Marzo 2001

AA. VV.

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Le Giravolte
percorsi per: florio santini - pierluigi mele - giulio palmieri - a. b. - simona giannini
 
 

Ad un tipo dal viso intagliato dal vento di sabbia, con gli stinchi di certi santi eremiti e con tanta civiltà del deserto alle spalle, non lasci l’obolo del bianco buono.

 

In Mauritania

l’asino arpista racconta

Trovai albe limpide e fredde, cielo terso fino a mezzogiorno e un sole, oscurato dalla puntuale sabbia pomeridiana, che fa dolere la testa, sudare, batter la fiacca, innervosire senza ragione. Invece, i Mauri hanno spesso freddo: ho visto bambini andare a scuola di corsa per riscaldarsi; con metodo, senza fatica apparente, fino a quando riuscii a seguirli, lo sguardo abbacinato dalla luminosità bianca, spettrale, lungo il rettilineo che attraversa la città sovrapposta al deserto.
Sembrava una visione simbolica del Terzo Mondo; mi venne fatto di ricordare, all’improvviso, gli studenti garfagnini che correvano per riscaldarsi, lungo una strada orlata di neve vera, mentre viaggiavo, ogni mattina, verso il liceo di Castelnuovo, gelato, sulla corriera della Fiumana Bella, lungo la valle del Serchio…
Qui le donne guardano il forestiero con inattesa, insidiosa malizia; io guardavo le capre mangiare carte ministeriali, scientificamente tritate a custodia di sopraggiunte burocrazie da sviluppo, e persino le bottiglie vuote di plastica dell’acqua minerale “europea”, rimestando tra i mucchi di ghiotte immondizie che si formano agli angoli delle case abitate dalla cooperazione internazionale o assistenza tecnica che dir si voglia.
Trovavo, tuttavia, risoluta gentilezza, non servilismo ad uso turistico.
A Dakar esiste l’albergo “Téranga”, a Nouakchott il “Marahaba”. Ambedue significano “Benvenuto”: il primo in wolof, il secondo in arabo.
I Mauri non amano le espansioni; sono introversi come chi visse per secoli nel silenzio. Sentono l’indipendenza in modo austero.
Dakar, inoltre, a fronte di altre capitali africane, diviene metropoli colma di benessere.
Per questo, osservavo le presenze commerciali italiane; una macchina da gelati, per i neri di Dakar; una lavanderia industriale, per i bianchi di Nouakchott.
Insufficiente, questo mio indagare, passeggiando in mezzo a gente bruciata dal sole, essiccata dalla parsimonia dei nomadi.
Fu così che presi a far domande ad un giovane geologo, una di quelle intelligenze del nostro Sud che, trapiantate, danno risultati tali da farci disprezzare ogni luogo comune sulle migrazioni.
Non per caso, quella sera, invitato a parlare nella residenza del console onorario d’Italia a Nouakchott, presenti altri nostri operatori in Mauritania con rispettive coraggiose mogli, scelsi un argomento a me caro: “Italiani nel mondo”.
Ma il “mio” tecnico non chiacchiera volentieri; indica carte misteriose, spiega; regala sorridendo accette preistoriche, rose del deserto, stromatoliti di 860 milioni di anni fa, nonché immagini meravigliose, fissate dall’elicottero durante i voli verso l’interno; anche perché, ogni tanto, un autocarro gigante si perde e si trasforma in piccolissimo oggetto da ritrovare. Nella sabbia, nemmeno a dirlo, dove le coordinate servono fino ad un certo punto…

Fu così che, senza rischio alcuno, vidi in fotografia le dune del deserto, le croste del cosiddetto continente intercalare, le arenarie con fratturazione a colonne e una tomba di pietre con l’asse orientato verso la Mecca.
Vorrei non sembrasse poco.
Quanto si sente ignorante un addetto culturale, in situazioni del genere! Perchè non ammetterlo? L’auto s’inoltra fuori strada, con iniziative pistaiole degne del passato carovaniero di chi la guida: un passato senza curve.
Ben poco mi resta da vedere: il mercato, dominato dalle catinelle a fiori, destinate a mille usi; le piccole fucine, dove sono fabbricati cofanetti in legno e argento, bracciali e cavigliere. Quest’ultime sono molto grosse e pesanti, così da far pensare al perché del lungo passo delle donne ammantate, che mai perde la caratteristica solennità.
Volli insistere: l’innata fierezza del Mauro fu irremovibile nel vietarmi approcci.
Gente regale; non ebbi coraggio; ad un tipo dal viso letteralmente intagliato dal vento di sabbia, con occhi simili alle fessure della terra secca, con gli stinchi di certi santi eremiti e con tanta civiltà del deserto alle spalle, non lasci l’obolo del bianco buono.
Pensavo che, a parte il colore della pelle, non tutti sanno rifiutare una transazione. A proposito di fierezza femminile, poi, devo aggiungere che la mia vita è stata ricca di tristi confronti e di brusche delusioni. Per esempio, dopo alcuni anni di lontananza da casa, seppi che l’ormai ex moglie, dopo una lunga, ostinata, vendicativa fedeltà calabrese, pur di potersi sentire sicura sotto un tetto, pur di poter contare sopra una qualunque ricchezza anziché sulla mia inetta poesia, alla fine, aveva affidato la propria materiale esistenza economica ad un altro gentiluomo. Niente da eccepire, ma…confesso che quell’inatteso baratto mi fece soffrire; addirittura molto, molto di più di quando mia madre era morta in decorosa povertà.
Meglio cambiare argomento, rifugiarsi ancora una volta nel sogno, che, a mio avviso, sta per «nel mondo come vorresti che fosse».
Tuttavia, considerando che m’è venuto da ricordare mia madre in un passaggio così estemporaneo e impoetico a proposito di fierezza femminile, voglio dedicare alla sua memoria, sempre educativa e ricorrente, un saluto conclusivo che, senza dubbio, le sarebbe piaciuto.

florio santini

   
   
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