Giugno 2001

PROFILI PARALLELI

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I signori della moneta
Manuel Rios Galante  
 
 

 

 

 

Ogni americano
che si rispetti non scommette più sui numeri del Bingo, ma su Alan
Greenspan,
il presidente della Banca Centrale americana.

 

Poco tempo fa, proveniente da Davos, Bill Gates è sbarcato a Roma: ha incontrato il presidente della Repubblica e qualche ministro, ha rilasciato interviste a giornali e televisioni, ha arringato i nostri industriali ospiti del presidente di Confindustria. E che cosa ha detto il guru della new economy, oltre che patron della Microsoft? Prima di tutto, che neanche lui sa che cosa sia davvero la new economy, dettaglio che ci fa stare tutt’altro che tranquilli. Ha poi confessato, però, di essere ottimista, perché è fiducioso che la recessione americana rientrerà nel breve periodo e gli Stati Uniti torneranno a marciare compatti. Il che ci fa stare un po’ più sereni. E tuttavia, è in Europa che Gates è venuto ad annusare l’aria, portandosi dietro il computer del futuro, ormai piccolo come un libro. Segno che anche lui pensa che quello europeo sia destinato ad essere il mercato fondamentale nei prossimi anni.

Non è cosa da poco. Gates (100 mila miliardi di patrimonio personale!) sarà pure ottimista, ma i suoi connazionali lo sono molto di meno. Negli ultimi tempi il cosiddetto “indice di fiducia”, vale a dire il termometro che misura le aspettative americane, e di conseguenza la loro propensione al consumo, è precipitato a livelli mai toccati. E anche questo è un segno rivelatore: negli Stati Uniti il Prodotto interno lordo è fatto per la più gran parte di spese per consumi. Se questi calano, l’intero sistema rischia di fermarsi. La situazione non può non riguardarci, soprattutto adesso che i Paesi d’Europa sono legati l’uno all’altro dal comune destino dell’euro, e questo, a sua volta, è intimamente intrecciato a quello del dollaro. I maggiori economisti parlano ormai esplicitamente di recessione statunitense e l’ondata di licenziamenti, che per la prima volta dopo anni di espansione colpisce il Paese, sicuramente non contribuisce a rasserenare gli animi. Anche perché le lettere di “fine del rapporto di lavoro” piovono indifferentemente sui colossi della “old economy” come su quelli della “new economy”. I listini di Borsa non danno più le soddisfazioni degli anni scorsi, e il clima è tale da avere influenzato sia l’artigiano dell’Ohio sia i grandi guru della finanza che non aspettano svolte decisive nel breve periodo, almeno a giudicare dalla freddezza (quasi gelo) con cui Wall Street ha reagito all’ulteriore intervento con il quale la Federal Reserve ha ridotto il costo del denaro.

La Federal Reserve, nota come “Fed”, appunto. Ormai, ogni americano che si rispetti non scommette più sui numeri del Bingo, ma su Alan Greenspan, il presidente della Banca Centrale americana. Soltanto lui, sostengono giornali, telegiornali e opinione pubblica, può salvare gli Stati Uniti da ciò che cittadini e operatori temono più di ogni altra cosa: il congelamento dell’economia. I precedenti sono tutti dalla sua parte, ma a questo punto nessuno può dire da quale versante può pendere la bilancia. Greenspan, infatti, guida la Fed da quattordici anni, e le sue manovre sulla moneta hanno già salvato l’economia statunitense un bel po’ di volte, tutte le volte che è stato necessario intervenire: certamente nel 1987, quando Wall Street conobbe una crisi tragicamente simile a quella del 1929; ma anche alla fine degli anni Novanta, quando i mercati vennero travolti dal crollo delle cosiddette “tigri asiatiche” e del Giappone in recesso, prima, e dalla crisi russa quasi subito dopo.
Le terapie predisposte riusciranno a funzionare anche questa volta? Fino a questo momento il taglio dei tassi non è servito a molto, ed è dunque probabile che altri ne seguano. Ma a pensarci bene, se fallisce, altro che licenziamenti a go-go! L’indice di fiducia finirebbe sotto terra. E sarebbero guai per tutti.
Che cosa succede, specularmente, in Italia? Succede che Antonio Fazio non è Alan Greenspan. E non per la ragione – sciocca e provinciale – che Fazio è il Governatore della Banca d’Italia, mentre Greenspan è il presidente della Federal Reserve americana. Fazio non è Greenspan perché da due anni Bankitalia non ha più il controllo della lira, mentre la Federal Reserve è tuttora la custode del dollaro. Il banchiere americano, quindi, può far seguire i fatti alle parole, alzando o abbassando il tasso di sconto per tenere a bada o per dare ossigeno all’economia. Il banchiere italiano può far seguire alle parole soltanto altre parole, perché le leve di comando sono a Francoforte, dove siede Wim Duisenberg, e, per l’Italia, l’economista Tommaso Padoa Schioppa.

Fazio (come chiunque altro, oggi, al suo posto) è una sorta di re senza regno, al quale però si continua a prestare il dovuto omaggio, anche per la caratura del personaggio. Il suo incarico è a vita. Le ragioni della non-scadenza del Governatore hanno origine proprio nella delicatezza del compito originario: ogni Banca Centrale deve essere il più possibile libera dalle logiche politiche. E si è pensato che un Governatore svincolato dalla preoccupazione della scadenza, del rinnovo, del futuro, potesse essere legittimamente più autonomo. Un sistema, questo, che ha funzionato, ove si pensi al prestigio raggiunto da figure come quelle di Guido Carli, da Carlo Azeglio Ciampi, da Lamberto Dini e dallo stesso Antonio Fazio.
Il Governatore continua, come un tempo, a dare consigli sui grandi temi economici e ad esprimere il suo pensiero sulle cifre del Paese-Italia. Anzi, il ritmo degli interventi è andato crescendo rispetto al tempo in cui il Governatore parlava soltanto il 31 maggio, in occasione dell’Assemblea di Via Nazionale. E tuttavia oggi i poteri della Banca d’Italia non sono più quelli di una volta, essendo limitati alla vigilanza del sistema creditizio.

Se, dunque, si dà tanto credito al Governatore, è perché le indicazioni della nostra Banca Centrale hanno comunque il timbro di un’istituzione di prestigio, cui Fazio somma valore aggiunto non soltanto per il proprio livello intellettuale, ma anche perché sta tentando di sanare le crepe che nell’Istituto hanno fatto capolino, a cominciare dai numeri dei bollettini cartacei, che sono costruiti con criteri contabili superati dai pagamenti on line, e dal sito Internet che ha bisogno di essere arricchito, con continui aggiornamenti. Il problema interno del Governatore, pertanto, è quello di mettere la Banca Centrale al passo con i tempi, nel più breve tempo possibile.
Quello esterno, come abbiamo detto, non si incentra più – dopo l’ingresso della lira nell’euro – sul controllo della nostra divisa, destinata a sparire dalla scena di qui a non molto. Ormai il Governatore è una specie di coscienza critica del Paese, del suo sistema economico e produttivo, degli apparati bancari e finanziari.
Destino, questo, che lo accomuna a quello degli altri Dieci che hanno visto confluire le proprie divise nazionali nella moneta unica, in attesa che altrettanto succeda per i Quattro che ancora nicchiano (ma fatalmente non potranno restare spettatori ancora per molto).

   
   
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