Giugno 2001

DECIMA MUSA - 2

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Totò: una maschera
Giuseppe Gubitosi
 
 

 

 

 

Se un attore
ha fatto 97 film,
arrivando a farne anche 7 o 8 in un solo anno,
ciò significa che
il pubblica andava
a vederli.

 

Totò non era universale, nel senso che era difficile doppiarlo in inglese, in francese e in qualsiasi altra lingua. Lo sceneggiatore Age (al secolo Agenore Incrocci), che sceneggiò molti film insieme a Furio Scarpelli, e tra questi molti interpretati da Totò, disse più o meno queste cose e spiegò: «Ma il dispiacere maggiore è un altro. E’ il dispiacere di non essere riusciti quasi mai a fare uscire Totò, i film di Totò, dai confini del mercato italiano. Tutti quelli che hanno amato e hanno lavorato per Totò non possono non aver sentito questo dispiacere: e non riguarda tanto quello che avrebbero potuto fare e quello che hanno fatto gli autori delle sceneggiature o i registi (che è stato molto modesto, molto limitato, soltanto dei supporti perché lui potesse esprimersi come attore, come mimo, come personaggio, come maschera). No, il dispiacere è perché non ha avuto la possibilità di imporsi anche all’estero. Certo non era facile esportare i suoi film. Totò mi raccontò un giorno di aver visto a Marsiglia “Totò sceicco” doppiato o con i sottotitoli: quando passa in rivista le truppe dello sceicco chiede a ognuno come si chiama, uno dice Alì e lui chiede Alì Babà, no Alì e basta. Passa a un altro che si chiama Omàr e allora lui rivolto alla spalla dice: “Guarda o’ mar quant’è bello”, che era stato tradotto in un insensato “Regard la mer que c’est belle”, che non vuol dire niente, non fa ridere».
Eppure oggi si cerca ancora di esportare Totò, specie negli Usa, come dimostrano la rassegna dal titolo Totally Totò organizzata da Cinecittà Holding a New York, poi portata in altre città americane, e altre iniziative. Il fatto è che da poco tempo si è cercato di amare di più la nostra patria e di apprezzare e far apprezzare quanto essa ha prodotto, e fra queste cose c’è certamente Totò, con quello che ha fatto in relazione al teatro, al cinema, alla poesia, alle canzoni e così via. Lo dimostrano le polemiche sull’eccidio di Cefalonia, che hanno visto coinvolti, oltre a Ernesto Galli della Loggia, a Indro Montanelli e Claudio Pavone, anche il nostro Presidente della Repubblica.

Il fatto è che Totò è stato volutamente mal considerato dalla critica, senza tener alcun conto del pubblico. Perché se un attore ha fatto 97 film, arrivando a farne anche 7 o 8 in un solo anno, ciò significa che il pubblico andava a vederli. Altrimenti non avrebbe trovato un solo produttore che glieli lasciasse interpretare. Ai suoi film i giornali mandavano il vice del critico ufficiale e Totò diceva: «Ma chi è questo Vice che scrive su tutti i giornali e ce l’ha con me?».
Inoltre Totò, secondo molti critici, è stato apprezzato solo da alcuni registi, che seppero dirigerlo, come Pier Paolo Pasolini che lo utilizzò nel suo “Uccellacci e uccellini”, del 1966, in un episodio di “Le streghe”, del 1967 (l’episodio affidato a Pier Paolo Pasolini è “La terra vista dalla luna”) e in “Capriccio all’italiana”, che porta la data del 1968 (uno solo dei due episodi in cui compare Totò è di Pier Paolo Pasolini, “Che cosa sono le nuvole”, mentre l’altro, “Il mostro della domenica”, è di Steno, al secolo Stefano Vanzina).
Il riconoscimento è spiegabile solo con l’ammirazione che suscitò nei critici il Pasolini regista, mentre il pubblico frequentava le sale nelle quali si proiettavano film interpretati da Totò fin dal dopoguerra. E’ stato scritto che le stesse sale venivano frequentate da critici come Ennio Flaiano, Sandro De Feo, Nicola Chiaromonte, come Cesare Zavattini, come Aldo Palazzeschi, come Mario Soldati, che dicevano la verità su Totò: che cioè Totò era un grande attore comico, perché aveva il senso del comico.
Ma quello che qui ci interessa, per capire perché oggi si cerca di imporlo agli USA, è che Totò è stato considerato, dopo la rivalutazione che ne ha fatto Goffredo Fofi, come rappresentativo di tutti gli italiani, perché era napoletano, come dimostrano film come “L’imperatore di Capri” (1950), “L’oro di Napoli” (1954), “Totò, Peppino e... la malafemmina” (1956), i numerosi film interpretati da Totò con Peppino De Filippo (“Una di quelle”, del 1953, “La banda degli onesti”, 1956, “Totò Peppino e i fuorilegge”, 1957, “Totò Peppino e le fanatiche”, 1958, “Totò Peppino e la dolce vita”, 1961, lo stesso “Totò, Peppino e... la malafemmina” e tanti altri) e i film tratti da Scarpetta (come “Sette ore di guai”, del 1951, “Un turco napoletano”, del 1953, “Miseria e nobiltà”, del 1954), ma parlava in italiano. E’ stato anche detto che Totò prendeva spunto, per i suoi film, dai fatti che avvenivano in Italia e nel mondo, come il bisogno di case, da cui il film “Totò cerca casa”, del 1949, come l’abolizione delle case chiuse per l’entrata in vigore della legge Merlin, da cui il film “Arrangiatevi!”, del 1959, come l’uscita, nel 1960, del film “La dolce vita”, di Federico Fellini, da cui il film “Totò, Peppino e la dolce vita”, del 1961, come il Muro di Berlino, da cui il film “Totò e Peppino divisi a Berlino”, del 1962.
Ciò è stato detto per rilevare il valore d’universalità dei film di Totò, ed è indubbio che, riguardati sotto questo profilo, i suoi film presentavano un carattere di universalità, se si considera quanto siano stati importanti per l’Italia e per l’umanità intera il Muro di Berlino, l’abolizione delle case chiuse in Italia, l’uscita del film di Federico Fellini, la carenza di abitazioni nel nostro Paese. Ma sono altre le ragioni per cui questi film possono essere considerati universali ed è quello che si vedrà nel prossimo articolo.

(2 - continua)

   
   
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