Giugno 2001

CORSI E RICORSI ECONOMICI

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Passaggio del testimone
Furio Ferrari  
 
 

 

 

 

L’Europa è oggi
nelle condizioni di prendere il testimone della ripresa
economica
sostituendosi
agli Stati Uniti
come locomotiva.

 

E’ stato scritto che il ciclo economico, dato periodicamente per morto, è più che mai vegeto e rispetta la legge di sempre: quella di essere una “regolarità non regolare”, come è stato definito da Mitchell. Questo vuol dire che il ciclo economico, con le sue fasi di espansione e di recessione, si ripresenta continuamente (e questa è la regolarità), ma con modalità e tempi sempre diversi, appunto ciò che sta succedendo negli Stati Uniti d’America, dopo una fase di espansione durata un decennio, che aveva fatto credere ancora una volta alla morte del ciclo economico.
Di dichiarazioni di morte il ciclo economico ne ha avute parecchie nel corso dell’ultimo mezzo secolo, e anche qualche condanna. C’è stato chi lo voleva eliminare del tutto con politiche anticicliche alla Keynes e che ha finito per accentuarne l’andamento con provvedimenti di stop and go, (in modo particolare negli anni Settanta), nel tentativo poi fallito di regolare l’andamento dell’economia attraverso misure mirate a correggerne le più piccole deviazioni. C’è stato invece chi lo considerava un’aberrazione delle economie di mercato da eliminare autoritariamente con processi di programmazione e di pianificazione dell’economia, e sappiamo bene i disastri economici e civili che hanno generato i cultori di questo approccio.
Inoltre, c’è stato chi ha pensato che il ciclo si fosse suicidato da solo: una volta negli anni Sessanta, dopo una forte espansione mondiale che culminò con la fine del sistema dei cambi fissi, poi ancora nel corso degli anni Settanta, quando tutto sembrava dominato dal prezzo del petrolio e dai problemi dell’offerta, poi ancora negli anni Novanta, di fronte alla sorprendente crescita degli Stati Uniti, trainata da modifiche strutturali genericamente ricondotte alla new economy.
Invece il ciclo è tuttora vivo e attivo, e il rallentamento negli Stati Uniti lo sta a testimoniare. La lunga fase di espansione non poteva non terminare ed essere seguita da una fase di recessione, che servirà a correggere gli eccessi che si erano determinati durante l’espansione. Intesa in questo senso, l’alternanza tra espansione e recessione non ha nulla di drammatico ed è insita nell’andamento dell’economia, posto che ogni fase di espansione comporta un eccesso di investimenti e quindi di capacità produttiva che finisce per deprimere il rendimento del capitale investito, ciò che poi contribuisce a invertire il ciclo economico. Né è da ritenere che una lunga fase di espansione comporti necessariamente una recessione violenta.
Al contrario, dopo una fase di espansione lunga e sostenuta in genere la recessione è breve e poco marcata; ma nulla è scontato, proprio perché la regolarità del ciclo sta nella sua irregolarità, quindi nell’impossibilità di essere prevista, posto che esso dipende dalle decisioni di milioni di individui che si combinano in modo imprevedibile.
La politica economica non deve tanto cercare di eliminare le recessioni, ma può evitare le drammatizzazioni della situazione e concorre all’attenuazione delle fluttuazioni. Essa non deve rincorrere il ciclo economico, ma mantenere alcuni obiettivi fissi, lasciando operare gli stabilizzatori automatici che sono insiti in ogni sistema economico. In questo senso, sarebbe del tutto inopportuno se il nuovo governo americano utilizzasse l’avanzo del bilancio pubblico per sostenere la domanda interna al fine di evitare la recessione. Ridurre le imposte per sostenere la domanda interna sarebbe probabilmente inutile in questo momento e finirebbe soltanto per annullare quell’avanzo pubblico generato dalla lunga fase di espansione. Una simile manovra non eviterebbe la recessione, ma farebbe perdere gettito fiscale in una fase in cui le entrate pubbliche avrebbero tendenza a ridursi autonomamente a causa della recessione, con il risultato di riportare rapidamente in deficit il bilancio pubblico. A questo punto anche la politica monetaria finirebbe per essere condizionata in senso negativo: la necessità di assicurare un finanziamento al Tesoro renderebbe più difficile la riduzione dei tassi di interesse, ciò che finirebbe per accentuare l’oscillazione ciclica in atto.
Invece, una recessione moderata negli Stati Uniti, che consentisse una riduzione del costo del denaro e allontanasse i rischi di un rialzo del prezzo del petrolio, potrebbe rappresentare una condizione utile per un rilancio dell’Europa, ove invece sono necessarie politiche di riduzione della spesa pubblica e delle tasse: il contrario di quanto serve ora in America. La ripresa europea potrebbe basarsi sugli effetti delle nuove tecnologie che, pur se con ritardo, stanno caratterizzando il Vecchio Continente. L’importante per noi è capire che siamo in ritardo rispetto agli Stati Uniti, e che ciò che serve ora negli Stati Uniti è diverso da ciò che serve a noi.
E’ molto probabile che in America, dopo la lunga fase di espansione favorita da una fortissima flessibilità, in fase di recessione si torni a porre alcuni vincoli che compensino taluni eccessi precedenti. Per l’Europa è vero il contrario: la mancanza di flessibilità ha ritardato la fase di espansione, che oggi è possibile dopo che alcuni elementi di rigidità sono saltati più sotto la spinta degli eventi che per scelte ragionate.

L’Europa è oggi nelle condizioni di prendere il testimone della ripresa economica sostituendosi agli Stati Uniti come locomotiva, consentendo un normale avvicendamento ciclico tra le due sponde dell’Atlantico e favorendo la continuazione della crescita mondiale, pur se a ritmi meno sostenuti rispetto al recente passato.
Per ottenere questo risultato, è necessario favorire tutti gli elementi di mobilità del capitale e del lavoro, che consentano alla nostra economia di adattarsi alle esigenze delle nuove tecnologie. Fra questi elementi, la riduzione contemporanea della spesa pubblica e delle imposte rappresenta un passo obbligato, poiché non ci sarà mai mobilità in Europa fintantoché gli Stati governeranno la metà del reddito nazionale, condizionando in questo modo le scelte dei consumatori e dei risparmiatori.

   
   
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