Il Mezzogiorno
si veniva dotando
di una moderna
università, proprio quando nel resto dEuropa la ricerca
trovava fuori delle università
nuovi modi
di aggregazione
e di organizzazione.
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«In Napoli, in fatto di istruzione pubblica, non esisteva
quasi nulla [...]. In tre o quattro mesi io ho creato, permettetemi
questa superba parola, ho creato luniversità di Napoli».
Laffermazione di France-sco De Sanctis, secondo la quale luniversità
partenopea era nata con la sua opera di ministro, se politicamente
comprensibile, se storicamente giustificata, ebbe paradossalmente
il significato di non fare i conti col passato, ma di cancellarlo.
Gli effetti di una posizione come questa, analoga a quella di Antonio
Genovesi riferita agli anni Trenta del secolo precedente e allopera
di Celestino Galiani, o ancora retrocedendo a quella di Giannone
sulla svolta della metà del secolo XVIII, hanno in un certo
modo giustificato e accreditato lidea dellinesistenza
di una passata cultura scientifica, e di contro quella di una scienza
sempre senza alcun passato, schiacciata sul presente, frutto di
reiterate nascite piuttosto che di rinnovamenti o di rinascite.
Appare fin troppo semplicistico attribuire alla storiografia neo-idealista
la responsabilità di aver trascurato, occultato, o ancor
peggio determinato in senso negativo il ruolo della cultura scientifica
del Mezzo-giorno, con i suoi risultati e con le sue sconfitte, e
di averle invece sostituito i percorsi trionfali della filosofia
e delle discipline umanistiche. In realtà, essa, e non solo
essa basti pensare che nella grande Storia di Napoli, pubblicata
negli anni Sessanta da punti di vista molteplici, ma certo distanti
da egemonie neo-idealiste, è ancora assente ogni considerazione
sulla scienza non fece che accettare il modo con cui si erano
storicamente configurati il peso e il ruolo della scienza nel Sud,
e il cui occultamento non era il prodotto di una malizia ideologica,
ma il risultato del singolare rapporto tra scienza, Stato e società.
E daltra parte, quasi a riprova, basterà porre mente
al fatto che, nellimportante storiografia dedicata alla storia
della scienza italiana nel periodo positivista, la cultura meridionale
ebbe una parte assai poco significativa.
Attualmente, (e lo ha rilevato autorevolmente Giuseppe Galasso),
limmagine storiografica che vedeva nelle opere e nellepoca
di Bruno e di Campanella, tra la fine del Cinquecento e linizio
del Seicento, lultimo grande momento del pensiero meridionale,
con leccezione isolata e incompresa del Vico, si è
trasformata e modificata profondamente, restituendo limmagine
di un Mezzogiorno dove i grandi momenti della discussione scientifica
europea, da Galileo a Descartes, da Newton a Lavoi-sier, da Buffon
a Lamarck, trovano pronta accoglienza e originale discussione. Così,
tra il XVII e il XVIII secolo il dato costante che caratterizza
la situazione napoletana è il divario dellinformazione
e della discussione, sempre a confronto di quella delle altre aree
della Penisola e di quella europea più avanzata, e la sua
ricaduta nella società civile, lincapacità di
farsi ora scuola, ora istituzione, la difficoltà di incidere
nellorganizzazione del sapere e del vivere civile.
Il terzo tesoro
Di Caserta tutti conoscono la splendida reggia vanvitelliana;
di Casertavecchia (Casa irta), molti conoscono
lo splendore urbanistico e monumentale del borgo longobardo;
pochi, o pochissimi, hanno visitato il terzo tesoro di questa
città, il Real Sito di San Leucio, che, per la complessità
e per la molteplicità degli aspetti dinteresse,
è persino più importante dei primi due.
San Leucio è antica ma viva. La sua storia nasce da
unutopia concepita dal secondo re Borbone, Ferdinando
IV, al tempo in cui porgeva orecchio allideologia dei
Lumi. Idea portante dellesperimento: una comunità
basata sulla comunione dei mezzi di produzione e su un relativo
affrancamento dalla soggezione a gerarchie, leggi e fiscalità.
Unidea già affiorata in Carlo III, il costruttore
della reggia. In Calabria, costui aveva fondato Carlopoli,
area in cui ai residenti erano stati assegnati gratuitamente
terreni e attrezzi per la coltivazione, a patto che accettassero
di essere stabilmente membri della comunità. Questa
iniziativa influenzò sicuramente Ferdinando IV, che
sotto la guida del Tanucci volle dar vita ad una comunità
retta da regole del tutto innovative.
Un nucleo iniziale di residenti era già presente intorno
al 1775, quando il re appuntò la propria attenzione
sul bosco di San Silvestro, dove abitualmente cacciava, trovando
poi rifugio nel casino di Caccia e, dopo che questo fu funestato
dalla morte del suo primogenito, nel palazzo Acqua-viva. Fu
questo il perno del complesso edilizio intorno al quale si
mosse la colonia, con laggiunta dei corpi di fabbrica
in cui si insediarono le filande della seta e i telai. Più
a valle vennero dislocati i quartieri urbani, destinati ad
ospitare le famiglie dei setaioli.
La fabbrica riunì in un articolato complesso le parti
propriamente dedicate alla produzione e quelle destinate alla
scuola di formazione. In un braccio del palazzo Acquaviva
trovò posto lalloggio reale, che era in diretta
comunicazione con la stanza di telai e filande. Gli ambienti
reali furono dipinti da artisti illustri, dallHackert
(il vedutista i cui quadri figurano nella collezione di palazzo
reale) al Fischetti, al quale si deve la decorazione della
sala da pranzo, col trionfo di Bacco e Arianna.
Di pari passo con lo sviluppo industriale della produzione
di seta, furono impiantate altre imprese, soprattutto in agricoltura
e in zootecnia. In geometrica simmetria vennero impiantate
le vigne della Torretta e del Pomarello,
dello Zibibbo e del Ventaglio. Gli
oliveti salivano morbidamente sul fianco della collina, fino
al limite del bosco. Linsediamento di allevamenti di
cavalli e di bovini diede il nome, tuttora conservato, al
quartiere alto della Vaccheria, nel quale sorse la splendida
chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Sistemate le macchine per la filatura e la tessitura, fu la
volta di gigantesche macchine idrauliche sospinte dallacqua
dellacquedotto carolino portata fin là attraverso
un condotto sotterraneo. Le opere di ingegneria civile e meccanica
che accompagnarono lo sviluppo della colonia lasciano a bocca
aperta chiunque, ancora oggi, le avvicina e riflette sui mezzi
tecnici con cui venivano concepite e realizzate. I ponti della
valle, lacquedotto carolino, le ciminiere, le macchine
tessili, oltre che prodotti della tecnica, sono opere darte.
Della tecnica hanno il rigore formale e lefficienza.
Dellopera darte portano il segno della creatività
dellautore e la leggiadria dei profili.
Ma il progetto ferdinandeo non si esauriva qui. Dal 1786 al
1799, nella parte bassa del sito, sorsero i quartieri di San
Carlo e San Ferdinando, con case rigorosamente simili luna
allaltra, unite in un disegno modulare a costituire
agglomerati, la cui vasta dimensione non tolse mai identità
alle singole cellule che li componevano. Il piano della città
nuova, cui preludevano questi quartieri, fu disegnato, ma
non è giunto fino a noi. Ricerche filologiche, condotte
soprattutto da Eugenio Battisti, delluniversità
di Milano, ce ne hanno tuttavia fornito esaustive ricostruzioni.
Nel 99 tutto era pronto per dar corso allattuazione
della città, ma lavvento dei francesi e della
Repubblica napoletana interruppe un processo che avrebbe potuto
offrirci una rara perla dellarte urbanistica del Settecento.
La comunità leuciana fu dotata di una Costituzione
coniata su misura, (Leggi per il buon governo della
popolazione di San Leucio), ispirata a forme di paternalismo
religioso e ad uno spinto egualitarismo. Il che fece scrivere
a Croce che lesperimento del sito si traduceva in una
«Colonia razionalmente e comunisticamente ordinata».
Fra le norme previste: una Cassa di carità, destinata
al sostegno di coloro i quali, senza colpa, si trovassero
in condizioni di non poter provvedere al proprio sostentamento;
lassicurazione dei mezzi di sostentamento e di produzione;
il diritto al lavoro e allassistenza sanitaria. La forma
di governo della Colonia era improntata a garantire a tutti
libertà diniziativa. I Seniori del popolo, cui
erano conferiti i poteri esecutivi, avevano il compito di
assicurare il rispetto della Carta dei diritti leuciani. I
quali disciplinavano fra laltro il matrimonio, la successione
e i rapporti sociali; lobbligo dello studio e del pieno
impiego; persino lintero cammino della produzione della
seta, dallallevamento dei bachi al prodotto finito.
Storicamente, la produzione, iniziata con i veli, (ancora
oggi la tessitura manuale consente a due operai di produrre
solo 15 centimetri al giorno), si articolò in tessuti
di varia fattura e dai nomi suggestivi: Ormesini, Rasi, Pekin
rigati, Lampassi, Spolinati, ciascuno frutto di tecniche sofisticate.
Ogni tessuto ha il proprio ordito (i fili longitudinali) e
la propria trama (i fili trasversali, della lunghezza standard
di 130 centimetri, pari allaltezza del telo). Varie
le densità di tessitura: dai 55 fili di ordito e 30
fili di trama del Lampasso, ai 136 fili di ordini e 40 fili
di trama del Damasco, per ogni centimetro quadrato di stoffa.
I disegni, spesso di grande ricchezza e di armoniosa composizione,
erano impreziositi a volte da inserti di fili doro e
dargento.
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A un fervore e a un fermento di discussioni, di opere, di traduzioni,
di originali ripensamenti, corrispondeva un deserto di istituzione,
dove quegli stessi fervori e fermenti avrebbero dovuto germogliare
e crescere.
Singolare situazione, che non mancò di essere subito sottolineata
da attenti osservatori e che costituì un punto fermo nelle
successive riflessioni e nelle azioni degli intellettuali meridionali,
da Intieri a Genovesi, a Matteo Galdi, a Pilla, a Piria, (e siamo
con questi alla vigilia dellUnità), nella comune consapevolezza
che solo attraverso e con la riforma dello Stato e della società
sarebbe stato possibile sviluppare le esigenze e le domande che
la scienza poneva con urgenza crescente. Così proprio a Napoli,
dove più carente appare e apparve il sostegno delle istituzioni
statali alla scienza, divenne, rispetto al resto del Paese, il luogo
in cui più preoccupante e più durevolmente si individuarono
la natura e il peso del rapporto che legava la scienza moderna alla
società e allo Stato, e dove, con un prezzo crudelmente alto,
la società civile fu costretta a sostituirsi allazione
dello Stato, escogitando canali precari ma non irrilevanti, come
accademie e scuole private, musei privati, osservatori privati,
sicuramente capaci di mantenere alto il livello della discussione
e dellinformazione, di rinnovarla e di rafforzarla, ma evidentemente
non in grado di produrre risultati duraturi, né di risolvere
il punto cruciale dei rapporti con lindustria e con la tecnica,
così decisivi tra Sette e Ottocento.
Soltanto traumatici eventi esterni, come il periodo francese e,
in seguito, lUnità, furono in grado di produrre quel
fatto di primaria importanza e di straordinaria novità per
il Sud che fu quello con cui, per la prima volta in epoca moderna,
lo Stato si assumeva in prima persona il compito di dar vita a centri
di ricerca scientifica e di conservazione del patrimonio scientifico,
riconoscendo nella cura e nello sviluppo della scienza uno dei suoi
compiti principali. Non agevolmente, perché se lo sforzo
dei francesi di dotare la capitale del Sud di musei
naturalistici e di osservatori per il breve periodo a disposizione
creò musei piuttosto che veri e propri centri di ricerca,
i problemi politici posti dallUnità, quelli organizzativi
di collocare in uno schema ideato per minori esigenze la
legge Casati ununiversità come quella partenopea,
paralizzata da secoli ma frequentata da un numero incalcolabile
di studenti, la volontà non miope, ma debole di non perderne
con lunificazione la specificità, finirono di fatto,
in sintonia col resto del Paese, col privilegiare gli aspetti didattici
e professionali a scapito di quelli della ricerca, nello stesso
momento in cui grazie al protezionismo si applicava un atroce spoils
system industriale a danno del Sud. Paradossalmente, il Mezzogiorno
si veniva dotando di una moderna università, e su di essa
basava la sua risorsa scientifica, proprio quando nel resto dEuropa
la ricerca trovava fuori delle università nuovi modi di aggregazione
e di organizzazione.
E Napoli conobbe ben presto quali fossero quei nuovi modi nelle
sale affrescate della Stazione Zoologica fondata da Anton Dorhn.
Se, una volta raggiunta lunità politica del Paese,
dalla fine del secolo scorso appare superato quel dato che aveva
caratterizzato dallinizio delletà moderna la
cultura scientifica del Mezzogiorno, cioè la divaricazione
tra una rilevante riflessione intellettuale e una scarsa ricaduta
istituzionale, («Egli avrebbe certamente più fatto,
se avesse trovato nella Corte chi lavesse voluto secondare»,
osservava Genovesi a proposito di Galiani), quella medesima divaricazione
ha impedito non solo la conservazione di strumenti, di apparati,
di gabinetti che fortunosamente e sempre privatamente gli scienziati
avevano utilizzato e si erano procacciati, (con alcune felici eccezioni),
ma anche la creazione, persino embrionale, di istituzioni atte alla
conservazione della stessa memoria storica, come pure in altre regioni
è avvenuto. Non solo, ma il susseguirsi di eventi esterni
significativi per la vita e per lorganizzazione della scienza
ha prodotto leffetto di cancellare di volta in volta quanto
aveva dato il periodo precedente, in termini materiali, ma anche
storici, di modo che ogni periodo, ogni cesura, dallinizio
del secolo XVII a De Sanctis, hanno potuto presentare e accreditare
se stessi come un fenomeno tutto nuovo, senza alcun legame con la
situazione precedente.
Riappropriarsi la memoria storica della vita scientifica nel Sud
è un compito importante non soltanto da un punto di vista
storiografico; è compito necessario per recuperare quel difficile
rapporto tra scienza e società civile che ha caratterizzato
negativamente un passato secolare. Non esercizio archeologico, né
celebrazione di borie provinciali, né rivendicazione di misconosciuti
primati: al contrario, si tratta di rimettere le mani nella storia
della scienza del Sud, nei suoi archivi, nelle biblioteche, nei
musei, negli istituti, di ricostruire vita e attività di
istituzioni e di uomini, il sorgere e il tramontare di accademie
scientifiche e di laboratori, di valutare mezzi e risorse, progetti,
vittorie e sconfitte, anche per superare il rammarico con cui un
testimone ottocentesco della vita culturale del Sud si doleva di
un sapere che non riusciva «a dare a queste contrade i mezzi
delle opere per sviluppare la vita propria delle genti moderne».
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