Giugno 2001

MUSICA E NATURA

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Animali concertisti
Sergio Bello
 
 

 

 

 

Uccelli come
gli storni, i tordi, gli scriccioli,
sarebbero in grado di creare effetti ritmici che si
ritrovano anche nelle composizioni musicali umane.

 

C’è chi ricorda ancora gli “stacchi” tra un programma e l’altro mandati in onda dalle stazioni radio di Torino, Milano, Roma o Napoli: erano stacchi musicali registrati pazientemente, splendidi intermezzi che venivano chiamati “usignoli”, perché dalle preziose ugole di questi uccelli erano sgorgati. Ne sopravvive uno, neanche il più melodioso, se vogliamo, come momento di passaggio tra un giornale radio nazionale e uno regionale, sulle due reti radiofoniche nazionali. Gli altri saranno finiti in registroteca, dove giacciono le bobine con un gran numero di “rumori” che riemergono ogni volta che occorrano per particolari trasmissioni.
Un usignolo musicista, al modo delle allodole che trillano come impazzite nelle giornate assolate, e che ormai si sono rifugiate anche nelle periferie delle città, e dentro le stesse città, per sfuggire ai fucili a ripetizione dei cacciatori (e fin qui, passi!) e degli sparatori che aprono il fuoco contro i grilli, pur di abbattere qualcosa e vedere due ali stringersi al corpo, fulminato, che cade a picco al suolo.

Anche gli animali, dunque, sanno comporre a loro modo vere e proprie “opere musicali”. Primi fra tutti, non pochi tipi di uccelli canori. E poi i cetacei. E’ questo il parere di alcuni ricercatori che si occupano di biomusicologia, raffinata scienza che negli ultimi tempi sta suscitando un crescente interesse. Dalla voce melodiosa dei fringuelli ai lievi canti intermittenti dei grilli, nessuno ha mai dubitato che il regno animale fosse in grado di produrre suoni estremamente gradevoli. La differenza è che, mentre nel passato gli studiosi ritenevano che si trattasse soltanto di manifestazioni di una funzione biologica, utile in particolare per i rituali del corteggiamento, oggi si fa strada una nuova teoria. Infatti, secondo i ricercatori dell’università di Boston e altri studiosi che di recente hanno pubblicato i propri lavori sulla rivista Science, si può parlare di vera e propria musica.
Uccelli come gli storni, i tordi, gli scriccioli, sarebbero in grado di «combinare i suoni in modo organizzato» e quindi di creare effetti ritmici che si ritrovano anche nelle composizioni musicali umane. Come riportato dalla BBC, le balene eseguirebbero vere e proprie canzoni, nelle quali possono essere riconosciute precise strutture come temi di base, variazioni e ritornelli.
Non diversamente da quel che accade con gli esseri umani, alcune specie di animali utilizzano persino degli strumenti per produrre suoni che non possono eseguire con la propria voce. Un’agenzia specializzata, la “Discovery Communications”, riferisce che alcune specie di pappagalli, quali i Liù o i cacatua dell’Australia e della Nuova Guinea, si procurano piccoli rami e danno loro la forma desiderata per usarli come percussori di un tamburo. Recentissimi studi hanno inoltre dimostrato che cetacei e uccelli condividono con l’uomo la capacità di mandare a memoria nuovi brani musicali e di poterli poi tramandare di generazione in generazione, magari con piccole, estemporanee variazioni di tema.
Tutto questo starebbe a dimostrare che i canti non sono soltanto innati e programmati geneticamente. Sono anche qualche cosa che si può apprendere, condividere, e variare secondo gusti, intuizioni o fantasie singole, di gruppo, di stormo o di branco. A detta dei musicologi che hanno condotto gli studi, esiste una “musica universale”, comune non soltanto a tutti i popoli della terra, ma propria anche del regno animale, terrestre e marino.
La capacità di “fare musica” non sarebbe quindi prerogativa esclusiva degli esseri umani. Si tratterebbe di un’“abilità” che affonda le proprie radici in un passato remoto, appartenente alla storia evolutiva di molte specie. Nel frattempo, però, mentre nei negozi di articoli musicali è possibile acquistare tanto compact disc di opere di Bach o di Mozart, quanto registrazioni di canti ammalianti di balene, alcuni studiosi hanno avanzato non poche perplessità. Costoro sono del parere che le esibizioni degli animali non si possano definire vera e propria “musica”, almeno fino a quando non si sarà stabilito con maggior precisione che cosa si intenda con questo termine. Fra questi, è Ron Hoy, esperto che si occupa di neurobiologia alla Cornell University statunitense, dove fra l’altro esiste anche la più grande raccolta del mondo di registrazioni di suoni della natura: una complessa registroteca, continuamente aggiornata con documenti sonori provenienti da ogni parte del mondo.

La questione è controversa, al punto che, come è possibile leggere nelle notizie riportate dall’agenzia della National Geographic, anche l’opera del compositore John Cage, costituita da ben quattro minuti primi e trentatré minuti secondi di assoluto silenzio strumentale, è classificata come “musica”. Si dovrà necessariamente far ricorso a ulteriori studi, approfondimenti e confronti fra ricercatori di varie discipline per poter approdare a risultati meno controversi e più precisi.
In attesa, comunque, di decidere se una megattera, fra i cetacei, sia o meno una compositrice di musica, è certo che studiare quest’arte suprema, quale viene espressa e manifestata nel mondo naturale, potrebbe anche rivelarsi un modo originale per comprendere meglio la “natura della musica”. E per aprire un altro fronte: quello della musica “prodotta” dalla rotazione dei pianeti, dai sincroni movimenti di quanto galleggia nell’universo e di quanto contiene lo stesso universo. Musica dal mistero delle costellazioni e dei sistemi galattici. C’è spazio per ipotesi, da qui all’eternità!

   
   
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