Giugno 2001

IL VALORE DELL’EURO

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Su e giù
per montagne russe
Martino G. Carboni  
 
 

 

 

 

Se l’euro scende
dalle montagne
russe si potranno
orchestrare
con maggiore
chiarezza ruolo
e commerci del
Vecchio Continente.

 

Non c’è dubbio che il 2001 rappresenti un banco di prova fondamentale per l’euro, anche se c’è chi sostiene che forse è ancora troppo presto per preoccuparsi del suo rafforzamento, o, addirittura, della sua forza ritrovata. La metafora della bottiglia mezza piena o mezza vuota rende sempre l’idea.
A proposito degli interrogativi che incominciano a serpeggiare anche tra gli esperti, verrebbe quasi da chiedersi: e adesso, povero euro? E adesso, pover’uomo? era il titolo di un romanzo del 1932 di Hans Fallada, uno scrittore tedesco passato dall’espressionismo al verismo, e non c’è altra analogia che nell’assonanza.
Ma, dopo aver visto il cambio della moneta unica deprezzarsi nei suoi primi due anni di vita, fino a toccare il minimo dei suoi minimi storici rispetto al dollaro il 26 ottobre scorso a 82,30 centesimi (pari a 2.352 lire), qualcuno non perde tempo e si domanda se per caso l’euro in questo momento non si stia rafforzando troppo, e troppo velocemente.
Dopo gli interventi della Banca centrale europea di Wim Duisenberg sui mercati finanziari, il suo recupero aveva assunto carattere più duraturo (strutturale, se si preferisce) con la progressiva conferma del rallentamento, o atterraggio morbido, dell’economia degli Stati Uniti. Il 27 novembre era ancora a 0,83 centesimi, ma subito dopo il Natale segnava già un rialzo dell’11 per cento, superando quota 0,93 centesimi, per sfiorare 0,95 il primo giorno utile del 2001. Il dollaro, a quel punto, aveva perso circa il 14 per cento nei confronti dell’Europa dei Dodici (il primo gennaio è entrata anche la Grecia, cioè la dracma).
Subito dopo la riduzione dei tassi di interesse americani, il 3 gennaio, la moneta unica ha avuto un breve arretramento, e successivamente ancora un’extrasistole (neurovegetativa), quando i dati sulla disoccupazione statunitense erano sembrati un po’ meno preoccupanti, fino a chiudere in risalita, attestandosi poco al di sotto di quota 96 centesimi: che è come dire ai livelli del marzo del 2000, quando il cambio dell’euro con il dollaro era deprezzato di circa il 18 per cento rispetto al cambio ufficiale alla nascita, il primo gennaio 1999, di 1,1667 dollari, e di poco meno del 19 per cento rispetto al massimo storico di 1,1790 cinque giorni dopo. Dopo di che, toccata a dicembre dello stesso anno per la prima volta una parità “uno a uno”, scesa il 27 gennaio del 2000 al di sotto, il deprezzamento della moneta unica in confronto al dollaro aveva superato, a fine ottobre, il 29 per cento rispetto alla partenza e il 30 per cento sul massimo.
Parità diventava sinonimo di un dollaro per euro e, guardando indietro, all’avvio e, ancor prima, alla fase di preparazione, più che al titolo di Hans Fallada, molti pensavano a quello di Ernest Hemingway (Breve la vita felice di Francis Macomber). Ma in effetti quello che si temeva, all’inizio, era proprio che l’euro fosse “troppo forte”; oltre che, ovviamente, una moneta forte, degno rivale della divisa americana. Poi, quando la sua debolezza è sembrata nientemeno che una fortuna, date le carenze politiche, per stimolare le esportazioni e per trainare una ripresa congiunturale molto ritardata, si è arrivati a ragionare in maniera diametralmente opposta. Adesso, certamente, è opportuno chiedersi che cosa voglia dire “troppo” forte, o, al contrario, “troppo” debole.
Un cambio con il dollaro a quota 0,96, che era giudicato un livello preoccupante non più tardi di nove mesi fa, quando la moneta unica era in discesa, può esserlo ora che la stessa moneta unica sembra essere in fase di recupero?
La questione è evidentemente mal posta. Una moneta non fragile è premessa indispensabile per garantire nel Vecchio Continente una crescita che sia in grado di utilizzare in modo particolare nel mercato interno le risorse disponibili: un obiettivo che dipende da molte altre condizioni politiche. Tenendo conto, beninteso, che un mondo valutario tripolare, vale a dire basato sul dollaro, sull’euro e sullo yen, richiede ogni possibile sforzo di coordinamento di fronte ai rischi attuali. Sarà questo, di sicuro, uno dei temi al centro dell’agenda dei banchieri centrali del “Gruppo dei Dieci”, ogni volta che questi decideranno di incontrarsi.
Il problema di fondo, infatti, è nel decidere di volta in volta quale sia la strategia da adottare per la moneta unica: se, da una parte, un euro forte o rafforzato potrà svolgere un’importante funzione trainante per una “locomotiva-Europa”, dall’altra un euro meno forte rispetto al dollaro può agevolare le esportazioni dei Paesi europei.
La stabilità della moneta unica, comunque, potrà disegnare una politica economica nuova: se l’euro scende dalle montagne russe, e si attesta su valori di buon livello, rispetto alle divise americana e nipponica, allora si potranno orchestrare con maggiore chiarezza ruolo e commerci del Vecchio Continente. E con ogni probabilità nell’area euro entreranno prima del previsto i Paesi che fino a questo momento se ne sono rimasti ai margini.

   
   
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