ghiacciaio omonimo, in Austria, i montanari hanno pensato e realizzato “case ecologiche” fatte di legno e carta riciclata, illuminate e riscaldate con energia rinnovabile. La novità ha avuto successo: e non solo localmente. Ora le “case ecologiche” sono richieste in tutta l’Austria. Con i soldi dell’Unione infine è nata una promettente collaborazione tra due zone alpine – quelle di Cadore nel Bellunese e del Parco dell’Alto Giura, in Francia – che da decenni, attraverso una serie di piccole industrie, forniscono occhiali a tutto il mondo. Incoraggiati e aiutati dal programma europeo “Leader”, Cadore e l’Alto Giura realizzeranno insieme una mostra-museo itinerante sulla storia degli occhiali e organizzeranno corsi di formazione che daranno un lavoro altamente specializzato e – si ritiene – anche ben pagato a un buon numero di giovani disoccupati italiani e francesi.

   
   
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