Giugno 2001

CONTROCANTO

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Federico II di Svevia
e la Puglia
Aldo Tavolaro
 
 

 

 

 

Federico non poteva che soggiornare
in Puglia,
in quella terra
che rappresentava
la cerniera
tra l’Oriente
e l’Occidente.

 

Federico II si sarebbe compiaciuto di considerarsi figlio di Puglia e i pugliesi, quelli moderni, a loro volta, si compiacciono di questa predilezione dell’Imperatore. Ma cominciamo a porci delle domande. Federico II è stato amico dei pugliesi? Esistono due libri, ormai fuori commercio, li troverete soltanto in biblioteca, il primo s’intitola I distici di Federico di Svevia in dileggio delle città di Puglia. L’autore è B. Paolillo e fu edito a Bari nel 1924. Il secondo è di R. Corso e ha per titolo I presunti motti di Federico II sulle città pugliesi, edito a Napoli il 1922. In questi libri, s’intende con tutte le contaminazioni della leggenda, leggiamo che Federico avrebbe detto di Bari: «Gens infida Barii / verbis multa promittit». E di Bitonto ancora avrebbe detto: «Gens Bitontina tota bestia et asinina». Con Brindisi, invece, l’Imperatore fu benevolo e disse: «Filia solis, ave, nostro gratissimo cordi». E tutti sappiamo che Andria fu definita «fidelis». Putignano invece aveva osato sbattere le porte in faccia a Federico senza neppure salutarlo e quando l’Imperatore chiese perché non lo salutassero si sentì rispondere: «Noi stiamo in casa nostra e non salutiamo nessuno; a voi, nostro ospite, tocca salutare».
Torno a dire che un grosso ruolo giuoca la leggenda, ma ricordiamoci che le leggende hanno sempre un fondo di verità. L’animosità dei pugliesi contro Federico nasceva dall’indigenza delle popolazioni tartassate da balzelli per sovvenzionare le manifestazioni di grandezza e le imprese belliche del sovrano. Fu così che si ebbero ribellioni e sommosse e numerose città di questa «prediletta» terra subirono l’ira dell’Imperatore. Dopo la scomunica del 1227, la crociata del 1229, l’Autoincoronazione di Federico in Gerusalemme e l’aumentata ostilità della Chiesa, crebbero i sussulti sociali e rimontano a quell’epoca le distruzioni di Larino, Sansevero, Civitate, Casalnuovo, Foggia (che pure era considerata capitale del regno continentale) e Troia, la cui fiera opposizione comportò l’abbattimento delle mura e l’ammazzamento di parecchi cittadini, le cui carni furono gettate ai cani. Tuttavia, dal 1220 alla morte Federico ha soggiornato, soltanto in Capitanata, oltre sessanta volte (con una media di due volte l’anno) senza contare i soggiorni in tutte le altre città delle altre province pugliesi.

Quale fascino aveva la Capitanata per Federico? Il grande Haseloff si sorprende per questa preferenza e descrive così la Capitanata: «Paesaggio desolato, una steppa deserta, senza alberi, calda d’estate e fredda d’inverno, povera d’acqua, polverosa e funestata da febbre». Il Bertaux dice: «Quella regione maledetta, che si chiama il Tavoliere, il deserto temibile, dove Foggia sembra accampata come una città del Sud della Algeria». E Lenormant: «La noiosa pianura del Tavoliere, piatta senza ondulazioni, senza un albero, un deserto dove non si scorge un solo essere vivente, in estate diventa un vero Sahara»; e Bourgét: «Questo orizzonte così vasto, così nudo, così deserto», ed infine lo Steinitzer: «In tutta Italia non si trova un paesaggio squallido quanto il silenzioso Tavoliere». E per brevità non si citano tutti gli altri autori, antichi e moderni, che sono della stessa opinione.
E continuiamo a porci domande: perché, allora, questa ostinata preferenza per la Puglia e in particolare per il Nord della Puglia, ossia la Capitanata? Molti autori, tra cui l’Haseloff, rispondono che si è trattato di una scelta strategica, politica e militare, e siamo tutti d’accordo. Data la vastità degli interessi di Federico in Occidente e in Oriente, la Puglia rappresentava la cerniera tra i due poli certamente, e tra Foggia e Brindisi la scelta non poteva non cadere su Foggia, più a Nord del territorio, più sulla direttrice di Napoli e quindi sulle strade che rapidamente (si intende per quei tempi) conducevano a Nord. Né tale ruolo poteva svolgerlo l’altrettanto amata Sicilia che pure è spinta verso Oriente, ma dove lo Stretto di Messina ritarda i collegamenti con il continente. Invece in Puglia, da Brindisi a Manfredonia, attraverso Monopoli, Bari, Molfetta, Trani, Barletta, troviamo una serie di porti che allacciano rapidamente l’Oriente all’Occidente. Ma se si fosse trattato soltanto di commerci non sarebbe stata necessaria la presenza dell’Imperatore. Se si fosse trattato di controllare la situazione politica ci sembra che altrettante valide ragioni esistevano al Nord dell’impero dove Federico è dovuto accorrere spesso a spegnere sedizioni e minacce nemiche. E allora qual era la necessità della sua massiccia presenza lungo l’arco di ben trent’anni qui in Puglia? Davvero dobbiamo credere che fossero gli uccelletti da cacciare con i falconi?
Secondo alcuni autori, Federico costruì molti castelli in Puglia. Precisiamo subito che Federico costruì pochi castelli ex novo in Puglia e molti ne restaurò, esattamente come fece per tutto il resto d’Italia; costruì anche dei cosiddetti castelli di caccia che erano residenze di piacere, di sollazzo e siamo d’accordo; ma non costruì questi palazzi, queste case, questi castelli perché lo attraeva l’aprica regione (di regioni belle, apriche, dai paesaggi riposanti, ce ne sono tante e, abbiamo visto, di migliori), ma fu il contrario, ossia costruì tali residenze per rendere più gradevole il soggiorno in zone scarsamente invitanti. I motivi che inducevano Federico a soggiornare in Puglia erano tanti, alcuni chiari, manifesti, altri più nascosti e qui occorre affrontare temi più profondi che investono la personalità di Federico sotto il profilo spirituale, religioso e scientifico.

Il papa Gregorio IX, che da cardinale era stato buon amico di Federico, divenne suo acerrimo nemico, ma ciò non avvenne per motivi politici. Gregorio IX si convinse con l’andar del tempo che lo Svevo era un pericolo per la Chiesa anche dal punto di vista religioso. Sappiamo bene quanto grandi siano state le ostilità tra Federico e la Chiesa, meno bene sappiamo la grande simpatia dell’Imperatore per la civiltà islamica, per gli ordini iniziatici e spirituali fioriti in Oriente sia nella sfera islamica, sia in quella sufica e sia in quella cristiana, e a proposito di questi ultimi va precisato che la spiritualità nell’ambito cattolico era tanto maggiore quanto maggiore fosse la distanza da Roma, ossia dal papato. E qui l’indagine si allarga. E’ noto che la Chiesa di allora era estremamente corrotta, che il potere temporale soverchiava quello spirituale, che movimenti di protesta erano fioriti un po’ dappertutto a mano a mano che ci si allontanasse dal tallone romano. I movimenti, detti eretici, della Provenza (i Catari, gli Albigesi, ecc.), quelli della contea di Tolosa, contestavano la Chiesa di Roma. Altrettanto accadeva tra i cristiani d’Oriente che, per giunta, risentivano l’influsso sufico. La spiritualità orientale era talmente irradiante che se passiamo da un’analisi storica, filosofica, religiosa ad una letteraria, troviamo anche nella letteratura occidentale vistose tracce. Gran parte della produzione trovadorica provenzale e parte di quella italiana dei Fedeli d’Amore s’ispirano alla spiritualità d’Oriente. Purtroppo la brevità ci impedisce di aprire tutto intero il ventaglio di questo affascinante tema, ma qualche cenno può far capolino. Per esempio, è noto che Federico, suo figlio Enzo e molti personaggi della corte imperiale scrivevano poesie e tali poesie sono giunte sino a noi e possiamo leggerle quando vogliamo. Poesie e sirventesi provenzali sono in nostro possesso. Ebbene, in tutta questa produzione poetica si canta l’amore per una donna che in realtà non è una donna fisica, ma la conoscenza iniziatica e tale donna (Sofia) è sempre lontana e dimora e soggiorna in Oriente, e precisamente in Siria. Ecco che noi troviamo liriche indirizzate alla Rosa di Soria e le troviamo nella produzione della corte federiciana come nelle liriche di Jaufré Rudel, il principe di Blaia che si era innamorato della contessa di Tripoli senza averla mai vista, ma soltanto per averla sentita decantare dai pellegrini di ritorno dalla Terra Santa e che in realtà non esisteva come persona fisica, ma era un’allegoria.
In realtà, crociati e pellegrini di ritorno dall’Oriente portavano notizie di una religiosità in quei Paesi più spirituale, più libera da dogmi, da condizionamenti temporali, meno oppressa da una pesante gerarchia clericale corrotta. E’ noto che Federico II ebbe molta simpatia per l’Islam, che fu in ottimi rapporti col sultano Al Kamil, che parlava perfettamente l’arabo e conosceva la poesia, la filosofia e la scienza araba.
E’ impossibile qui, in breve tempo, apportare la copiosa documentazione che testimonia quanto sin qui enunciato. Occorre citare storici arabi, riportare le splendide pagine di Amin Maaluf a proposito dei rapporti di amicizia vera tra Federico e Al Kamil, descrivere e documentare l’influenza del sufismo su Federico, rileggere le poesie uscite dalla sua corte, per capire il fascino esercitato su Federico dagli ordini iniziatici dell’Oriente.
La simpatia (e diciamo semplicemente simpatia) di Federico per la sfera orientale con la sua particolarissima spiritualità spiega perché il papa Gregorio IX lo addita addirittura come un precursore dell’Anticristo, sultano battezzato. La Chiesa vedeva nell’Imperatore un soggetto capace di sovvertire l’ordine religioso costituito in Occidente. Da qui appare chiaro che Federico, visto in questa ottica, non poteva che soggiornare in Puglia, cioè in quella terra che rappresentava la cerniera tra l’Oriente e l’Occidente, e in particolare in Capitanata, vicino a tutti quei porti che vedevano il flusso e il riflusso da e per l’Oriente, con la possibilità di informazioni rapide (s’intende, relativamente ai tempi), di comunicazioni quasi immediate e, nel contempo, restando al nord della regione per un più facile spostamento, in caso di necessità, verso il nord d’Italia. Ed ecco, quasi a conferma di quanto sin qui detto, sorgere a Lucera la comunità degli arcieri saraceni, fedeli all’Imperatore e «spina nell’occhio» per il Papa. Sembra proprio che lo Svevo potesse contare più sulla fedeltà alla sua persona da parte dei musulmani arabi che dei cristiani d’Occidente.
La Puglia, quindi, per Federico, fu il ponte naturale che lo collegava con la sua più intima, segreta aspirazione alla trascendenza e alla ricerca scientifica, e non dobbiamo dimenticare che ogni uomo, e più ancora un Imperatore, ha quasi sempre due personalità: quella del ruolo che riveste nel mondo e quella sua propria, intima, soltanto sua, spesso diametralmente opposta all’altra. Purtroppo questa esposizione sintetica perde molto del suo mordente perché non è possibile sviluppare tutte le tematiche che suffragherebbero l’assunto, ma lo scopo ultimo di questo mio dire è che, ancora una volta, la Puglia emerge già scrigno di arte e di storia, teatro di avvenimenti antichi e recenti, cuore del Mediterraneo, e si ricolloca alla ribalta dell’umana vicenda imponendosi a un grande Imperatore che ne fa ponte e cerniera tra il pensiero occidentale e quello orientale, perché non c’è altro ponte più naturale di questo, per cui, anziché intitolare questo mio scritto “Federico II di Svevia e la Puglia” io lo intitolerei “La Puglia e Federico II di Svevia”.

   
   
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