Giugno 2001

A proposito di “considerazioni finali”

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La memoria e la sfida
Aldo Bello
 
 

 

 

 

Oggi, dice Fazio,
il Paese è cambiato
e vede svilupparsi una sorta di
“seconda rivoluzione delle aspettative
crescenti”.

 

Fazio, citato testualmente: «Quel miracolo economico può essere ripetuto».
“Miracolo economico” fu espressione coniata inizialmente dalla stampa britannica e riferita all’Italia degli anni 1958-1963: un’Italia creativa e arruffona, simultaneamente migratrice, perché espelleva braccianti dalle campagne e li spediva al Nord e in Europa, trasformandoli in produttori di valuta pregiata, ed esportatrice di beni di consumo a prezzi concorrenziali, perché era basso il costo del lavoro; un’Italia che si era lasciata alle spalle le macerie della guerra, aveva moltiplicato le tute blu, aveva stanziato i mitici 1.000 miliardi per la prima politica organica per il Mezzogiorno, aveva vinto l’Oscar per la lira. Simbolo di questa Italia, l’Autostrada del Sole.

A questo Paese dalle maniche rimboccate si è riferito Fazio, in veste ufficiale di Governatore. Che, in quanto tale, non risponde a domande, né del parterre, né di giornalisti. Poi, in tenuta, diciamo così, fuori ordinanza, affabulatore com’è, e soprattutto da storico o da esegeta dell’economia, è disponibile a conversazioni informali, a puntualizzazioni sulla sua filosofia, a precisazioni chiarificatrici. Per riferire le quali, dobbiamo fare un salto nel tempo, partire dai nostri giorni e percorrere a ritroso le vicende che hanno contraddistinto il laboratorio-Italia.
Oggi, dice Fazio, l’Italia è profondamente cambiata. Anzi, vede svilupparsi una sorta di «seconda rivoluzione delle aspettative crescenti». La prima, negli anni 1962-‘63, aveva avuto come protagonista sociale il proletariato, come obiettivo politico l’equità, come strumento economico una severa imposizione fiscale progressiva, come ideologia lo statalismo.
Invece, questa seconda rivoluzione in corso d’opera ha come protagonista sociale il ceto medio produttivo e professionale, come obiettivo politico l’efficienza, come strumento economico l’allentamento della pressione fiscale generale, come ideologia il liberismo. Elemento comune alle due rivoluzioni, la domanda di cambiamento. Ma mentre la prima si era sviluppata in circostanze produttive e di classe, con l’esigenza di una migliore distribuzione della ricchezza, la seconda si verifica in una situazione diversa e in una società che reclama un nuovo rilancio economico, certamente, ma agganciato alle più moderne tecnologie.
Per chi abbia seguito e in qualche modo conosca il pensiero di Fazio, c’è la trasposizione politica in filigrana, la lettura in codice decifrabile delle varie fasi che hanno caratterizzato i nostri anni. Voglio dire: c’è, da parte del Governatore, l’interpretazione dei grandi cicli politici, che non significa comunque adesione ad una parte o ad un’altra. Semplicemente, è dimostrato che aver chiaro il quadro complessivo della storia degli ultimi cinquant’anni significa non essere costretti poi a riviverla.
Allora, riprendiamo il discorso sulle due rivoluzioni, e chiamiamo le cose con il loro nome.
A cogliere la domanda di cambiamento che, dopo gli anni della ricostruzione, scaturiva dalla prima rivoluzione delle aspettative crescenti, e a farsene interprete, nel 1963, era stato il versante laburista italiano, egualitario per ragioni politiche, statalista per tradizione storica, interventista in economia per convinzioni ideologiche. Negli anni del cosiddetto boom l’accumulazione di ricchezza, favorita dal fervore della rinascita e da un’economia di libero mercato, aveva provocato una forte accelerazione dello sviluppo che, col raggiungimento della piena alfabetizzazione e con la diffusione di massa dei primi consumi da status symbol, come gli elettrodomestici e l’automobile (l’emblematica “600” in 24 o in 30 rate mensili), si era tradotto in un benessere relativamente sostenuto. Questo, a sua volta, aveva creato le premesse di nuovi consumi e crescenti aspettative di un ulteriore e rapido passo avanti.
A cogliere la domanda di cambiamento che nasce, oggi, dalla seconda rivoluzione delle aspettative crescenti, e a farsene interprete, è il versante conservatore, elitario per ragioni politiche, individualista per tradizione storica, liberista in economia per convinzioni ideologiche.
Questo, il quadro ciclico della nostra storia recente, che porta Fazio ad affermare che l’Italia è, sì, cambiata, ma cambiata sempre in meglio, grazie a tutti, ma proprio tutti coloro i quali hanno lavorato a questo fine. Che è come dire: grazie a tutti i governi, comunque espressi e comunque schierati. Ma con un fenomeno che soltanto adesso ci è chiaro: il buongoverno del Centro degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta aveva inconsapevolmente provocato la prima rivoluzione delle aspettative crescenti, che aveva poi favorito la Sinistra, così come il buongoverno di questa ha provocato l’attuale seconda rivoluzione. In sintesi: non è mai favorito il buongoverno che ha prodotto risultati positivi, o non disprezzabili, bensì quello che indica prospettive “altre”, e non step by step, passo dopo passo, ma di rottura col passato recente, e di sviluppo esponenzialmente accelerato.
Perché questa storia si ripete? Perché oggi la fabbrica non è più il centro dell’elaborazione sociale e del consenso politico; perché oggi non basta più rassicurare il Grande Capitale economico e finanziario, ma si deve andare in Brianza e in Veneto, lungo la Fascia Adriatica, in Toscana o nelle Isole, a rassicurare il ceto produttivo e imprenditoriale, soprattutto quello nascente; perché è cambiato il mondo dal momento che, come avrebbe detto Marx, è cambiato il modo di produrre, e sono nati nuovi soggetti sociali ed economici, il cui peso cresce a vista d’occhio; perché si è diffuso un reticolo di piccole e medie imprese, che è “modello italiano” studiato ovunque nel mondo; perché si è affinato il versante delle nuove professioni, soprattutto quello dei giovani che operano nella Rete, che non sopportano più l’ostinata arretratezza della nostra burocrazia, né il dissanguamento fiscale, né il coacervo di leggi, decreti, circolari interpretative che vessano chi intraprende e si trasformano in una forza dissuasiva al limite della brutalità anticivica.
Tutto questo c’era già nel Fazio-pensiero. Allora, altro che scelta di campo, come alcuni hanno incautamente scritto o dichiarato. E’ imperativo categorico, o invito provocatorio a misurarsi con la realtà effettuale e a raggiungere gli obiettivi, o le terre promesse, se non si vuole poi perdere la partita e non solo quella.

Ultima considerazione. Ci sono tre “anomalie”, in queste “Considerazioni”.
Uno: per la prima volta, un Governatore non cita il tradizionale termine “monito”, ma lancia un vero e proprio appello perché tutte le forze in campo, politiche, economiche, finanziarie, sindacali, concorrano a quel nuovo miracolo economico di cui intravede premesse o indizi incoraggianti.
Due: ci potrà essere miracolo, se cadranno la vecchia statolatria, da una parte, e il tardo fordismo, dall’altra, in nome di riforme vitali per la razionalizzazione del sistema italiano.
Tre: misteriosamente, il Governatore, che ha letto le ultime “Considerazioni” prima dell’eclissi totale della lira, non accenna all’euro. Per il momento delicato che sta attraversando la moneta unica? Per le critiche che investono il Governatore della Bce, Duisenberg? Forse, a breve termine, il rebus lo scioglierà lo stesso Fazio.
Il quale, intanto, mette le mani avanti, e cita Max Weber: «Non della terra dei padri parla, chi ama il futuro, ma della terra dei figli». Coniughiamoci dunque con questo futuro, proiettiamoci su questa terra. E auguriamoci che, se miracolo deve essere, miracolo sia.

   
   
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