E necessario
arrivare ad una
nuova alleanza tra imprese agricole
e cittadini, fondata su interessi
convergenti.
|
|
Quel che è sicuro, è che dopo mucca pazza
in agricoltura nulla potrà più essere come prima.
La paura del contagio, le incertezze delle risposte, la progressione
della Bse, hanno creato uno scenario da peste manzoniana e proprio
questa assenza di sicurezza è stata la molla della reazione
dei consumatori: un drastico taglio agli acquisti di carne, che
ha messo in forte sofferenza lallevamento bovino, la trasformazione,
i prodotti alimentari legati al settore. Sotto il profilo economico,
un disastro pari soltanto a quello della credibilità di parte
delle istituzioni. Per non pochi esponenti politici è stato
un modo di perdere la faccia, lo stesso che in Germania ha portato
alle dimissioni di due ministri e ad un brusco cambio di rotta della
politica agricola nazionale. Lagricoltura, al cospetto di
questa débacle, non può e non deve che cambiare.
Josè Bové, l agricoltore più
celebre del mondo dopo le proteste a Seattle e contro i McDonalds,
vuole che lagricoltura permetta al massimo numero di lavoratori
di esercitare la professione agricola, e desidera che «i contadini
siano in grado di vivere con quantità di produzione relativamente
modeste, condizione necessaria per poter mantenere molti lavoratori
attivi». Meno quantità e più qualità,
allora. Aziende più piccole, con prodotti diversificati.
Piccolo è bello, sembra riecheggiare Bové, che non
intende saperne di un ritorno alleconomia di sussistenza,
ma esce dal coro di chi canta linno al Prodotto interno lordo,
alla quantità, al consumo. «Per avere una produzione
economicamente efficace ma di qualità, i fondi dei contribuenti
dellUnione europea dovranno sostenere la produzione biologica,
non le solite produzioni di stampo industriale». Lagricoltura
contadina creerà in Francia nuovi posti di lavoro: «Ci
sarà bisogno di 150-200 mila piccoli produttori in più».
Forse sarà loccasione, per molti giovani, di tornare
a un settore che un tempo sembrava terrorizzarli. Non a caso cè
chi sostiene: dalle disgrazie possono nascere profonde trasformazioni
della realtà. Lagricoltura va globalmente ripensata,
non per tornare allantico, ma per dare un volto diverso da
quello nefasto di oggi allattività primaria, con più
sostegni ai prodotti di qualità, non più sussidi a
pioggia, non più terrificanti alternanze tra allevare e abbattere,
tra piantare e sradicare. Occorre una programmazione seria, che
tenga anche conto di tradizioni svalutate come romantiche, ma che
spesso rappresentano insegnamenti preziosi.
Nuto Revelli, appassionato osservatore del Mondo dei vinti, è
meno ottimista: «Mi auguro che sia loccasione per voltare
pagina, anche se è difficilissimo risalire dal fondo di una
situazione degenerata: la campagna è stata abbandonata a
se stessa, con lesodo caotico iniziato negli anni Cinquanta
e Sessanta, provocato dallindustrializzazione. E necessario
ricominciare senza farsi illusioni, per ricucire un tessuto sociale
anche minimo che non esiste più, fatto di anziani che trentanni
fa non si sono arresi». Che è come dire: sono state
tagliate le radici, risanarle è un problema non soltanto
economico: la vita in campagna non è esaltante, ha un prezzo
altissimo anche in termini di isolamento. Occorrono idee chiare
e una visione in prospettiva. Il territorio abbandonato non deve
essere un fuoco di paglia per tacitare le coscienze: di solito se
ne parla per un po di giorni in caso di alluvioni, dopo di
che si torna a voltare pagina e non ci si pensa più.
Sul fronte delle organizzazioni agricole cè completa
identità di vedute. Per la Confagricoltura, i consumatori
vogliono sapere, scegliere sulla base di rigorose informazioni scientifiche.
Per lItalia questa nuova tendenza può diventare un
importante fattore di vantaggio competitivo, perché alla
sicurezza e alla qualità dei prodotti possiamo sommare i
sapori, la tradizione, il legame irripetibile con il territorio.
La direzione è quella di un nuovo modello di agricoltura,
un passaggio indifferibile, che deve muoversi su direttive precise:
rinnovo della politica agricola nazionale ed europea, governo della
globalizzazione, rafforzamento della sicurezza alimentare, salvaguardia
della sanità dei cibi, difesa del territorio. Il risultato
dovrà essere un sistema in cui limpresa sia libera
di dare il suo rilevante contributo, economico e sociale.
Il biologico in
cifre
|
circa
50 mila le imprese agricole italiane;
105 mila, in totale, nellUe;
un milione di ettari la superficie interessata in Italia;
tre milioni di ettari, in totale, in Ue;
novemila le imprese italiane di trasformazione dei prodotti;
185 mila ettari utilizzati da queste imprese industriali.
Identikit
Ampiezza: ventuno ettari in media
di SAU (Superficie Agricola Utilizzata), gestita per l80
per cento biologicamente. Nel 32,8 per cento dei casi dispone
di terreno in affitto.
Diversificata: nel 6,3 per cento dei casi lagricoltura
biologica fa coppia con lattività agrituristica,
mentre molto numerosi sono i casi di attività di trasformazione
delle produzioni (marmellate, torte, vino, formaggi, sughi
e prodotti sotto olio).
Poco meccanizzata: il parco macchine presenta una potenza
media per azienda di 116 Cv. Frequente è il ricorso
al contoterzismo.
Redditizia: il fatturato medio dichiarato per impresa
è pari a 54 milioni, più elevato per le aziende
vitivinicole.
Labour intensive: la componente più importante
del lavoro è quella familiare, anche se nel 46 per
cento dei casi si fa ricorso a lavoratori a tempo determinato,
mentre la produttività del lavoro è pari a circa
30 milioni per unità impegnata a tempo pieno.
|
Un cambiamento tanto più necessario, se si guarda ai percorsi
del passato, sostiene la Coldiretti: in Italia per ventanni
si è pensato di poter fare a meno dellagricoltura.
E necessario arrivare ad una nuova alleanza tra imprese agricole
e cittadini, fondata su interessi convergenti; ma occorre anche
definire regole chiare e politiche efficienti, che sappiano accompagnare
la voglia di crescere del settore e recepire le domande che vengono
dalla collettività.
Per la Bse, il dramma era stato profeticamente annunciato: correva
lanno 1924 quando Steiner, linventore dellagricoltura
biologica, affermava che se i ruminanti fossero arrivati a cibarsi
di carne, sarebbero impazziti.
Ora si può dire una sola cosa: lagricoltura deve far
ritorno alla terra. Lo dimostrano i giovani, che tornano a fare
i contadini, ma impegnandosi esclusivamente nel biologico. Questo
processo deve essere confermato da garanzie, e si punta sulletichetta
agricola, che vuol dire non soltanto rendere identificabile la fabbrica
in cui il prodotto viene realizzato, ma anche il campo dal quale
esso proviene.
In una parola: occorre una rivoluzione pulita, radicalmente pulita,
per ridare fiducia ai consumatori e per risollevare le sorti della
zootecnia e dellintero settore primario. Non dimentichiamo
che da qualche tempo a questa parte siamo entrati nellepoca
della protezione dellintegrità sanitaria delle persone.
E non dimentichiamo che la gamma dei prodotti dellagricoltura
e della zootecnia è vastissima. La crisi del rapporto tra
domanda e offerta potrà colpire a catena, con possibilità
di recupero soltanto remote. La legge del mercato non ha pietà.
E non ne ha il consumatore, al cospetto della sua salute.
|