La rimonta italiana nei confronti dei partner
europei è stata degna di nota, ma resta ancora
un considerevole
ritardo da colmare.
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Ammontano a 10.600 miliardi i finanziamenti che il Mezzogiorno
avrebbe dovuto spendere nel 2000 per rispettare le scadenze imposte
dal vecchio e dal nuovo Quadro Comunitario di Sostegno. Il Tesoro
conta di poter trarre le conclusioni non appena perverranno da tutte
le amministrazioni, e in particolare dalle Regioni, i bilanci sulleffettivo
ammontare della spesa. Il dubbio sulleventuale taglio di risorse
è, dunque, tuttaltro che infondato. Anche perché
agli oltre diecimila miliardi dellanno scorso ancora da erogare
si sommano gli 11.900 previsti per il 2001, di cui ben quattromila
si riferiscono al neonato Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006,
(1.100 nel 2000) che, comè noto, non consente alcuna
proroga e per il quale è previsto il disimpegno automatico
delle risorse se alla fine di ciascun biennio non si è raggiunto
il traguardo concordato con lUnione europea.
Entro la fine dellanno il Sud dovrà, quindi, aver completato
la spesa del vecchio QCS 94-99, che ammonta complessivamente
a circa 69 mila miliardi ed erogato i 5.100 miliardi previsti dal
nuovo Quadro. I dati ufficiali, tuttavia, sono fermi per il 94-99
a giugno dello scorso anno, mentre per il 2000-2006 non si ha ancora
alcuna notizia precisa.
Linteresse che ormai hanno assunto i fondi europei per lo
sviluppo delle regioni del Mezzogiorno, daltra parte, è
direttamente legato alla penuria di risorse pubbliche destinate
a questarea del Paese nel corso degli anni Novanta. E infatti,
a partire dal 1992 comincia una vertiginosa discesa dei trasferimenti
sul totale a disposizione, che passano dal 19 per cento dei primi
anni Ottanta al 15,5 per cento del 92 e all11,7 per
cento del 97, a cui corrisponde una crescita del Prodotto
interno lordo appena di poco superiore allo zero, contro l1,5
per cento a livello nazionale. A pagarne le conseguenze sono stati
soprattutto gli investimenti fissi lordi, che nel 97 si erano
arenati a poco più del 16 per cento del modesto Pil meridionale,
mentre nei precedenti anni Ottanta non erano mai scesi sotto il
21 per cento.
Per il Sud, il risanamento finanziario combinato con la fine dellintervento
straordinario si è tradotto in una diminuzione degli investimenti
in soli sei anni del 24 per cento, che arriva addirittura al 30
per cento nel settore delle costruzioni, e in generale nelle opere
pubbliche. E soltanto a partire dal 97 che si cominciano
a intravedere segnali di ripresa. E non a caso.
E da quellanno, infatti, che incomincia uninversione
di tendenza sia attraverso gli incentivi alle imprese finanziati
con la Legge 488 sia con la maggiore attenzione al finanziamento
delle opere infrastrutturali cui sono dedicate una parte significativa
dei vecchi fondi europei e la maggior parte di quelli assegnati
dallultimo QCS.
Il rigore sia pure troppo burocratico imposto da Bruxelles
ha sollecitato le amministrazioni centrali e regionali ad accelerare
impegni e spesa. Tuttavia, come emerge dagli ultimi dati a disposizione,
il Mezzogiorno deve fare ancora i conti con uneccessiva lentezza
nellutilizzo delle risorse comunitarie. A pesare, in passato,
è stata soprattutto una scarsa cultura della progettazione,
insieme con lavvalersi più della politica degli annunci
che di quella dei fatti. Ma nonostante la spinta su questo fronte,
(il finanziamento, per la prima volta, degli studi di fattibilità
ne costituisce un ottimo esempio), è evidente che a gran
parte delle amministrazioni manca ancora una pratica dellefficienza
e dellefficacia che si realizza anche (se non soprattutto)
attraverso una chiara assunzione di responsabilità, più
che nella redazione di migliaia di pagine di documenti teorici sullo
sviluppo.
Certo, la rimonta italiana nei confronti dei partner europei è
stata degna di nota, negli ultimi anni, ma resta ancora un considerevole
ritardo da colmare nei confronti di quei Paesi come Irlanda,
Spagna e Portogallo che hanno saputo utilizzare con maggiore
efficacia e rapidità il poderoso volano dei fondi strutturali
nel corso del decennio scorso.
Mario Monti ha ricordato, con la sua abituale precisione, due cifre
italiane: il tasso di realizzazione del 69 per cento dei progetti
nel Mezzogiorno e del 49 per cento nel Centro-Nord di tutti i progetti
finanziabili nel periodo 94-99 attraverso i finanziamenti
comunitari. E le cifre del Secondo Rapporto di Coesione, reso noto
da Bruxelles, danno indicazioni ufficiali molto simili: nei pagamenti
effettuati dal nostro Paese sui fondi del passato quinquennio si
è al 67 per cento nellArea Obiettivo Uno del Mezzogiorno,
al 51 per cento nellArea Obiettivo Due delle aree in declino
industriale del Centro-Nord, mentre sono fermi al 63 e al 52 per
cento gli Obiettivi Tre e Quattro, destinati alla formazione.
Uno sguardo alle cifre di altri Paesi fa emergere che lItalia
nel cruciale Obiettivo Uno è maglia nera nei pagamenti insieme
con la Gran Bretagna (che però attinge limitatamente alla
fonte di Bruxelles), mentre rimane ben distanziata da Irlanda (87
per cento), Spagna (82 per cento) e Portogallo (addirittura all89
per cento). E vero che il recupero, iniziato nel 97,
ci ha fatto rivedere una coda del gruppo che, fino a pochi anni
fa, rimaneva ben nascosta dentro alla curva, ma è altrettanto
vero che la forbice cè, e non può essere negata.
Nei primi anni Novanta un mostruoso groviglio di carenze di programmazione,
inefficienze regionali e lentezze nei co-finanziamenti nazionali
ci aveva relegato in una situazione imbarazzante in Europa. Si pensi
che a fine 95, cioè due anni dopo la scadenza, lItalia
doveva ancora spendere il 30 per cento del pacchetto di fondi 89-93.
Per quanto riguarda la tranche successiva di fondi strutturali del
periodo 94-99 (quello che Monti sollecita a completare),
a fine 96 si rimaneva per lObiettivo Uno (in tutto,
60 mila miliardi, per metà finanziati da Bruxelles) al 15
per cento dei pagamenti, mentre lIrlanda poteva già
sfoggiare il 43 per cento, il Portogallo il 38 per cento, la Spagna
il 34 per cento, e persino la Grecia il 26 per cento. Lallora
ministro del Tesoro (Carlo Azeglio Ciampi) si era prefisso di arrivare
al 38 per cento entro il 97, per poi raggiungere il 55 per
cento entro il 98, un obiettivo assai ambizioso, vista la
falsa partenza italiana, ma che ci ha lasciato quasi un anno di
ritardo rispetto ai partner più efficienti.
Chi spende
di più
|
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Spesa
pro-capite
|
Spesa
per Regioni
|
Abruzzo
|
11.378.000
|
14.553
|
Basilicata
|
12.052.000
|
7.326
|
Calabria |
11.247.000
|
23.223
|
Campania |
10.084.000
|
58.414
|
Emilia
Romagna |
14.174.000
|
56.127
|
Friuli
Venezia G. |
16.249.000
|
19.238
|
Lazio |
17.354.000
|
91.195
|
Liguria |
15.555.000
|
25.394
|
Lombardia |
14.380.000
|
133.900
|
Marche |
11.734.000
|
17.079
|
Molise |
11.255.000
|
3.703
|
Piemonte |
14.554.000
|
62.408
|
Puglia |
10.335.000
|
42.235
|
Sardegna |
12.382.000
|
20.486
|
Sicilia |
9.185.000
|
46.825
|
Toscana |
13.053.000
|
46.057
|
Umbria |
13.221.000
|
11.009
|
Valle dAosta |
19.168.000
|
2.300
|
Veneto
|
10.678.000
|
47.917
|
Trentino
Alto Adige |
20.359.000
|
18.926
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Certo, fa ben sperare adesso il fatto che il Quadro comunitario
italiano per lObiettivo nel periodo 2000-2006, che potrà
convogliare 42.500 miliardi al Sud, sia stato il secondo importante
ad essere approvato, dopo quello portoghese. Ma oltre ai recuperi
nelle percentuali di utilizzo e negli iter procedurali, lItalia
dovrà provare di saper impegnare bene i fondi europei sul
campo. Dimostrare, insomma, di saper attuare anche in Campania o
in Calabria, in Basilicata o in Puglia, quelle aree di produzione
e commerciali hi-tech che, negli ultimi dieci anni, hanno rilanciato
zone rurali dimenticate dellIrlanda o aree minerarie obsolete
delle Asturie.
Ciò, soprattutto nel momento in cui crolla uno dei miti dellassistenzialismo
del nostro Paese. Il Sud assorbe la stragrande maggioranza delle
risorse pubbliche destinate alle Regioni? Secondo i dati della Ragioneria
Generale dello Stato, il Nord nel suo complesso riceve il 49 per
cento degli oltre 740 mila miliardi di trasferimenti dallAmministrazione
centrale, contro il 22 per cento del Centro e il 29 per cento delle
Regioni meridionali. Su cento lire, insomma, quasi cinquanta finiscono
in tasca alle Regioni settentrionali, e della somma totale ben 133.900
miliardi finiscono alla Lombardia.
Dalla scomposizione dei trasferimenti che si estende anche al bilancio
dellintera amministrazione pubblica, emerge poi un dato interessante
per quanto riguarda la distribuzione pro-capite della spesa in ciascuna
Regione italiana: dalla ricerca emerge che la più spendacciona
è il Trentino-Alto Adige, con oltre 20 milioni di trasferimenti
a testa, cioè per abitante, seguito dalla Valle dAosta
con circa 19 milioni e dal Lazio con 17 milioni di lire.
La media nazionale è pari a 18,3 milioni. Per la Sicilia,
si riscontrano 9,1 milioni pro-capite, per il Veneto 10,6, per la
Campania 10, per la Puglia 10,3. Seguono, in fondo alla classifica,
le altre Regioni meridionali.
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