Si tratta
di qualcosa
che dovremo fare con fredda calma, con attenzione,
ma in modo
inesorabile.
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Gli europei dovrebbero fare due cose. La prima è, ovviamente,
stare al fianco dellAmerica, cosa che di fatto avviene e che
noi apprezziamo; ma cè una seconda, che è molto
importante: abbiamo bisogno di sviluppare una strategia comune,
una strategia di prevenzione contro gruppi come quelli che hanno
agito l11 settembre. Non possiamo semplicemente lasciarli
in giro, fino al momento in cui fanno qualcosa, e poi metterci a
cercare solo quelli che hanno materialmente compiuto gli attentati,
mentre tutti gli altri, che stanno intorno a costoro, se ne restano
al riparo.
Per il momento, dobbiamo essere noi americani a colpire. Questo
è un problema americano. Ma il passo che vien dopo, il problema
successivo, è la prevenzione. In questo ambito, lEuropa
dovrebbe agire insieme con noi, in unazione coordinata.
Fino a questo momento la nostra risposta agli attacchi è
stata, comprensibilmente, di compiere azioni di punizione che dovevano
dare limpressione di saldare il conto, mentre si cercavano
i reali autori degli attacchi. Quel che è successo a New
York e a Washington, tuttavia, è stato un attacco sul territorio
degli Stati Uniti, una minaccia al nostro modo di vivere sociale
e alla nostra stessa esistenza come società libera. Di conseguenza,
bisogna fare i conti con tutto questo in modo differente, con un
attacco diretto al sistema che produce gli attacchi. La risposta
immediata è stata il ritorno alla normalità. Ma il
governo americano deve farsi carico di una risposta sistematica
che, nella nostra speranza, finisca allo stesso modo in cui finì
lattacco a Pearl Harbor: cioè con la distruzione dellapparato
che se ne era reso responsabile. Si tratta di un apparato a
rete, di un network di organizzazioni terroristiche che trovano
riparo nelle capitali di alcuni Paesi. In molti casi non ci preoccupiamo
di far pagare a questi Paesi la responsabilità di dare rifugio
alle organizzazioni terroristiche; in altri casi, addirittura, manteniamo
rapporti con loro quasi normali.
Se, qualche tempo prima dellattentato, mi fosse stato chiesto
se un attacco coordinato sul tipo di quello che è stato realizzato
potesse essere possibile, avrei detto probabilmente di no, come
chiunque altro. In effetti, nessuna delle mie osservazioni sulla
nostra impreparazione va letta come una critica a qualcuno. Tuttavia,
quello che mi preme sottolineare è che ci siamo preoccupati
delle minacce terroristiche come se ci stessimo confrontando con
operazioni di polizia. Ora ci rendiamo conto che dobbiamo farvi
fronte in un modo completamente diverso.
Bisogna aver cura di far sì che lazione di ritorsione
non sia affatto latto conclusivo e nemmeno la parte principale
del processo di risposta allattacco. La parte più importante
deve essere invece la dispersione dellapparato, del sistema
terroristico, come lo intendo, e cioè quelle parti del sistema
che sono organizzate su base globale e che possono operare con mezzi
sincronizzati.
Riassumendo. Qualsiasi governo che offra rifugio a gruppi capaci
di attacchi del tipo di quello che ci ha colpito dovrà pagare
un prezzo esorbitante. La questione non è tanto il tipo di
risposta che saremo in grado di dare prima o poi. Si tratta di qualcosa
che dovremo fare con fredda calma, con attenzione, ma in modo inesorabile.
Poiché ne va della nostra stessa sicurezza, in ogni caso
la risposta non può essere resa dipendente dal consenso.
Benché sia una tale questione che gli Stati Uniti e i suoi
alleati devono trovare mezzi cooperativi di resistenza che non si
accontentino solamente del minimo comun denominatore.
Tra guerre sante e codici donore
Sebbene sia comunemente tradotta come guerra santa,
la parola araba jihad (che è di genere maschile)
significa più propriamente lotta santa, (gli
studenti islamici, con una punta di sarcasmo, fanno notare che il
concetto di guerra santa venne coniato in Europa ai
tempi delle Crociate).
Il significato religioso del termine, mutuato dal Corano, è
duplice: da un lato fa riferimento al concetto di lotta per il bene
comune, dallaltro allude alla battaglia interiore contro le
tentazioni e i peccati. Le due accezioni sono sintetizzate da un
detto di Maometto che, tornando da una campagna militare, disse
ai seguaci: «Oggi siamo tornati dalla jihad minore per intraprendere
quella maggiore». Cioè, appunto, dalla battaglia sul
campo a quella spirituale.
Si chiama Pashtunwali (La via dei Pashtun) lantico
codice non scritto dellomonima etnia afghana e pakistana che
prescrive, fra gli altri doveri, anche quello di non rifiutare lospitalità
a chi ne fa richiesta (fosse pure un criminale). A questo principio
si appellano i talebani in ogni circostanza che sia loro utile.
Oltre allospitalità, il codice prescrive anche la necessità
di difendere lonore a tutti i costi (anche con lomicidio).
A differenza del codice pashtun, lIslam non prevede che si
debba dare ospitalità a chi ha commesso un crimine. Ma per
i talebani (che sono pashtun da cinquemila anni e musulmani da mille
e quattrocento) il codice donore è persino più
vincolante dellIslam.
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Le recessioni non si fanno e non si disfano con una catastrofe
di questo tipo.
Una delle conseguenze dellattacco potrebbe essere che questa
nuova recessione sarà più lunga di quello che avrebbe
potuto essere.
Dagli orrendi eventi del settembre nero americano non ci sarà
un impatto negativo profondo, irreparabile, sulleconomia,
almeno nel medio periodo.
Non vedo un pericolo di recessione globale, in America potremo
avere qualche trimestre di pausa, ma non esiste il rischio di una
grave contrazione planetaria.
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Parola di Nobel
Samuelson Turow Friedman Backer
Modigliani
Di fronte a questa immane tragedia gli Stati Uniti avranno un momento
di sbandamento, ma non prevedo conseguenze significative sul lungo
termine. Certamente, nei primi tempi gli americani tenderanno a
viaggiare di meno, magari a evitare le grandi città. E
probabile che i più prudenti si ritirino dalla Borsa per
collocare il proprio gruzzolo in beni rifugio, come i contanti o
i buoni del Tesoro. Ma in una prospettiva più ampia è
raro che disastri del genere abbiano conseguenze estreme sulleconomia.
Basta guardare alla storia: persino lattacco di Pearl Harbor
o il terremoto di San Francisco hanno causato soltanto sbandamenti
momentanei, durati al massimo qualche settimana.
Naturalmente, la devastazione del quartiere degli affari di Manhattan
rallenterà lattività finanziaria per qualche
tempo. Ma questo non ha nulla a che vedere con gli effetti a livello
macroeconomico. Le recessioni non si fanno e non si disfano con
una catastrofe di questo tipo. La portata delle conseguenze, però,
dipenderà dalla risposta delle autorità federali.
E probabile che la Fed allenti ancora la leva dei tassi per
evitare linevitabile impatto su Wall Street. Roger Ferguson,
vicepresidente della Fed, ha già annunciato lapertura
di uno sportello di emergenza per rifornire di denaro contante le
banche ed evitare una crisi di liquidità. Anche Wim Duisenberg
è stato pronto a sostenere i mercati. La tragedia porterà
Bush ad ulteriori tagli fiscali, e non escluderei lavvio di
maggiori investimenti in campo militare. Di solito, in caso di guerra,
la macchina economica accelera piuttosto che rallentare. Dopo Pearl
Harbor, Wall Street è crollata, ma è rimbalzata subito,
non appena lAmerica si è riavuta dalla sorpresa e ha
formulato la sua risposta.
Non temo neanche una fuga di massa dal dollaro. In definitiva, gli
Stati Uniti continuano ad essere il luogo più sicuro del
mondo per collocare i propri investimenti. LEuropa presenta
rischi del tutto analoghi, se non superiori.
Paul Samuelson
Leconomia americana
è un colosso che produce ogni anno 10 mila miliardi di dollari.
Qualsiasi caduta possa ancora verificarsi in Borsa nei prossimi
mesi e io non credo che sarà spaventosa resisterà
allurto. Non è il bis del 29, quando Wall Street,
crollando, trascinò leconomia con sé. E nemmeno
il bis dell87, quando lindice Dow Jones perse oltre
il 22 per cento in due sedute. Osama bin Laden può distruggere
il World Trade Center, ma non lAmerica degli affari.
La Grande Depressione del 29 fu dovuta non alla Borsa, ma
alle banche: i depositi non erano protetti dallo Stato e sfumarono.
Oggi sono protetti, e non sfumeranno. Inoltre, il governatore della
Federal Reserve, Alan Greenspan, fa quello che allora il governo
non fece: immettere liquidità nel sistema. In questo modo,
prima o poi, la Borsa si riprenderà.
E per quel che riguarda il 1987, non cè alcun collegamento.
Allora tutti gli indici erano sopravvalutati. Con lattacco
ai simboli americani, la caduta era inevitabile, settori-chiave
come i trasporti aerei sono stati messi ko dagli attentati. Ma la
maggioranza dei settori è sana, intatta. Se temo una recessione,
dunque, è perché avremo dei costi imprevisti molto
alti, i costi della sicurezza per prevenire altri attentati, i costi
della guerra dichiarata da Bush ai terroristi.
In particolare: il fatto che abbiamo investimenti di 200 miliardi
di dollari allestero, con un deficit commerciale di 450 miliardi
di dollari, non può non preoccuparmi. Per supplirvi, occorrerebbe
che gli altri Paesi investissero 650 miliardi lanno da noi.
Dubito che lo faranno, a causa del terrorismo: la loro fiducia nella
nostra invulnerabilità si è incrinata seriamente.
La recessione in America, daltro canto, potrebbe generare
una recessione globale. Secondo i miei calcoli, verrebbero persi
circa 20 milioni di posti di lavoro, soprattutto in Asia. E
urgente che i governi e le Banche centrali coordinino i loro interventi
per impedirlo. Il 2002 si preannuncia un anno problematico, non
di rilancio, anche se si tratta di problemi risolvibili. Le autorità
politiche e finanziarie devono fare del loro meglio per restituire
la fiducia ai consumatori. In questo contesto, lEuropa ha
un ruolo cruciale. Deve resistere, perché anche il Giappone
è in grossi guai.
Lester Turow
In circostanze simili,
è noto che i mercati reagiscono in maniera eccessiva. Non
mi ha sorpreso il calo, dopo la sosta senza precedenti, di Wall
Street. Né sarò sorpreso se continuerà, accentuandosi,
prossimamente. Quando la Borsa si accorgerà di essere scesa
troppo, non dubito che tornerà a salire.
Mettiamo dunque da parte le emozioni, e osserviamo i fatti come
sono. Leconomia degli Stati Uniti vale 10 mila miliardi di
dollari, mentre i danni arrecati dallattacco terrorista a
New York ammontano a un massimo di 20 miliardi di dollari, forse
30. Leconomia nel suo complesso è stata solo scalfita
dal terrorismo. La gente che vive a Manhattan ha pagato un prezzo
terribile, ma se teniamo presente il quadro complessivo delleconomia
nazionale, gli Stati Uniti restano molto, molto forti, con una capacità
di produzione davvero impressionante. Lattacco terrorista
ha toccato i sentimenti dellAmerica e degli americani, ma
non lha colpita in profondità.
Detto questo, chiariamo subito una cosa. In recessione ci siamo
già. Ma questo non significa che sarà molto lunga
o particolarmente dura. Ma una delle conseguenze dellattacco
alle Twin Towers e al Pentagono potrebbe essere che questa nuova
recessione sarà più lunga di quello che avrebbe potuto
essere.
Io sono stato sempre scettico sugli effetti delle riduzioni fiscali,
mentre la politica monetaria della Federal Reserve funzionerà
come ha funzionato in passato. Nellattuale situazione, tuttavia,
né lAmministrazione né la Fed possono fare molto
contro la recessione. Nella recessione ci siamo dentro da parecchio
tempo, ma molti hanno fatto finta di non vedere. I numeri della
crescita nazionale parlano chiaramente, mentre la fiducia dei consumatori
continua a scendere. Questa recessione ha qualche cosa in comune
con quella americana del 29 e con quella giapponese dell89:
scende il mercato, scendono i profitti. Lobiettivo da porsi
è solo quanto durerà. E io dico che durerà
non troppo tempo. Ne sono sicuro, perché oggi una recessione
non può durare più di un anno, un anno e mezzo al
massimo. Noi avevamo anticipato linizio della ripresa per
settembre 2001. Ora le previsioni dovranno essere riviste. Leconomia
ripartirà certamente più avanti, durante il 2002.
Milton Friedman
Il danno principale
resta quello sul piano umano. Non potremo recuperare migliaia di
vite. Ma, se debbo fare un pronostico, alla fine credo che dagli
orrendi eventi del settembre nero americano non ci sarà un
impatto negativo profondo, irreparabile, sulleconomia, almeno
nel medio periodo. Ne sono abbastanza sicuro, intanto, perché
ce lo dice la storia. Quando ci si trova di fronte a un disastro
di proporzioni inimmaginabili come quello causato dai terroristi
musulmani, la forza di rimettersi in piedi accelera i tempi della
ricostruzione, o comunque della ripresa di una certa normalità.
Penso, ad esempio, al tremendo terremoto d Kobe, in Giappone: la
situazione si è ristabilita prima delle aspettative, sotto
ogni punto di vista. E in tali casi, anche il patriottismo gioca
un ruolo importante. Stringersi insieme durante una crisi può
essere decisivo per la stessa sopravvivenza del mercato. E questo
è successo. Ma credo anche che gli investitori abbiano espresso
un voto di fiducia proprio sul futuro delleconomia del Paese.
La perdita in Borsa non è stata una forte perdita in termini
storici. Viste le circostanze, ha una connotazione fisiologica.
Pertanto, io credo che il messaggio che ci è giunto dal mercato
sia un messaggio di solidità. Si è avuto il tempo
per osservare landamento congiunturale precedente allattacco,
si conoscevano bene i problemi di debolezza delleconomia,
ma si conoscevano bene anche i rimedi già messi in atto dalla
Banca centrale e dallamministrazione. I pronostici erano per
una ripresa del tasso di crescita già attorno alla fine dellanno.
Ebbene, secondo me questo scenario potrà richiedere qualche
mese in più, ma alla fine si verificherà. Magari intorno
al primo trimestre del 2002. E credo che le cose si metteranno in
moto senza bisogno di ricorrere a misure straordinarie. Allora:
aumentiamo il bilancio per le cose essenziali, ma riduciamo le spese
in altri settori. Non dobbiamo usare questa situazione per dimenticare
il rigore, la serietà, o per tornare alle finanze allegre
dei tempi passati. Quello, sì, produrrebbe un danno alleconomia.
Gary Backer
Non vedo un pericolo
di recessione globale. In America, potremo avere qualche trimestre
di pausa. Ma il rischio di una grave contrazione planetaria non
esiste. A meno che lEuropa non sbagli, cioè non torni
a rialzare i tassi dinteresse. Ma non credo che la Banca centrale
europea manchi di senso comune al punto da farlo in un periodo di
rallentamento. Dipenderà anche da che tipo di guerra condurrà
il presidente Bush.
Analogie col 29? In realtà, non ve nè
alcuna. La crisi del 29 incominciò come un ciclo economico
del tipo che tende a ripetersi. Divenne una tragedia in seguito
agli errori fondamentali della Banca centrale: invece di aumentare
la liquidità e aiutare il mercato a riprendersi, lasciò
che la massa monetaria si riducesse in maniera incredibile. La dimezzò,
provocando unenorme caduta degli investimenti, delloccupazione
e dei consumi. Il reddito scese del 40 per cento fino al 32.
Lo si poteva evitare facilmente.
Oggi è inconcepibile che possa ripetersi quellepisodio,
perché siamo estremamente coscienti dellimportanza
della politica monetaria. Grazie a Keynes, sappiamo come reagire
a una crisi e come rovesciarla rapidamente. Lo ha dimostrato la
Fed, continuando a ribassare i tassi dinteresse. Negli anni
Trenta la recessione si estese nel mondo attraverso le politiche
restrittive dei commerci. Il protezionismo peggiorò la crisi.
Ugualmente, non cè alcuna somiglianza con la crisi
della Borsa dell87. Allora, a Wall Street scoppiò la
bolla speculativa. Fu un ritorno alla ragione. Il mercato era esageratamente
elevato. Si verificò una fuga dai titoli. Lavevo previsto,
anzi ci guadagnai perché vendetti, per così dire,
allo scoperto prima della caduta. Quella bomba è esplosa
gli anni scorsi al Nasdaq, come del resto avevo predetto.
Nella condotta della Borsa e nella pausa economica che è
seguita allattentato, cè una componente razionale:
i trasporti aerei e le assicurazioni devono coprire grosse perdite.
Ma il mercato le sta sottovalutando. Bush sta adottando misure per
soccorrerle. Il Paese non può vivere senza trasporti aerei
e assicurazioni. Però, le esperienze belliche generano espansione.
Lesempio più grandioso fu quello dellAmerica
nel 41. Dopo lentrata in guerra, lAmerica crebbe
fino al 44-45 con enorme rapidità. Ma è
un fenomeno irripetibile. La guerra produce domanda addizionale.
Leffetto è inflazione o espansione, a seconda che ci
siano o no disoccupati. Nel 41 ce nerano ancora molti,
in seguito alla Grande Depressione. Oggi questa espansione è
da escludere, perché i disoccupati sono pochi. E probabile
una fase di contrazione a breve termine, in cui il Pil scenderà.
Ma la tendenza a lungo termine è di espansione.
Oltre tutto, è importante considerare la condizione economica
americana prima della strage. Cera un rallentamento più
o meno serio. Ma la sua serietà dipenderà dalle reazioni
degli altri Paesi, soprattutto dellUnione europea. La Banca
centrale europea ha continuato a tenere alta la disoccupazione con
la scusa dellinflazione. Non ne aveva alcuna prova: le tensioni
inflazionistiche dellanno scorso erano dovute non alla domanda,
ma al petrolio. Occorre che continui a ribassare i tassi. Il rallentamento
americano deve essere risolto da un aumento delle esportazioni nette,
in parte verso lEuropa. LAmerica è già
grandemente indebolita. Il suo debito la espone a rischi. E
concepibile una fuga di capitali dagli Stati Uniti, nel senso che
il mondo è pieno di titoli americani. La gente può
allarmarsi e cercare di disfarsene. E molto importante che
lEuropa e il resto del mondo attuino politiche espansioniste
per aiutare gli investimenti e loccupazione, e per aumentare
le esportazioni nette americane.
Franco Modigliani
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