Il mondo islamico, dunque, quello arabo in particolare,
è alla ricerca di quel tempo perduto, anche a costo di fare
le prove generali dellapocalisse.
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Chiuso il secolo breve, quel 1900 aperto dalla prima
guerra mondiale e chiuso dalla caduta simultanea del Muro di Berlino
e del comunismo, e giubilato il secondo millennio, la nuova età
è emersa l11 settembre con due immagini che resteranno
come marchiate a fuoco nel non breve brogliaccio della nostra memoria
storica: quella dellaereo che, col suo carico umano, virando
di novanta gradi, andava a conficcarsi nella seconda delle Torri
Gemelle, facendola poi implodere; e quella dello straccio bianco
agitato da una donna, condannata a morte per non aver commesso alcun
fatto. Speculari, la barbarie terrorista e la disperazione umana,
lapocalisse che vuole annientare le radici della vita e il
grido che reclama la continuità della vita.
Chi ha progettato, organizzato, eseguito loltraggio, aveva
in mente una scena finale della storia in cui la divinità
si rivela, in forma di onnipotenza umana o di suprema trascendenza,
per officiare lUltimo Atto di Giudizio (e di Giustizia), celebrando
nel contempo lepifania di una Potenza espressa con il suicidio
come suprema estasi sacrificale, gratificata dalla conquista eroica
del paradiso celeste.
Il primo nemico dellOccidente, dunque, è il nichilismo,
i cui desideri finali confluiscono nellannientamento di una
civiltà dalla quale si sente umiliato e che gli sta di fronte
con la forza della sua ricchezza prodotta dal lavoro (e non da ununica
materia prima, il petrolio), dal suo progresso tecnico e tecnologico
(raggiunto con rivoluzioni industriali alle quali lIslam non
ha mai partecipato creativamente), dal suo avanzamento economico
e sociale (innestato sullasse dellequilibrio fra doveri
e diritti, senza discriminazioni dell altra metà
del cielo), dal suo moderno contesto ideologico che separa
Chiesa e Stato (e non fa di un Libro la clava con cui colpire per
uccidere, al di qua e al di là del territorio religioso e
culturale in cui si manifesta e agisce).
Nella storia laica delle democrazie non cè spazio per
simili apocalissi, perché la trascendenza non può
rivelarsi nel tempo storico, nel presente vissuto, e perché
non ci può essere coincidenza tra il sacrificio del kamikaze
e il cielo delle Uri. Fedeli, non fosse altro che per puro senso
della decenza, alla società aperta, alle culture critiche
e a ideologie che non trasferiscono sulla terra paradisi o inferni,
le democrazie laiche recepiscono come un incubo quel che lintegralismo
musulmano coltiva come un sogno. Per questo la storia per noi non
finisce, ma continua, facendo tesoro di ricordi e vissuti, e stratificando
una memoria del presente che sia utile finché dura la vita
delluomo.
Dobbiamo tornare ad attingere ai classici dellOccidente: a
Tucidide, come a von Clausewitz, alle loro visioni lucide del male
e della guerra. Anche quando Napoleone sorprese lEuropa ci
fu uno stupore apocalittico, al modo di quello che emerse quando
le armate di Hitler sfidarono il mondo: tanto più presto,
perciò, allora occorse chiudere la parentesi e creare nuove
Sante Alleanze o Alleanze Occidentali. Più profetico dei
politici e più preveggente dei diplomatici coevi, von Clausewitz
sostenne: «Una volta abbattute le barriere del possibile,
che prima esistevano per così dire soltanto nellinconscio,
è estremamente difficile rialzarle». Manhattan ground
zero è lì a dimostrarlo.
Tale è la rivelazione del male, per le democrazie euro-americane.
E non cè nel male nulla di edificante per riordini
o rigenerazioni. Le democrazie occidentali moderne hanno una storia
ben più umile, fragile e ardua: ogni giorno devono fronteggiare
la malvagità di cui ha parlato Giovanni Paolo II: «Le
forze delle tenebre si sono impadronite del mondo [...]. Il cuore
delluomo è un abisso da cui emergono disegni di uninaudita
ferocia». Il male assoluto è prodotto dalle nostre
menti e dalle nostre mani, e a differenza del Bene supremo, non
è ultraterreno, ma si manifesta qui e ora, sofferto nella
sua immediatezza: questa è lunica apocalisse che ci
è dato di conoscere, ed è anche la ragione per cui
non è autentica apocalisse, ma unavversità concreta
contro la quale, si voglia oppure no, piaccia o meno, è necessario
lottare. Non si richiedono grandi svolte di pensiero (semmai si
richiede la caduta delle generali reticenze), soprattutto in unEuropa
che ha conosciuto città e case rase al suolo, ma la capacità
di tenersi fermi, senza deragliare, custodendo anche con le armi
il patrimonio accumulato nel corso dei secoli: patrimonio di tolleranza
ma non di cedimento alla forza; di civile commercio e non di traffici
illeciti devastanti, o di uso ricattatorio delle materie prime;
di conversazioni come libere espressioni del pensiero e non di monocultura
pietrificata, interpretata e imposta come diritto, come presunta
scienza politica, come ordinamento sociale, da ulema e da imam.
AllAmerica è stato inflitto «un oceano di dolore».
E necessario che «la cristianità trovi la strada
giusta per la propria sopravvivenza», perché gli attentati
a New York e a Washington dimostrano che questa oggi è seriamente
minacciata, come già un tempo, dallavanzare sempre
«più pericoloso e violento dellIslam».
Parola del cardinal Biffi. Parola chiara, anche se mediata da un
riferimento storico: quello della battaglia di Vienna, del 1683,
di cui il 12 settembre (il giorno successivo allattacco terrorista)
cadeva lanniversario.
Legame non immediato, si può obiettare. Ma evidente, per
chi conosca la storia. Quella fu infatti la battaglia nella quale
lallora capitale del cattolico Impero Austro-Ungarico fu liberata
dallassedio dei turchi e delle truppe speciali dei giannizzeri;
e proprio da quella vittoria partì (al modo dellimmediato
dopo-Lepanto navale, per luniverso mediterraneo e vicino-orientale)
la controffensiva delle Due Corone contro lImpero Ottomano
nellEuropa danubiana. In altre parole: è il corrispondente
nellepoca moderna di quel che fu per il Medio Evo la battaglia
di Poitiers del 732, quando Carlo Martello fermò lavanzata
degli arabi in Europa: in un caso e nellaltro, un momento
decisivo per far diga contro l ondata islamica,
che altrimenti avrebbe sommerso la cristianità. E che anche
oggi dimostra con evidenza crescente, nello scacchiere planetario,
la violenza insita nella feroce ideologia del jihad, sforzo
spirituale secondo filologia, ma guerra santa tout court
secondo linterpretazione strumentale dei capi religiosi delluniverso
assolutista musulmano.
«Amiamo la morte quanto voi amate la vita, per questo vinceremo.
La bandiera dellIslam trionferà». Larmamentario
dottrinale dei guerrieri di Allah è rudimentale e non conforme
al Corano, ma i signori del terrore non hanno problemi di arruolare
giovani che, mossi dai religiosi e dalle proprie frustrazioni (la
comunicazione multimediale servirà pure a qualcosa!), sono
pronti a trasformarsi in bombe umane. Fine supremo della loro scelta,
la creazione di un mondo che segua la sharia, la legge islamica.
Ma dietro queste quinte confessionali si celano il malcontento politico
e le difficoltà economico-sociali. E il rimpianto di un primato
perduto.
A ben vedere, gli integralisti (o essenzialisti, come
li definisce Popper) sono prodotti del cosiddetto Risveglio
islamico. Che ha una precisa data di nascita: il giugno del
1967, quando la sconfitta di Nasser nella Guerra dei Sei Giorni
travolse lideologia del riscatto arabo. Da quellestate
lontana e tragica, cominciò la ricerca confusa, violenta,
di un sistema che facesse ritrovare ai popoli islamici,
particolarmente del Vicino Oriente, il ruolo che avevano svolto
in un tempo molto antico, il tempo perduto, come lo
definivano Hassan al-Banna, il maestro elementare egiziano fondatore
dei Fratelli Musulmani, e il suo esegeta, Sayd Qutb, condannato
allergastolo da Nasser, e impiccato dopo dodici anni di carcere.
Il mondo islamico, dunque, quello arabo in particolare, è
alla ricerca di quel tempo perduto, anche a costo di fare le prove
generali dellapocalisse. E oggi, come già nella metà
del secolo XIX, quando nellarea mediterranea limperialismo
europeo era allacme, in seno al mondo musulmano si scontrano
due correnti di pensiero: una prospetta lurgenza di modernizzarsi,
laltra proclama la necessità di approfondire, per recuperarli,
i valori dellIslam. La prima ritiene che utilizzando gli strumenti
del progresso europeo e occidentale (il nazionalismo filosofico,
lo spirito scientifico, la tecnologia, lidea sovranazionale)
sia possibile venir fuori dalla palude del sottosviluppo culturale,
economico, politico. Per la seconda, lIslam ha in se stesso
tutti gli elementi che consentono di rispondere alla sfida dei tempi
nucleari. Per gli uni, occorre liberarsi attraverso il progresso,
senza stravolgere i princìpi islamici, modernizzandosi tenendo
in una mano il computer e nellaltra il Corano; per gli altri,
la sola e unica riforma possibile è quella del ritorno alla
fede, o meglio, alla sorgente della fede, il Corano.
Il problema è questo: lIslam non è solo una
religione-cultura, ma anche quella che Maxime Rodincon definisce
«la vocazione a strutturare il politico e il sociale».
Che è come dire «una ideologia religiosa di organizzazione
della società o linsieme dei legami che mantengono
i rapporti tra i credenti definiti una nazione-cittadella».
Il versetto 110 della Terza Sura del Corano recita infatti: «Voi
siete la migliore nazione che possa unire degli uomini. Voi invero
praticate il bene, impedite il male, voi credete in Dio».
E a questo punto va ricordato che in Oriente il vettore religioso
è spiccatamente politico. Quasi senza eccezione. Le esplosioni
di integralismo essenzialista alle quali assistiamo da oltre mezzo
secolo denunciano soprattutto la presenza sempre più tracotante
del cosiddetto Islam militante, vale a dire un insieme
di individui che scelgono limpegno politico in nome di un
Islam inteso alla stregua di un internazionale musulmana,
di una controsocietà che realizzi uno Stato
musulmano sul modello del governo di Maometto alla Medina
negli anni 621 e 631.
Tutti i Paesi musulmani avvertono da almeno mezzo secolo profondi
sommovimenti tettonici in conseguenza dellattività
dei vari partigiani di Allah. E spesso sono scossoni
profondi: dalla rivoluzione di Khomeini allassassinio di Sadat,
alle stragi dei religiosi islamici in Siria, allAfghanistan
dei talebani, alle stragi algerine, al ritorno alle moschee in Turchia,
allo sterminio dei cristiani nelle Molucche, in Indonesia, nelle
Filippine, nel Sudan, in Nigeria, in Bangladesh, in Tanzania, in
aree sciite e sunnite, indiscriminatamente. Persino la teocratica
Arabia Saudita non è sfuggita al contagio dei puri,
con la presa degli ostaggi alla moschea della Mecca, nel novembre
79. La rivoluzione khomeinista assestò il colpo finale,
catalizzando il purismo musulmano. La tensione islamica trovò
finalmente un punto di riferimento. Da qui, lincendio integralista,
o il Risveglio islamico. A questo punto, dovrebbe esser chiaro come
il caso Rushdie, le persecuzioni dei cattolici, gli
attentati, siano soltanto finalizzati ad un unico scopo: destabilizzare
lOccidente. Step by step.
«La sovranità non appartiene che a Dio. Egli è
il solo giudice e legislatore e colui che dice o pensa il contrario
è un infedele Bisogna governare per mezzo della Legge
divina, essa sola ed essa tutta intera; nessuna delle sue disposizioni
può essere emendata, sospesa oppure considerata relativa
ovvero obsoleta La società contemporanea è
pagana: bisogna farne tabula rasa Non ci sono che due partiti:
il partito di Dio (hizb Allah), cioè i leader dellIslam
politico e i loro seguaci, e il partito di Satana; il primo deve
condurre il jihad (la guerra santa) senza tregua né quartiere
fino allinstaurazione del governo di Dio».
Queste linee-guida indicate in un saggio di Mohammed Said al-Asmawy,
pensatore egiziano, sembrano aderire come un guanto di seta alle
affusolate e sanguinanti mani dello sceicco miliardario Osama bin
Laden: sono la motivazione dellodio puro e duro dellIslam
militante, essenzialista, teso, appunto, alla realizzazione del
suo obiettivo massimo: il crollo della civiltà, della religione,
della cultura dominanti in Occidente.
La guerra santa contro il nuovo paganesimo non è
condotta da uomini formatisi soltanto nelle scuole coraniche, ma
anche in università fondate sul pensiero pagano
di cui intendono servirsi al fine di poterlo castigare. In Palestina
i terroristi suicidi vengono dalluniversità religiosa,
ma molti sono studenti delluniversità americana di
Beirut, o hanno addirittura frequentato la Sorbona. Ritenendosi
vittime di grandi ingiustizie storiche, ne fanno ostinatamente ricadere
la responsabilità sullOccidente, con una particolare
predilezione per il Grande Satana, gli Stati Uniti.
Quegli Usa che, a suo tempo, sostennero Saddam Hussein contro lIran
o armarono in funzione antisovietica i talebani pakistano-afghani!
Il nero 11 settembre che cambierà i destini del mondo sembra
aver congelato la storia come se fossimo entrati in una sorta di
èra glaciale dove tutto è buio, dove un gran freddo
ci obbliga a pensare solo a noi stessi. Michel Foucault già
nel 1978 osservava: «La questione dellIslam come forza
politica è una questione essenziale per la nostra epoca e
per molti anni a venire. La prima condizione per trattarla con un
minimo di intelligenza è di non cominciare mettendovi odio».
Latto di guerra contro New York e Washington rischia di radicare
nellopinione pubblica lidea di unincompatibilità
fra mondo islamico e Occidente e il consolidarsi di unislamofobia
che espone al potenziamento delle macchine da guerra, agli attacchi
mirati, al rigoroso controllo dei profughi, alla schedatura di popoli
immigrati anche da una generazione nei Paesi occidentali.
Tutto questo, conseguente alla violenza che scandisce lazione
dellIslam, o di un certo Islam, ha generato lidea che
nelluniverso musulmano sia il politico a definire la religione
e non la religione a definire il politico. Per capire correttamente
il fenomeno, va osservato che lIslam politico è il
risultato di una costruzione intellettuale e di una serie di mutamenti
che negli ultimi settantanni hanno interessato le società
islamiche. Tutti gli esperti sanno benissimo che lislamismo
esiste realmente in quanto categoria di produzione del politico,
che cè stata una rivoluzione islamica in Iran, e che
in vari Paesi alcune formazioni politiche si mobilitano per costruire
uno Stato islamico. Lislamismo è una categoria politica,
è il risultato di un processo ideologico che si è
tradotto in una versione semplificatrice dellordine politico
nellIslam, e ha funzionato come ideologia di mobilitazione
per le masse.
Questo passaggio dallIslam allislamismo è il
risultato di un mutamento socio-culturale avvenuto esclusivamente
in seno alle masse musulmane, mutamento che sta provocando lesatto
contrario di ciò che esso progettava, cioè la costruzione
di uno Stato islamico. Invocando lo Stato come suprema forma della
realizzazione dellIslam politico, gli integralisti islamici
hanno paradossalmente desacralizzato (delegittimandolo) il religioso,
per entrare nel politico. Il risultato è stato di operare
nella società un controllo del politico sul religioso, che
si è facilmente trasformato nel dominio del religioso sul
politico. Ciò ha determinato non una separazione fra religioso
e politico, come è avvenuto in Occidente, bensì unautonomia
del religioso sul politico. Lislamismo ha avuto la meglio
sullIslam, e tutto ciò che avviene (violenze, attentati,
persecuzioni, stragi di intellettuali, di artisti, di donne, e regimi
assolutisti) va contestualizzato in questa fase storica che potrà
preludere a un post-islamismo solo se le minoranze illuminate riusciranno
a scampare alla ferocia sanguinaria dei mullah e alloscurantismo
degli ulema e degli imam.
Manhattan, ground zero, sigilla la fine della generosa illusione
illuministica del progresso promosso dai lumi dellintelletto.
Dal martedì nero, 11 settembre, del nuovo Millennio, non
possiamo più fingere di non vedere che noi occidentali abbiamo
creato una tecnologia dalla quale non sappiamo difenderci e che
non sa difenderci. Siamo vulnerabili (e siamo stati ripetutamente
vulnerati) da qualsiasi fattore terroristico scatenante, kamikaze
compresi. Con questa differenza: il terrorista laico (occidentale)
uccide senza volersi suicidare; il terrorista religioso (musulmano,
medio-ed-estremo orientale) si fa autoesplodere. Il pericolo è
moltiplicato allinfinito.
Prima di Cristo, 2.500 anni fa, fu Buddha a sostenere che lodio
genera solo odio, e che esso va combattuto solo con lamore.
Venticinque secoli sono un tempo lungo, e per tutto questo tempo
la prima parte del dettato buddhista (poi cristiano) è risultata
vera, mentre la seconda è sistematicamente venuta meno. Lamore
va costantemente predicato, senza dubbio, altrimenti non ci sarebbe
limite al peggio. Ma non combatte nulla. Per definizione, lamore
è non combattimento. Presumere che i dittatori,
i negatori della repubblica possano essere combattuti con lamore
o integrati al sistema democratico con lamore (come raccontano
i fatui terzomondisti dei nostri giorni) è una fuga nellassurdità.
LIslam non è una chiesa intesa al modo di quella cattolica.
Semmai, è da avvicinare alla frammentazione protestante,
anche se persino questa analogia ha punti deboli. Le componenti
fondanti dellIslam sono da un lato il suo testo sacro, il
Corano, e dallaltro il diritto islamico. Il Libro ne è
lelemento fisso, il diritto ne è lelemento variabile.
Il che significa che lIslam viene deciso
nella sua evoluzione e diversificazione dai dottori della
legge, che ne hanno fatto una nebulosa di tradizioni e di sette.
Tra queste, a pienissimo titolo, cè lintegralismo.
La tesi integralista è che decadenza e umiliazione dei popoli
musulmani derivino dallabbandono dellIslam autentico.
I muslìm furono una nazione trionfante finché osservarono
fedelmente la via indicata da Allah, e hanno perduto il primato
perché se ne sono allontanati. Allora, occorre purificare
lIslam da qualsiasi contaminazione occidentale: argomento
molto convincente per centinaia di milioni di credenti, e alibi
massimo per i teocrati di tutte le latitudini. E argomento che riattiva
listinto originario, la natura combattente e conquistatrice
del messaggio (interpretato) di Allah.
Il ritorno allIslam puro persegue tre obiettivi: purificare
il mondo musulmano; conquistare alla fede i Paesi solo in parte
musulmani; intensificare il jihad contro Satana, che è sempre
lOccidente. Con tutto questo noi dobbiamo fare i conti. Con
gli idola dellislamismo.
Cè uno scoramento radicale nei confronti della civiltà
umana, se essa produce tali mostri nichilisti. Certo, alla radice
cè una realtà che è nello stesso tempo
gloriosa e tragica: la libertà, nei cui confronti, secondo
la visione cristiana, Dio stesso si arresta per non smentire se
stesso. Era stato il Creatore, infatti, ad aver voluto luomo
non come una stella obbligata da meccaniche celesti, ma come un
essere libero e solitario nel decidere la scelta del bene o del
male.
Péguy, nel Mistero dei Santi Innocenti, era giunto al punto
di mettere in bocca a Dio questo amaro soliloquio: «Gli uomini
preparavano tali errori e mostruosità, che io stesso, Dio,
ne fui spaventato. Non ne potevo quasi sopportare lidea. Ho
dovuto perdere la pazienza, eppure io sono paziente perché
eterno. Ma non ho potuto trattenermi. Era più forte di me.
Io ho anche un volto di collera».
Un Dio supercilioso? Tuttaltro, se luomo sceglie di
negare alluomo il valore supremo di quella libertà.
E in questo senso, anche lateo dovrebbe pregare con Zinovev,
il noto scrittore dellormai dimenticato dissenso sovietico,
chiedendo a questo Dio di esistere: «Ti supplico, mio Dio,
cerca di esistere, almeno un poco! Non avrai da fare nientaltro
che questo, seguire ciò che succede [...]. Sforzati di vedere,
te ne prego. Vivere senza testimoni, quale inferno! Per questo,
forzando la mia voce, io grido, e urlo: Padre mio, ti supplico e
piango: esisti!».
Non è da dubitare che, sotto il profilo religioso, affidare
la soluzione solo a noi possa essere pericoloso. Anche i giusti
possono essere tentati dal tenebroso fascino della violenza come
unica replica, in una catena senza fine, secondo una legge codificata
lapidariamente da un personaggio biblico, Lamek: «Io uccido
un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un livido. Caino
fu vendicato sette volte; Lamek settantasette!». Londa
più lunga e drammatica creata da questi orrori è proprio
quella di generare odio infinito. Tutta la paziente tessitura del
dialogo, del rispetto, della convivenza, della comprensione reciproca
è stata lacerata anche nel cuore delle vittime e degli spettatori,
che sono tentati dalla legge di Lamek. In uno dei suoi discorsi,
Agostino distingue tra ira e odio: «La prima è unerbaccia,
laltro è un albero». Ciò che corriamo
il rischio di veder crescere come una foresta, impenetrabile alla
luce di ogni reciproca compassione, è proprio lodio,
che già sonnecchia (come dice la Bibbia) accovacciato sulla
porta di ogni cuore.
Questa è una devastazione più duratura di quella delle
Twin Towers, che potranno anche risorgere. Noi, i testimoni di questa
violenza, non possiamo che ricordare alle religioni che gli idoli
non possono essere confusi col vero Dio; che ogni avallo della violenza
e ogni abuso politico del nome di Dio è sacrilegio: non possiamo
che rimanere occhiutamente vigili e fermamente consapevoli di quelle
parole che Brecht poneva a suggello della sua Resistibile ascesa
di Arturo Ui: «Imparate che occorre vedere e non guardare
in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta,
per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo
vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancora
fecondo!».
E pensare che proprio in America, una decina di anni fa, era stata
solennemente proclamata «la fine della storia». La formula
apodittica di Francis Fukuyama lasciava immaginare che tutto, in
fondo, si era compiuto; che lOccidente si avviava a non avere
mai più nemici; che un ciclo epocale aveva dato quel che
poteva dare, dunque la storia si era accartocciata. E buonanotte.
In realtà, bastava guardarsi proprio qualche film americano
per avere percezione della smentita. Come, per Conrad, la realtà
anticipa sempre la fantasia, così per gli americani larte
(e il cinema per gli States è considerato arte a pieno titolo)
anticipa sempre la storia. Ebbene: cera unaria da fine
del mondo, in tante pellicole, con città distrutte, civiltà
sepolte o inondate, presidenti rapiti, impazziti, alieni mostruosi
e conquistatori, catastrofi che con qualche suggestione si potevano
definire predittive. Ecco: limplosione del World Trade Center,
(e di mezzo Pentagono!), ridotto a una sorta di romboide irsuto,
conferma che la storia non solo continua, ma continua con eccessi
spettacolari, cinematografici, nei suoi effetti più devastanti
di breve e di lungo periodo, nei contraccolpi psicologici e nel
bisogno di vendetta, che sono destinati a sedimentarsi nelle coscienze
di ricchi e poveri, di umili e potenti, di indigeni e naturalizzati.
A dieci anni dalla fine della guerra fredda, dieci anni trascorsi
anche con lorgoglio di essere cittadini in qualche modo privilegiati
dellunico Superpotere, è legittimo che gli americani
siano oggi sfiorati dal dubbio che quella loro condizione non è
più un privilegio, ma un impaccio, o addirittura un pericolo
mortale. Ed è qui, con le immagini dello sfarinamento di
Manhattan e di migliaia di vite bruciate, che al di là di
ogni ribadita e conclamata alleanza con i Paesi occidentali può
ridestarsi nel Paese profondo, da Seattle al Missouri, nellanima
collettiva degli States, un riflesso antico, una tentazione ricorrente,
unombra mai del tutto sopita: lisolazionismo.
Per quanto semplificata, è unantica categoria della
politica americana, quellisolazionismo che nasce insieme alla
consapevolezza tutta geografica di essere un continente. E
qualcosa che non si dichiara, ma che si pratica. Limpulso
a chiudersi entro i confini naturali di questo continente, a starsene
lì per proprio conto, lasciando che gli altri popoli si agitino
oltre i deserti e i mari, sembra seguire una pacifica logica pendolare,
con oscillazioni più o meno forti, secondo occasioni o circostanze.
Per un Kennedy che si dichiara berlinese, cè
un presidente che torna ad essere tutto americano. Per un Nixon
che va in Cina, cè un successore che torna a Washington.
Questa storia è lunga e non lineare, e tuttavia è
stata capace di tenere insieme limpegno nel Vietnam, linvasione
di Grenada, il disimpegno da Beirut, la fuga dalla Somalia.
E qualcosa che va oltre la scoperta dellimprevedibile
fragilità di quel Superpotere americano, le cui caratteristiche
imperiali alcuni intellettuali conservatori avevano
preso da qualche tempo a rivendicare apertamente. Tra i guai di
questo Impero, il peggiore è quello di accorgersi allimprovviso
(tra polvere, fiamme, macerie e sangue) di non essere eterno, né
perfetto, come non lo furono quelli cinese, o persiano, o romano,
o carolingio, e via via, fino agli Imperi di Vienna, di Madrid e
Lisbona, di Londra e Parigi...
Lumiliante perdita dellinvulnerabilità dominatrice,
la fine dellinviolabilità domestica, loggettivo
e rovinoso fallimento dello spionaggio più tecnologico, e
quindi di quegli stessi sistemi alla Echelon, (il Grande Orecchio
rimasto straordinariamente sordo), che avevano suscitato sospetti
addirittura negli alleati, possono se non innescare, almeno far
venire il dubbio che intervenire troppo generosamente, o troppo
militarmente, comunque troppo, non giova più, anzi finisce
per far male.
Squarciate le latebre dei simboli che sono soltanto suoi, lAmerica
chiude le frontiere, piange da sola i suoi morti, da sola riflette
sui suoi sacrifici, rivaluta le sue vere conquiste, riscopre le
sue virtù. QuestAmerica, alleati o no, farà
tutto da sola.
Quattro anni di siccità, venti anni di guerra, due secoli
di tensioni mondiali, un lento ritorno a schemi di vita da Medio
Evo, una tenaglia teocratica imposta dalla funesta ideologia talebana:
lAfghanistan, il Paese che Marco Polo descrisse come «terra
degli alberi e di poponi più dolci che mèle»,
concede una speranza di vita media di appena 44 anni e condanna
allanalfabetismo il 68 per cento dei suoi abitanti. Kabul
è una città fantasma, abbandonata da un popolo già
di per sé straccione. E di notte che, come da gran
tempo, le conche altovallive coltivate a papavero e le carovaniere
tracciate in direzione di Peshawar sembrano verminare: lantica
via della seta è oggi la via delloppio, percorsa da
spettrali fellah armati di kalashnikov fabbricati a mano. Vien da
chiedersi che senso abbia minacciare di riportare alletà
della pietra un Paese che vi è già tornato per conto
suo.
Le spianate e i picchi di un fantastico altopiano hanno perso qualsiasi
valore economico. Le ricchezze del Settentrione, carico nel sottosuolo
di gas, di petrolio, di oro, di titanio, sono sepolte da una guerra
civile che non si spegne. Quelle del Meridione, prodotte da un artigianato
laniero, con arazzi e tappeti annodati da gentili dita femminili,
sono state soffocate da quando le donne sono state costrette a coprirsi
interamente con il burka e sono state escluse dallo studio e dal
lavoro.
E qui, fra queste montagne spettinate dai rabidi venti dellAsia
centrale, fra queste radure che covano piantagioni di fiori quadripetali,
svarianti dal rosa allazzurro, dal verde al viola, con le
capsule gonfie di latice gommoso, è qui che la massima potenza
economica e militare dovrà tornare a forme di conflitto primordiale,
dismettendo le sue armi fantascientifiche e facendo ricorso al corpo
a corpo con mujaheddin feroci e temprati alluso dellarma
bianca. Sia di natura militare, politica, religiosa, lo scontro
con lislamismo richiede un salto indietro nel tempo. Un conteggio
sugli anni dellègira, e non del calendario gregoriano.
Tuttaltro che virtualmente, dobbiamo precipitare nel passato.
O, se si preferisce, dobbiamo arretrare nel futuro.
I numeri dellIslam
LIslam è la seconda religione più diffusa nel
mondo, con un miliardo e 200 milioni di fedeli, circa il 20 per
cento della popolazione del pianeta. La religione maggiormente professata
rimane il Cristianesimo: circa due miliardi di fedeli, il 32 per
cento della popolazione del mondo. Ma le proiezioni sullo sviluppo
demografico indicano che il sorpasso da parte dei musulmani potrebbe
verificarsi nel giro di pochi decenni.
La maggioranza degli americani, il 56 per cento, è di religione
protestante. Circa il 2 per cento, vale a dire quasi sei milioni
di persone, sono musulmane. Mentre cinquantanni fa le moschee
erano 150, attualmente sono 1.250. I musulmani che sono emigrati
in America negli anni Cinquanta e Sessanta sentirono il bisogno
di un luogo nel quale ritrovarsi e pregare con i confratelli; tanti
di
loro, però, venuti via dalla terra dorigine molto
giovani, non avevano una vera coscienza della propria identità
e delle loro tradizioni. Diversa la maggior parte dei musulmani
che popolano oggi gli Stati Uniti: di ceto medio-alto, con elevato
livello culturale, hanno maggior consapevolezza dellidentità.
Nel continente asiatico, i musulmani sono 800 milioni. Cospicue
frange aggressive combattono i cristiani e gli induisti in vari
Paesi dello scacchiere estremo-orientale.
In Africa ci sono 310 milioni di musulmani. Anche in questo continente
forti componenti attuano una politica di aggressione nei confronti
dei cristiani di tutte le confessioni e degli animisti, che vogliono
conservare le proprie credenze e tradizioni.
I musulmani in Italia sono circa un milione e 200 mila, ma se a
questa cifra si aggiungono le proiezioni dellimmigrazione
clandestina, la cifra totale sale a un milione e 400 mila, al 90
per cento di sesso maschile. Si calcola che su cento immigrati,
il 33 per cento sia musulmano, il 54 per cento cristiano, il 3 per
cento buddhista. Secondo il Censis, nel 2010 gli immigrati saranno
8 milioni, cinque dei quali musulmani.
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