Giugno 2001

PIANETA AGRICOLTURA

Indietro
Una rivoluzione pulita
Pierfranco Siniscalchi  
 
 

 

 

 

E’ necessario
arrivare ad una
nuova alleanza tra imprese agricole
e cittadini, fondata su interessi
convergenti.

 

Quel che è sicuro, è che dopo “mucca pazza” in agricoltura nulla potrà più essere come prima. La paura del contagio, le incertezze delle risposte, la progressione della Bse, hanno creato uno scenario da peste manzoniana e proprio questa assenza di sicurezza è stata la molla della reazione dei consumatori: un drastico taglio agli acquisti di carne, che ha messo in forte sofferenza l’allevamento bovino, la trasformazione, i prodotti alimentari legati al settore. Sotto il profilo economico, un disastro pari soltanto a quello della credibilità di parte delle istituzioni. Per non pochi esponenti politici è stato un modo di perdere la faccia, lo stesso che in Germania ha portato alle dimissioni di due ministri e ad un brusco cambio di rotta della politica agricola nazionale. L’agricoltura, al cospetto di questa débacle, non può e non deve che cambiare.

Josè Bové, l’ “agricoltore” più celebre del mondo dopo le proteste a Seattle e contro i McDonald’s, vuole che l’agricoltura permetta al massimo numero di lavoratori di esercitare la professione agricola, e desidera che «i contadini siano in grado di vivere con quantità di produzione relativamente modeste, condizione necessaria per poter mantenere molti lavoratori attivi». Meno quantità e più qualità, allora. Aziende più piccole, con prodotti diversificati. Piccolo è bello, sembra riecheggiare Bové, che non intende saperne di un ritorno all’economia di sussistenza, ma esce dal coro di chi canta l’inno al Prodotto interno lordo, alla quantità, al consumo. «Per avere una produzione economicamente efficace ma di qualità, i fondi dei contribuenti dell’Unione europea dovranno sostenere la produzione biologica, non le solite produzioni di stampo industriale». L’agricoltura contadina creerà in Francia nuovi posti di lavoro: «Ci sarà bisogno di 150-200 mila piccoli produttori in più».
Forse sarà l’occasione, per molti giovani, di tornare a un settore che un tempo sembrava terrorizzarli. Non a caso c’è chi sostiene: dalle disgrazie possono nascere profonde trasformazioni della realtà. L’agricoltura va globalmente ripensata, non per tornare all’antico, ma per dare un volto diverso da quello nefasto di oggi all’attività primaria, con più sostegni ai prodotti di qualità, non più sussidi a pioggia, non più terrificanti alternanze tra allevare e abbattere, tra piantare e sradicare. Occorre una programmazione seria, che tenga anche conto di tradizioni svalutate come romantiche, ma che spesso rappresentano insegnamenti preziosi.
Nuto Revelli, appassionato osservatore del Mondo dei vinti, è meno ottimista: «Mi auguro che sia l’occasione per voltare pagina, anche se è difficilissimo risalire dal fondo di una situazione degenerata: la campagna è stata abbandonata a se stessa, con l’esodo caotico iniziato negli anni Cinquanta e Sessanta, provocato dall’industrializzazione. E’ necessario ricominciare senza farsi illusioni, per ricucire un tessuto sociale anche minimo che non esiste più, fatto di anziani che trent’anni fa non si sono arresi». Che è come dire: sono state tagliate le radici, risanarle è un problema non soltanto economico: la vita in campagna non è esaltante, ha un prezzo altissimo anche in termini di isolamento. Occorrono idee chiare e una visione in prospettiva. Il territorio abbandonato non deve essere un fuoco di paglia per tacitare le coscienze: di solito se ne parla per un po’ di giorni in caso di alluvioni, dopo di che si torna a voltare pagina e non ci si pensa più.

Sul fronte delle organizzazioni agricole c’è completa identità di vedute. Per la Confagricoltura, i consumatori vogliono sapere, scegliere sulla base di rigorose informazioni scientifiche. Per l’Italia questa nuova tendenza può diventare un importante fattore di vantaggio competitivo, perché alla sicurezza e alla qualità dei prodotti possiamo sommare i sapori, la tradizione, il legame irripetibile con il territorio.
La direzione è quella di un nuovo modello di agricoltura, un passaggio indifferibile, che deve muoversi su direttive precise: rinnovo della politica agricola nazionale ed europea, governo della globalizzazione, rafforzamento della sicurezza alimentare, salvaguardia della sanità dei cibi, difesa del territorio. Il risultato dovrà essere un sistema in cui l’impresa sia libera di dare il suo rilevante contributo, economico e sociale.

Il biologico in cifre
– circa 50 mila le imprese agricole italiane;
– 105 mila, in totale, nell’Ue;
– un milione di ettari la superficie interessata in Italia;
– tre milioni di ettari, in totale, in Ue;
– novemila le imprese italiane di trasformazione dei prodotti;
– 185 mila ettari utilizzati da queste imprese industriali.


Identikit

Ampiezza: ventuno ettari in media di SAU (Superficie Agricola Utilizzata), gestita per l’80 per cento biologicamente. Nel 32,8 per cento dei casi dispone di terreno in affitto.

Diversificata: nel 6,3 per cento dei casi l’agricoltura biologica fa coppia con l’attività agrituristica, mentre molto numerosi sono i casi di attività di trasformazione delle produzioni (marmellate, torte, vino, formaggi, sughi e prodotti sotto olio).

Poco meccanizzata: il parco macchine presenta una potenza media per azienda di 116 Cv. Frequente è il ricorso al contoterzismo.

Redditizia: il fatturato medio dichiarato per impresa è pari a 54 milioni, più elevato per le aziende vitivinicole.

Labour intensive: la componente più importante del lavoro è quella familiare, anche se nel 46 per cento dei casi si fa ricorso a lavoratori a tempo determinato, mentre la produttività del lavoro è pari a circa 30 milioni per unità impegnata a tempo pieno.

Un cambiamento tanto più necessario, se si guarda ai percorsi del passato, sostiene la Coldiretti: in Italia per vent’anni si è pensato di poter fare a meno dell’agricoltura. E’ necessario arrivare ad una nuova alleanza tra imprese agricole e cittadini, fondata su interessi convergenti; ma occorre anche definire regole chiare e politiche efficienti, che sappiano accompagnare la voglia di crescere del settore e recepire le domande che vengono dalla collettività.

Per la Bse, il dramma era stato profeticamente annunciato: correva l’anno 1924 quando Steiner, l’inventore dell’agricoltura biologica, affermava che se i ruminanti fossero arrivati a cibarsi di carne, sarebbero impazziti.
Ora si può dire una sola cosa: l’agricoltura deve far ritorno alla terra. Lo dimostrano i giovani, che tornano a fare i contadini, ma impegnandosi esclusivamente nel biologico. Questo processo deve essere confermato da garanzie, e si punta sull’etichetta agricola, che vuol dire non soltanto rendere identificabile la fabbrica in cui il prodotto viene realizzato, ma anche il campo dal quale esso proviene.
In una parola: occorre una rivoluzione pulita, radicalmente pulita, per ridare fiducia ai consumatori e per risollevare le sorti della zootecnia e dell’intero settore primario. Non dimentichiamo che da qualche tempo a questa parte siamo entrati nell’epoca della protezione dell’integrità sanitaria delle persone.
E non dimentichiamo che la gamma dei prodotti dell’agricoltura e della zootecnia è vastissima. La crisi del rapporto tra domanda e offerta potrà colpire a catena, con possibilità di recupero soltanto remote. La legge del mercato non ha pietà. E non ne ha il consumatore, al cospetto della sua salute.

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000