Il problema dei problemi che
impegnerà il
nostro secolo
e forse lintero
millennio è come vivere insieme umanamente.
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Ci fu un tempo in cui per smontare una notizia bastava dire: «E
soltanto roba di cronaca». Erano gli anni in cui la lettura
dei giornali era, per i più, riservata alla domenica, senza
che la vita delle famiglie e del Paese ne risentisse un granché:
scorreva tutto eternamente uguale, almeno fino allo scoppio di unaltra
guerra, per quali ragioni poi era proibito saperlo. Che le cose
stiano lievemente cangiando non cè dubbio. E non tanto
per la quantità delle notizie che adesso ci diluviano addosso.
La novità sta nel fatto che nella cronaca degli accadimenti
quotidiani ci stanno, in forma umbratile, i preannunci di un futuro
dai contorni indefiniti, bastevoli comunque a insinuare astutamente
congetture e sospetti inquietanti. Girando in lungo e in largo il
nostro Paese, mi rendo conto di come un vasto senso di precarietà
e di inquietudine struggente abbia investito lanima dellintera
popolazione. Evidentemente, delleuforia del 1989 non cè
più traccia alcuna. Non è bastata insomma la caduta
dellultimo totalitarismo perché potessimo finalmente
respirare una preziosissima pace e gustare la dolcezza della vita,
con in più il conforto del benessere. Del resto, sono gli
osservatori più attenti dellattuale realtà europea
a sottolineare un diffuso senso di precarietà proprio per
lincapacità di decifrare i lineamenti di ciò
che ci attende: tutto infatti sembra divenuto possibile, compreso
linimmaginabile. E un po come ci si aspettasse
una deportazione verso il futuro. Annotazioni piuttosto
severe, che comunque ritornano insistenti su tutta la stampa europea
con toni particolarmente acuti presso quella francese e britannica,
il tutto non senza fondate ragioni.
Una cosa infatti è certa: ed è che il problema dei
problemi che impegnerà il nostro secolo e forse lintero
millennio è come vivere insieme umanamente. Ma
ripetiamolo ancora umanamente, senza cioè ricadere
in un ordine tirannico che è la via più rapida
oppure perdersi in un disordine ugualmente disumano, ove
i segni della propria dignità sembrano riservati soltanto
a pochi.
Quel che si ripresenta, insomma, è leterno problema
delluno e dei molti, che ha affaticato
la comunità umana fin dai suoi primordi. Solo che stavolta
si presenta in proporzioni inaudite e non per capriccio di nessuno,
ma in virtù dellimponente sviluppo umano che si manifesta
nella mondializzazione di ogni forma di vita, cui si aggiunge quel
fenomeno del riversarsi di continenti in altri continenti: una tale
transumanza, quale nessuna immaginazione umana e nemmeno la più
fervida immaginazione poteva prevedere.
Si tratta di una prospettiva che sta sbalordendo anche gli osservatori
più preparati, come George Steiner ed Edgard Morin, convinti
come sono che la nostra generazione non abbia più valori
fondativi su cui rimodellare e dare unanima alla prossima
impaginazione dellumanità. «Neppure la gloriosa
nostra trinità laica così Edgard Morin
è in grado di ripetere il miracolo del passato, dal momento
che lo stare insieme della triade liberté, égalité,
fraternité si è rivelato ormai impossibile».
E così siamo al punto decisivo! Cè ancora speranza
di un futuro umano per le prossime generazioni?
Ed è qui che bisogna avere il coraggio di ripetere forte
che, per fortuna, una ricchezza vastamente diffusa sussiste ancora
intatta nelle coscienze dellattuale generazione; e sta tutta
intera in quei due forti convincimenti che sono il patrimonio a
noi trasmesso dalla civiltà greco-ebraico-cristiana. Parlo
anzitutto del valore ugualmente sacro di ogni persona umana con
ciò in più che è stato il profumo offerto dal
Cristianesimo: la maggior uguaglianza dei più deboli, ossia
il favor juris. E così siamo al punto decisivo
del nostro discorso. E infatti negli eventi della cronaca
di questi giorni che quelleredità, quei preziosissimi
convincimenti sono chiamati in causa. Ed è su di essi che
urge richiamare lattenzione, non soltanto perché si
accorra tutti a loro difesa. Quel che urge soprattutto è
rifondare nelle coscienze delle nuove generazioni quellumanesimo,
quella sapienza umano-cristiana che si preannuncia come la causa
ideale dellattuale secolo, anzi del millennio.
E perché non renderci conto che di occasioni per quei richiami
ne sovrabbondano nella cronaca di questi stessi nostri giorni? Confessiamo
allora chiaramente che sono questi i momenti più decisivi
per la storia del giornalismo in tutte le sue forme. Sempreché
investa i suoi interessi non tanto nello sbalordimento che la cronaca
può offrire, quanto piuttosto sui valori nascosti negli accadimenti.
Occorre in altre parole che il giornalismo stesso finalmente si
accorga di avere un compito sapienziale. E il tempo di cui
Platone diceva: «Verrà un giorno in cui avremo bisogno
di un popolo di filosofi». Ed è qui che sta la sfida
per un giornalismo che sta per diventare il vero parlamento mondiale.
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