Giugno 2001

SEGNALI DI VITALITÀ

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Il Sud che va
Oreste Franciosa  
 
 

 

 

 

Si sta profilando
un “Sud normale”, cioè capace di
rispondere agli
stimoli esterni con le modalità
di qualunque altra economia.

 

Conti del 2000 positivi per il Sud nel suo complesso e più che soddisfacenti per alcune regioni meridionali. L’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 2,2 per cento, soltanto lo 0,7 in meno rispetto al resto del Paese. Il divario dinamico con il Centro-Nord è sempre consistente, soprattutto perché il settore agricolo, con un’incidenza maggiore nell’economia meridionale e ancora in secolare ridimensionamento, ha attraversato un’altra annata particolarmente difficile. Ma nel resto del settore privato, baricentro di ogni sviluppo futuro, il differenziale di crescita si è pressoché annullato, con il 3,5 per cento, contro il 3,6 per cento delle aree centro-settentrionali.

I dati quantitativi, che emergono dal secondo “Report Sud”, che ha preso in esame numerosi indicatori, sono avvalorati dall’indagine qualitativa condotta sulle diverse componenti della domanda e sui singoli settori attraverso una rete di dieci banche primarie. Il giudizio degli operatori bancari è improntato a un misurato ottimismo sull’andamento di tutte le più importanti variabili. Accanto a una ripresa ancora lieve dei consumi (+2 per cento), è in atto una robusta espansione degli investimenti in attrezzature e in macchinari (+10 per cento). Sono rilevanti i segnali di recupero nel settore delle costruzioni, mentre la crescita dell’industria in senso stretto è in linea con quella della media nazionale. Meno dinamico è il comparto dei servizi, con spunti migliori nel commercio e nei servizi avanzati alle imprese, dove la domanda rimane ancora in larga misura insoddisfatta. Il turismo, che è penalizzato da una carenza di offerta, continua a registrare ritmi di crescita sensibilmente superiori rispetto a quelli del resto d’Italia.

Dall’indagine emerge il miglioramento della qualità del credito (sono in calo le sofferenze e le partite incagliate) anche in comparti che hanno attraversato una lunga crisi, come quello agricolo e quello dell’edilizia. La crescita degli impieghi bancari è in netta ripresa sia per quanto riguarda quelli a medio-lungo termine, sia quelli a breve. Il rapporto segnala che le politiche di sviluppo incidono ancora in misura marginale. Tuttavia va sottolineato che è normale (si è verificato anche con la L. 488) un tempo di reazione di quindici mesi tra inizio delle politiche e loro entrata a regime e anche che l’erogazione dei fondi è suddivisa lungo tutto il periodo di durata pluriennale dei progetti.
Quel che sembra essere fuori dubbio è che siamo di fronte a incoraggianti sintomi di cambiamento generazionale: c’è un vecchio mondo abituato all’assistenza, e c’è un nuovo mondo lanciato nello sviluppo autoalimentato. Occorre tempo per verificare l’efficacia delle politiche, per correggere eventuali errori o superstiti distorsioni, senza cambiare una strategia che sembra essere vincente.
In tutte le regioni del Sud l’indice di dinamismo è in netto progresso, e tocca i livelli più alti (in un campo di variazione teorico compreso tra –100 e +100) in Sicilia (69), in Puglia (63), in Abruzzo (56) e in Campania (50), mentre in fondo alla classifica si situano il Molise (38), la Basilicata (25) e la Calabria (19).
I dati positivi sono stati sottolineati anche dalla Svimez, che ha tuttavia puntualizzato come esista un problema di competitività del territorio, e quindi di attrattività degli investimenti dall’esterno dell’area meridionale. Altre indicazioni: accanto agli elementi autonomi di dinamismo, occorrerebbe individuare e rimuovere i fattori che impediscono il pieno decollo dell’economia del Mezzogiorno, come si è verificato in nazioni europee a sviluppo ritardato; l’elemento più positivo è, comunque, l’elevata capacità progettuale degli imprenditori meridionali, progettualità che va senz’altro assecondata, al fine di accelerare il ritmo di crescita.
In ultima analisi: si sta profilando un “Sud normale”, cioè capace anzitutto di «rispondere agli stimoli esterni con le modalità di qualunque altra economia». Se viene trattato come un malato cronico e tenuto in condizione di eterna rianimazione, le sue funzioni vitali finiscono per atrofizzarsi. Se viene esposto alla concorrenza, reagisce ed è in grado di rimettersi in marcia, facendo ricorso alle sue gambe, per fragili che ancora possano essere. Vuole anche dire che ci sono Sud e Sud: quello altamente sviluppato dell’Etna Valley e quello profondamente agricolo dell’area agrigentina; quello dei micro-poli produttivi semisommersi del Napoletano e quello ipertecnologico della fascia lucana di Melfi; quello dei piccoli, medi e grandi poli industriali pugliesi e quello ancora depresso di tanta parte della Calabria. E l’elenco potrebbe continuare.
Vuol dire, anche, che questa parte importante del Paese ha bisogno delle stesse dotazioni strutturali, della medesima attenzione alla sicurezza pubblica, degli identici servizi che sono riservati al resto dell’Italia, per quanto generalmente insufficienti questi siano a livello peninsulare. La speranza, forse, è nella devoluzione dei poteri che trasferisce una fetta rilevante di responsabilità dal centro alla periferia.

Quel che è incoraggiante è aver verificato che, pur con tutti i fardelli della straordinaria arretratezza, pur con le secolari magagne delle sue criminalità organizzate, questo Sud sa crescere, nelle sue parti più intelligentemente dinamiche, quanto la locomotiva del mitico Nord-Est, esprimendo vitalità creativa, agganciandosi saldamente al ciclo economico internazionale.
Si può oggettivamente obiettare che il recupero nel grande ritardo di produttività e di reddito che ancora separa il Mezzogiorno dalle aree più avanzate d’Italia richiede tassi di crescita non soltanto uguali, ma addirittura doppi e tripli di quelli che vengono registrati nel resto del Paese. Il caso irlandese, che corre ormai da quindici anni al 7-8 per cento annuo, dimostra che tutto questo è possibile, sempre che si continui a trattare le regioni del Mezzogiorno come centri di un’economia normale, con la necessaria flessibilità, con la dotazione di reti di comunicazione ed energetiche. In Italia, questo sarebbe davvero un evento straordinario!

   
   
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