Giugno 2001

TRA SPRECHI DISSENNATI E SICCITA' RICORRENTI

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Chiare fresche
dolci acque...
Oscar Liberovici - Gianluigi Piersanti
 
 

 

 

 

Per i grandi
guadagni che
potrebbe permettere, l’acqua può diventare il “petrolio bianco” dei prossimi anni
anche a casa nostra.

 

Sempre meno chiara, meno fresca e più amara l’acqua italiana. E sempre meno disponibile, in una penisola che paradossalmente è ricca di sorgenti, di fiumi, di laghi, di specchi d’acqua e circondata per tre quarti dal mare; dove il liquido che vien fuori dai rubinetti costa molto poco, ma dove anche un terzo degli italiani ne soffre periodicamente, e sistematicamente, la carenza, e dove nelle regioni del Sud, durante l’estate, metà della popolazione è lasciata a secco.
Sull’acqua abbiamo la maglia nera dell’Unione europea. Secondo i dati ufficiali, di tutta la Comunità siamo quelli che ne preleviamo di più (980 metri cubi per abitante all’anno, contro gli 890 della Spagna e i 700 della Francia); siamo al primo posto per i prelievi ad uso domestico (249 litri per abitante al giorno, contro i 156 della Francia o i 162 dell’Austria); siamo i secondi nel rapporto tra disponibilità e prelievo; e in agricoltura, infine, ne consumiamo la più alta quantità per ettaro irrigato.
C’è chi si chiede: se siamo tanto spreconi non sarà perché l’acqua che circola nel Paese è abbondante? Perché preoccuparci più di tanto, quando sappiamo che la scarsa disponibilità di acqua al Sud si deve alle nostre pessime abitudini, alla cattiva gestione delle risorse, a scelte politiche sbagliate, alla inesistente manutenzione; quando gli esperti ci dicono che la maggior parte delle condotte sono così antiquate e in cattivo stato da disperdere il 30 per cento dell’acqua disponibile?
Impostare il problema in questo modo è errato, rispondono gli esperti. Dire che nel nostro Paese non esiste il problema-acqua è una leggenda metropolitana, un atteggiamento miope, giustificato soltanto dal fatto che da noi manca totalmente la cultura dell’acqua. Per quanto bene riproducibile, l’acqua sta diventando sempre più scarsa anche da noi. Inoltre, non è neppure detto che l’acqua delle sorgenti e delle vaste falde sotterranee della Pianura Padana non potrebbe esser messa a disposizione delle regioni assetate del Sud. L’idea di un acquedotto che trasporti l’acqua da Pontelagoscuro, sul Po, a Andria e a Barletta, scendendo per 700 chilometri lungo l’Adriatico, non è affatto peregrina. E’ già accaduto nella opulenta California del Sud, che oggi è dissetata da un acquedotto che scende dal nord per 600 chilometri.

Come tutti, o molti, sanno, la nostra acqua potabile deriva da tre fonti, differenti a seconda delle diverse aree: prima, l’acqua di falda, che copre il 53 per cento del fabbisogno, e si trova sottoterra, immagazzinata tra rocce e materiali incoerenti, delimitata da strati argillosi impermeabili. E’ mediamente abbastanza pulita, e, non richiedendo sistemi di filtraggio, è relativamente poco costosa. C’è poi l’acqua di sorgente che, soprattutto se prelevata ad alte quote, è tra le migliori. Infine, c’è l’acqua di superficie, quella di fiumi, laghi, bacini artificiali. L’idea che quel che beviamo venga da un corso d’acqua tutt’altro che incolore e inodore ci può fare inorridire, ma attraverso vari procedimenti di filtraggio, asportazione delle impurità, disinfezione e purificazione biologica, anche quest’acqua diventa di qualità dignitosa.
E’ certo che nel nord della Penisola c’è molta acqua. Ma le risorse si stanno riducendo. In media, ogni anno l’Italia riceve circa 300 miliardi di litri d’acqua piovana. Per metà evapora. L’altra metà circola in superficie e nelle falde sotterranee. Il problema è che tra agricoltura, industria e centro abitati ne assorbiamo intorno al 50 per cento: un’esagerazione. L’acqua che resta in deposito deve essere compensata da quella che ritorna con le piogge: ma quando se ne attinge gran parte di quella disponibile, ci si avvicina all’emergenza. Altro aspetto negativo: con i nostri insediamenti abitativi, con le attività industriali e con gli usi irrigui, le risorse non solo si fanno più scarse, ma peggiorano in qualità. Se immettiamo nel suolo e dunque nel sottosuolo elementi inquinanti, contaminiamo le falde, poi finiamo per avvelenarle. Gli stessi giacimenti idrici della Pianura Padana sono gravemente compromessi: quell’acqua andrebbe tutta depurata. Così, da un lato i bisogni aumentano, dall’altro peggiora la qualità; ne utilizziamo sempre di più, e di sempre peggiore. Stiamo bruciando una quota troppo alta delle nostre risorse. Problema dei problemi: l’acqua costa di più proprio dove è più scarsa. Chiariamo: gli italiani pagano l’acqua pochissimo perché godono di una sorta di tariffa politica, con gli oltre 9.000 consorzi comunali che gestiscono l’acqua, facendone però pagare le spese allo Stato. Ogni anno i costi non pagati raggiungono i 6.000 miliardi di lire, che potrebbero essere invece destinati a grandi opere strutturali: in particolare, a portare l’acqua a chi non ce l’ha. La legge Galli, del ‘94, che non è stata ancora applicata, introduce il concetto di “industrializzazione del sistema idrico”. Per i grandi guadagni che potrebbe permettere, l’acqua può diventare il “petrolio bianco” dei prossimi anni anche a casa nostra. E se, a fronte del fatto che, per la prima volta, le tariffe peseranno interamente sulle nostre tasche, i nuovi gestori offriranno migliore qualità, sarà tanto di guadagnato per tutti. Paghiamo pochissimo, intanto, ma siamo i primi consumatori in Europa di acque minerali: e non solo perché siamo inguaribili comunisti, ma anche o soprattutto perché la qualità della nostra acqua potabile lascia molto a desiderare.
A conferma, ecco i risultati dell’ultima indagine di Legambiente sulla potabilità nelle città italiane: il risultato peggiore è quello di Piacenza, con ben 34,2 milligrammi per litro di nitrati, elementi vietatissimi; segue Lecce, con 30,7; terza, Siracusa, con 30 milligrammi. Tra le grandi, brilla Roma, dove si può bere dal rubinetto perché la sua acqua contiene nitrati per soli 3,6 milligrammi per litro, mentre preoccupa Milano che, con 25 milligrammi, si colloca al quintultimo posto.
Che fare, in un Paese che consuma per usi civili 7 miliardi di metri cubi all’anno? Risanare i sistemi di distribuzione e le condotte, pagare di più (tanto gli italiani spendono moltissimo in acque minerali, che non sono tutte di buona qualità, e costano parecchio), e imparare a risparmiare, goccia dopo goccia, il preziosissimo liquido. Infine, realizzare non solo il contatore personale, ma anche impianti a due tubi: uno per convogliare l’acqua di qualità migliore per gli usi potabili, l’altro per tutto il resto, come avviene ormai in vari Paesi europei. E, da ultimo, diffondere una coscienza, una cultura dell’acqua, la francescana «sor’Aqua, / la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta», radice di vita nel nostro pianeta.

   
   
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