Giugno 2001

RIVISITARE IL PASSATO?

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Fede e mercanzie
Amin Maalouf *
 
 

 

 

 

Dopo nove secoli,
le crociate
appartengono
assolutamente e
soltanto alla scienza, ai ricercatori,
agli storici,
agli archeologi.

 

 

 

* Scrittore libanese
di sangue arabo
e di religione cristiana.
Premi Goncourt, Médicis, Nonino per la narrativa.

 

I drammi del secolo che si è appena concluso ci insegnano che non bisognava perdonare troppo in fretta, e soprattutto non essere troppo indulgenti verso se stessi. Crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidi, massacri, deportazioni, non sono soltanto vicissitudini della storia, paragonabili a calamità naturali. Ci sono dei responsabili, dei colpevoli – uomini, istituzioni, ideologie – che devono essere puniti.
Se questa visione relativamente nuova rispecchia, secondo me, un progresso della nostra coscienza morale, sarebbe d’altra parte illecito, e addirittura assurdo, estenderla al passato remoto. Per esempio, alle crociate.
Queste si possono raccontare analizzandone le origini o le conseguenze, riflettere sul loro significato simbolico per gli occidentali o gli arabi contemporanei, e dibattere sul fatto se abbiano favorito gli scambi fra civiltà o se li abbiamo ostacolati. Ma avere la pretesa di dire oggi chi aveva ragione, chi aveva torto, che cosa bisognava o non bisognava fare, condannare gli uni, perdonare gli altri, tracciare dopo tanti secoli una linea di demarcazione fra quello che è bene e quello che è male, mi sembra ridicolo. Perché, a questa stregua, si potrebbe pretendere anche di fare il processo a Bruto e di consegnare a un tribunale internazionale tutti i documenti sulla guerra di Troia!
Qualche anno fa, ho fatto delle ricerche sulle crociate e sono stato colpito da una cosa. Negli scritti di alcuni autori moderni ritorna con insistenza una critica che ancora oggi ci capita di sentire ogni volta che si parla di quegli avvenimenti: moltissimi crociati – ci viene detto – partivano con il pretesto di liberare il Sepolcro di Cristo, mentre in realtà aspiravano soprattutto a spartirsi delle terre e ad accumulare delle fortune.

Addentrandomi, però, nella lettura dei racconti dell’epoca, mi sono reso conto che coloro i quali partivano per l’Oriente animati soltanto della loro fede erano in genere dei bruti sanguinari che massacravano, consapevolmente, tutti quelli che incontravano sul loro cammino; mentre gli “opportunisti”, che volevano accaparrarsi dei principati, si comportavano in modo più astuto, parlavano con le genti del luogo cercando di comprenderne la mentalità, di blandirli, di conquistarli alla loro causa; qualche volta addirittura imparavano la loro lingua e si mettevano un turbante in testa.
A che cosa serve, allora, questa contrapposizione fra crociati sinceri, animati dalla Fede, e falsi crociati? Dove stava allora il bene e dove stava il male? Nella pietà e nella devozione, oppure, piuttosto, nell’opportunismo e nell’interesse commerciale?
Non è che un esempio ispirato dalle mie modeste letture. Ma, dal mio punto di vista, solleva una questione più ampia, che non riguarda soltanto le crociate. Riguarda, invece, un pericoloso mito che vale la pena di riprendere seriamente in considerazione all’inizio del terzo millennio. Intendo parlare del mito degli antenati. Sono profondamente convinto che fra noi e gli uomini del Medioevo non esista alcuna reale parentela.
Malgrado le apparenze, gli uomini di quell’epoca non sono nostri correligionari, non sono nostri compatrioti, ma soltanto nostri simili alla lontana. Quel che noi chiamiamo “religione”, “società”, “nazione”, “umanità”, “terra”, “donna”, “esistenza”, “bene”, “male”, “scienza”, “credo”, “opinione”, “libertà”, non ha nulla a che fare con il significato che essi avrebbero attribuito a questi concetti. Il loro universo mentale, il loro ambiente fisico, i loro valori, sono talmente differenti dai nostri, che ogni parola che noi usiamo riferendoci a loro, dovrebbe essere tradotta e chiarita, addirittura, idealmente, sostituita da un’altra parola, per evitare i malintesi e le errate interpretazioni.
Ho parlato del Medioevo per semplificare; ma quello che dico mi sembra valido per ogni epoca passata, che risalga a più di quattro o cinque generazioni fa. L’umanità di oggi discende senza dubbio da quella dell’altro ieri, ma è un’umanità profondamente diversa. Mi sembra che abbiamo il dovere di rispettare questa diversità.
Dopo nove secoli, le crociate appartengono assolutamente e soltanto alla scienza, ai ricercatori, agli storici, agli archeologi. E quando i lontani discendenti dei crociati e dei loro avversari discutono oggi di quegli avvenimenti non fanno altro che andare a ridestare dei miti. E di questi si servono gli uni e gli altri, per le loro dispute odierne. Li manipolano, li camuffano, li adattano ai loro bisogni del momento.
E’ così, e non da oggi, e sarebbe illusorio voler mettere fine a questa pratica insita nella nostra natura e in quella delle società umane. Ma è importante prenderne coscienza, è importante affermare e riaffermare che sono dei miti, delle interpretazioni, delle invenzioni. E che le crociate – scontro emblematico fra Cristianità e Islam – non sono che il fantasma dei conflitti contemporanei. Fra il Nord sviluppato e il Sud; fra una civiltà sicura di sé fino all’arroganza e un’altra che si sente straniera nel mondo odierno, fra vincitori che coltivano il rimorso e vinti che sognano la vendetta...
Certamente bisognerà attendere che tutti questi problemi siano risolti perché il cadavere delle crociate possa finalmente riposare in pace nel cimitero del tempo.

   
   
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