"Laspirazione
di un anziano
è la stessa
di un uomo elegante:
quella di passare
inosservato"
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Il vuoto di pensiero e di cultura è tanto più profondo,
quanto più ha bisogno di molte parole.
Certi matrimoni tardivi ricordano chi alledicola della
stazione ha tanto indugiato nella scelta di un libro da non avvertire
che il suo treno era già partito.
La vecchiaia fa più compagnia della giovinezza.
La coscienza, che è poi la prima forma della propria dignità,
è il valore più elastico esistente. Per molti non
esiste addirittura, ma essi non lo riconoscono.
Un vecchio, in un gruppo di persone che discutono, sorride soltanto.
Gli domandano: ma lei non dice niente? Risponde nettamente: ho 85
anni.
La pretesa di insegnare agli altri è più forte
di quella di apprendere dagli altri.
Per avere ragione il più delle volte devi trovare qualcun
altro.
Chi è finito è veramente finito. Non ci sono dubbi.
Le sopravvivenze non solo sono ritenute inspiegabili e insostenibili
da parte degli altri, ma sono inutili per se stessi.
Di un giornalista famoso è stato sempre più rilevante
il bastone sul quale si appoggiava che non la penna, pur celebre,
con la quale scriveva.
Le attese segnano la vita di ognuno, ma quelle che lasciano il
segno, e per noi sono le più importanti, sono quelle mai
realizzate. Proprio perché abbiamo vissuto per esse.
Fa più capire il tono di una voce che non la spiegazione
di quanto si intende dire.
Quando si riconosce che la fantasia sopravanza la realtà
è cosa facile a dirsi. Invece rilevare che oggi al punto
cui sono giunte le cose la realtà sta superando la fantasia
è purtroppo più che naturale. Con lo sbigottimento
di tante generazioni e nella spregiudicatezza di chi ne è
la causa.
La fantasia corre più in fretta della realtà. I suoi
professionisti tentano ogni giorno di darne nuove prove, con la
loro capacità di emulazione e la inesausta ricerca di terreni
senza confini. Ma poi ad un certo momento tutti ci fermiamo ad un
normalissimo posto doganale. Il discorso si interrompe, ma anche
questa volta la fantasia è dietro langolo, in una rincorsa
che non sembra abbia fine. Una rincorsa, abbiamo detto. Ma è
un duello. Sempre fino a quanto sappiamo senza
vittime o vincitori.
Abituato a scrivere per tutta la vita, quando parlava scriveva
ad alta voce.
Il silenzio è doro per chi non ha nulla da dire o soprattutto
per chi preferisce non ascoltare.
Nellincontro fra due vecchi su tutto il resto prevale il
reciproco stupore che entrambi siano ancora vivi.
E solo ai funerali che tutti si abbracciano. In taluni cè
la necessità di scaricare il proprio dolore, in altri di
farlo apparire reale.
Per trovarsi bene e comunque meglio è consigliabile essere
fra i contrari, anziché fra quanti, anche per non avere seccature,
si dichiarano compiacemente tolleranti o indifferenti. La storia,
come si sa, non ha mai parlato di questa genia o più semplicemente
sottocategoria.
Non ci spaventano i giorni che passano, ma solo gli anni.
Gli altri, quando vedono scritte le cose che potremmo dire loro
a voce, ci prendono più sul serio.
Si scrive che «è morto con rassegnazione cristiana»,
ma si può morire senza rassegnazione? Non è meglio
dire con dignità?
Le illusioni non finiscono mai. Da giovani riguardano lavvenire.
Da vecchi il passato nella sua interpretazione di oggi, secondo
cui le cose potevano andare meglio, perché secondo te tutte
le carte erano in regola.
Il più nei rapporti umani, anche familiari, passa inosservato.
Il meno mai.
Si è sovente più affezionati ad una frase che ad
un intero libro.
Le formiche corrono sotto i nostri occhi senza accorgersi di noi
e dei nostri pensieri. Ma le persone generalmente fanno lo stesso.
Un mio collaboratore domestico extracomunitario nellandare
in ferie mi ha dato quello che lui ha definito estremo saluto.
Il primo da me ricevuto da vivo. Ma fino a quando è rientrato
in servizio ho avuto il timore che dotato comera pure di barba
altro non fosse se non un profeta indiano.
Laspirazione di un anziano è la stessa di un uomo elegante:
quella di passare inosservato.
Essere sempre se stessi non è facile, e alla fine può
essere anche un guaio.
Quando la morte sopravviene, è un problema di meno.
Un analfabeta defunto ne sa di più di un Nobel vivente.
La vocazione vera della solitudine è la comunicazione: con
i ricordi, con gli scritti propri e degli altri, con la parola,
quando le è consentita e tollerata dagli altri.
Si serca sempre il perché, ma sempre si riesce a farne
a meno.
La vecchiaia è una bottiglia vuota, dalla quale si spera
che, insistendo, esca ancora qualche goccia.
I fatti divengono veramente importanti quando sono ricordati,
anziché quando sono vissuti.
Le ore, legali o no, trascorrono sempre uguali. Noi però
ne scegliamo alcune che, nella realtà o nel ricordo, durano
di più.
Alla fine dellesistenza i conti si fanno non tanto con
quello che cè stato, quanto con ciò che si è
verificato. Delusioni o alibi ne sono il più delle volte
la risultante.
Quello che si fa volentieri e senza sforzo è di frequente
proprio quello che non si dovrebbe fare o che, per i consapevoli,
è imposto dal dovere.
Allosservanza del dovere ti richiamano coscienza e ragione,
allinosservanza listinto e per taluni il senso che si
dà alla propria cosiddetta personalità.
Le cose più sensate sono quelle che spesso vengono interpretate
dagli altri come segni di pazzia.
Certe distanze o indifferenze nascondono spesso una reale o profonda
vicinanza. Anzi, talvolta la precedono. Dallantipatia alla
simpatia: quante volte!
Molte volte il riconoscimento di un debito vale per il creditore
molto più del suo assolvimento.
Alla fine della propria esistenza, tanti interrogativi restano
senza risposta. Forse alla vita umana sono imposti proprio così.
Che spazio avrebbe diversamente la fede? Questa prevale assolutamente
sulla ragione, che a siffatti livelli serve proprio a poco.
Le cose che si giustificano di più sono quelle accadute agli
altri.
Il tempo è denaro, il tempo porta consiglio più
di una notte, e così via. Invece il tempo è il nostro
maggior nemico.
Tanti non esistono solo perché, indifferenti e delusi, reagiscono
poco o nientaffatto al sì e al no. Sono definiti astensionisti,
ma quanti ammonimenti, normalmente e comodamente inavvertiti, nella
loro assenza.
Gli esercizi del pensiero per lo meno sono i più innocui
di tutti gli altri, soprattutto se non pretendono di realizzarsi.
Prima di fare le cose giuste, se le facciamo, precostituiamo sempre
la giustificazione. Eppure dovremmo contentarci solo della loro
causale.
Addio, Gran Lucano
aldo bello
«Sono un abusivo della vita», diceva da quando aveva
varcato la soglia dei novantanni. Perché più
che alla vita era legato ai ricordi, alla lucida memoria che da
anni aveva messo al servizio di Apulia e dei suoi lettori, lasciando
chiunque senza fiato per la puntualità, per loriginalità
e per la profonda conoscenza delle vicende che avevano attraversato
la storia italiana.
Aveva diretto Il Sole, fino alla sua fusione con laltro quotidiano
economico, 24 Ore. Era stato in Confindustria, in stretto contatto
con i segretari generali di quella Confederazione, poi aveva lavorato
per lAssociazione degli artigiani, e nel frattempo aveva contribuito
al rilancio di un altro quotidiano economico, il romano Il Globo,
senza mai smettere di firmare editoriali e corsivi per un numero
imprecisabile di giornali.
Mai si era lasciato sedurre dalla tentazione di raccogliere in volume
le sue cose. Il giornalismo, era solito dire, fa vivere una firma
una sola volta per un solo giorno, ed è giusto che sia così,
perché è specchio del momento che passa e se ne va,
e se presume di dire qualcosa di definitivo, non è più
cronaca e aspira stoltamente alla metafisica.
La memoria, no. La memoria è scavo fra le stratificazioni
e le sedimentazioni dei giacimenti politici, economici, sociali,
è recupero dei fatti allo stato puro, liberati dalle argille
delle tattiche e delle strategie contingenti. E quello scavo aveva
operato per Apulia con le auree Memorie del Secolo, lui che veniva
dalla Lucania generatrice di grandi spiriti non soltanto meridionali
e meridionalisti; che era stato sulle ginocchia di Francesco
Saverio Nitti e di Giustino Fortunato; che aveva frequentato Ettore
Ciccotti e Antonio De Viti De Marco; che aveva lavorato per decenni
a piazza Venezia, nel palazzo che fronteggiava il balcone più
celebre della Penisola, mussoliniano fino a quel drammatico 25 luglio,
descritto con brillante acribia e con testimonianze inedite su queste
pagine.
Dei meridionali, e dei lucani in particolare, ebbe il dono dellanalisi
ad ampio spettro, non disgiunta da una visione scettica della storia
come punto di riferimento di una qualche pedagogia politica. Spirito
solitario, predilesse gli spiriti solitari, e visibilmente disprezzò
gli avventurieri demagoghi che si spacciavano per maîtres
à penser. Per questo, anche, fu maestro di stile e di comportamento,
aristocratico e distaccato osservatore dei nostri giorni imbarbariti.
E per questo, quando percepì che non gli anni barcollavano,
ma la penna e tutto ciò che ancora vi era rimasto dentro,
abbandonò le sue tre finestre daffaccio su via
Veneto e si ritirò nel più raccolto rifugio
di via Cortina dAmpezzo che lo aveva visto creativo protagonista
del giornalismo economico e felice marito, prima di una lunga (e
mai accettata con rassegnazione) vedovanza, e lì attese la
fine del suo abusivismo, semplicemente molto stanco,
integro ma sfinito, come può esserlo soltanto chi, dalla
vita avendo avuto molto e avendo dato di più, sceglie di
uscire di scena in silenzio (e in perfetta, coerente solitudine),
salutati per tempo gli ultimi, intimi e inconsapevoli amici.
Addio, dunque, Gran Lucano. Ci lasci una preziosa lezione di vita,
e ad Apulia un vuoto culturale che nessuna bandiera abbrunata potrà
colmare.
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