Gli uomini
torneranno
a recitare ogni volta gli stessi immortali copioni, col continuo
alternarsi di ère
e di cicli, di ascese
e di tramonti.
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A leggere Régis Debray, (IF suite et fin, edito da Gallimard),
lintellettuale francese (IF, appunto) è morto, lasciando
erede lintellettuale terminale (IT). Provocazione con putiferio
assicurato e con esportazione della polemica nello Stivale.
Apre il fuoco Alfonso Berardinelli: i transalpini hanno sempre chiesto
molto agli intellettuali, i quali hanno risposto allopinione
pubblica e alla politica disegnando grandi sistemi teorici. In Italia,
nessuno ha chiesto qualcosa agli intellettuali, campioni nellassumere
posizioni tuttaltro che nette. Si pensi a Cacciari, al quale
stanno bene simultaneamente il Papa, Nietzsche e il decisionismo.
Si pensi a Fortini, Sanguineti, Pasolini, Cases, Asor Rosa, Timpanaro,
Bobbio, Galante Garrone, Vattimo... Tutto un ceto intellettuale
precisa Marcello Veneziani con funzione ormai residuale,
di sacerdoti del clima ideologico, gestori del sottopotere televisivo,
universitario, editoriale. Cattivi maestri, ma ammirevoli per coerenza?
Soltanto Franco Fortini. E con ripensamenti critici sulla propria
appartenenza? Soltanto Pasolini. Punto e basta. Intellettuali disponibili
allintervento e alla partecipazione?
Risponde Carlo Bo: un animale in via di estinzione, in un Paese
come il nostro, sempre dipendente dalla Francia, particolarmente
da Sartre e da Camus.
Che cosa ha determinato la fase terminale? Disinteresse, appiattimento
sui propri interessi, distrazione, mancanza di desiderio, di curiosità,
di passione. Che più? Interviene Sebastiano Vassalli, che
citiamo testualmente: «Limpegno, per la nostra generazione,
è stato anche ingenuità e coglioneria [...]. Ora è
morto e sepolto da anni [...]. LIT è un narciso, come
i suoi predecessori; ma a differenza dei suoi predecessori non è
più un coglione, perché ha imparato a sposare idealismo
morale e arrivismo pratico. Combatte le battaglie giuste al momento
giusto, quando i riflettori attorno sono tutti accesi. E un
istantaneista, che unisce i vantaggi del colpo giornalistico
e del giudizio morale. Sa usare limpegno per far carriera».
Insomma: limpegno degli intellettuali, nato con Zola di Jaccuse!
pubblicato sul quotidiano Aurore, e con DAnnunzio concionante
dal balcone di Fiume, passato attraverso lintruppamento organico,
(ma quanto meno giustificato dopo i totalitarismi, la bomba atomica,
la Shoah), intaccato diciamo così dalla dabbenaggine,
oggi si accende soltanto in nome e in virtù della propria
ragion pratica, che è una ragione sempre più intrisa
di produttivismo affaristico. Traditi da un disarmante 8 settembre
post litteram, gli autentici intellettuali impegnati, quelli che
hanno creduto e agito per un ideale una volta condiviso o per autonoma
ispirazione, vivono letà del tramonto in volontari
esilii, lontani dai clamori di salotti e cenacoli, dalle patinature
di giornali pretenziosi e servili, dagli intrighi di saltafossi
e voltagabbana. Hanno perduto tutto, fuorché lonore.
Mirando il discorso. Ha fatto bene Storace (detto Refuso,
per via della sintonia ideologica con lindimenticabile nostro
conterraneo Starace) ad aprire la polemica sul manicheismo dei testi
di Storia. Ha fatto bene perché dal confronto-scontro seguito
sono emersi gli opposti manicheismi; perché
come ha scritto Ruggero Guarini la Storia non si rivela agli
accaniti sostenitori di una fede chiamata Storicismo, che sarebbe
conveniente chiamar meglio Storiolatria; perché ci offre
lopportunità di ribadire il discorso già
fatto in questa stessa sede sulle «frottole, contraffazioni,
omissioni, distorsioni e manipolazioni» consumate dagli storici
(«per amore, più che per odio») che si sono occupati
di argomenti-chiave delle nostre vicende nazionali.
Il morbo della Storiolatria non colpì gli antichi autori,
che furono immuni dallillusione che la Storia abbia un senso
e obbedisca a leggi che gli storici avrebbero il compito di rivelare.
Profondi conoscitori della natura umana, magnifici narratori di
eventi e di azioni e descrittori di caratteri, di costumi e di civiltà,
Erodoto, Senofonte, Tucidide, Polibio, Dione Cassio, Ariano, e Livio,
Sallustio, Svetonio, Cesare, Tacito, Ammiano concepirono la Storia
come una ribalta sulla quale gli uomini e i popoli, incalzati da
immutabili passioni individuali e collettive, non smetteranno mai
di avvicendarsi negli stessi ruoli, «di sfoggiare gli stessi
vizi e le stesse virtù, di inseguire gli stessi miraggi,
di soccombere ai medesimi destini». Gli uomini, per gli autori
classici, torneranno a recitare ogni volta gli stessi immortali
copioni, col continuo alternarsi di ère e di cicli, di ascese
e di tramonti di genti e di regni e di imperi, non obbedendo ad
alcuna legge che non sia quella (non storica, ma cosmica) che impone
alla natura il terribile gioco dei suoi eterni ritorni.
La Storiolatria dice Guarini è figlia legittima
della speranza storica, la cui essenza è di riportare il
Paradiso sulla terra, costringendo la Storia a sfociare in qualche
epilogo glorioso, nel lieto fine. Fede del tutto otto-novecentesca,
la speranza storica trovò il suo più illustre profeta
in Hegel, che vide in Napoleone lo Spirito Assoluto, nello Stato
Prussiano del suo tempo il compimento della Storia Universale e
nel proprio sistema filosofico il culmine insuperabile della Filosofia.
Poi sopraggiunse Marx, che nella classe operaia individuò
la salvatrice dellUmanità, nella Rivoluzione Proletaria
lultima convulsione della Storia e nel passaggio dal Capitalismo
al Comunismo il salto dal Regno della Necessità a quello
della Libertà, «versione profana del trasloco dallInferno
al Paradiso». Seguirono vari apostoli dei due sommi profeti,
compresi i bracci esecutivi che quei Paradisi ritennero di aver
creato, e che in realtà finirono per piantare le pietre miliari
dei lager e dei gulag.
La fede storiolatrica ha procurato solo disastri storici e sciocchezze
storiografiche. Chi ha avuto nei confronti della Storia diffidenza
o addirittura disprezzo, non ha ispirato nessuno di coloro che di
Storia hanno scritto con animo distaccato e con mano avvincente.
Non il Gibbon della Storia della decadenza e caduta dellImpero
Romano, non il Voltaire de Il secolo di Luigi XIV, che definirono
la Storia, il primo, «poco più che una registrazione
dei delitti, follie e sventure dellumanità»,
e il secondo, «un quadro di delitti e di sventure».
Le più belle pagine su Napoleone sono state scritte da uno
spregiatore della Storia, lo Chateaubriand delle Memorie dOltretomba,
mentre il libro più lucido sulla Rivoluzione francese si
deve ad uno storiofobo sublime, Ippolito Taine, mentre il Burckhardt
riteneva, riecheggiando Shakespeare, che la Storia fosse «un
racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e
che non significa niente», e che forse proprio per questo
scrisse magnifici testi sulla Grecia antica, sulla Roma di Costantino,
sul Rinascimento italiano e sul genio di Richelieu, prima di avvertire
per lettera gli amici con questa autentica profezia: «Questo
splendido ventesimo secolo è destinato a tutto tranne che
alla vera democrazia... Voi tutti non sapete ancora quale tirannia
si eserciterà sopra lo spirito, col pretesto che la cultura
sia unalleata segreta del capitale... Ho un presentimento
che può sembrare follia: lo Stato militare diventerà
una grande impresa industriale... Si profila allorizzonte
una lunga, volontaria sottomissione a singoli dittatori e usurpatori...
E proprio a lui, a Burckhardt, che dobbiamo laureo libretto,
Osservazioni sulla storia universale, che ciascuno di noi, e ciascuno
degli storiolatri, dovrebbe leggere e rileggere, come antidoto alla
cieca devozione e sudditanza storiolatrica.
Così fosse stato, non saremmo stati gabbati tanto a lungo
da una serie di mitologie sceneggiate dalla nostra storiografia
storiolatrica negli ultimi due secoli. Ne elenchiamo alcune:
la Rivoluzione Napoletana del 1799, che avrebbe originato
il nostro Risorgimento, di fatto non avvenne mai, dal momento che
la Repubblica Partenopea, come del resto è notissimo, non
fu frutto di un insurrezione interna, ma di unimpresa
dellesercito napoleonico che, sconfitti i borbonici e soffocata
nel sangue la resistenza delle plebi napoletane, si impossessò
di un lembo del Regno delle Due Sicilie e lo consegnò ai
giacobini locali, che giunsero al potere senza aver
mosso un dito per conquistarlo;
lo stesso Risorgimento non fu dovuto a un moto spontaneo
di popoli, ma una lunga guerra di conquista combattuta e vinta dal
Piemonte, con il sostegno di esigue minoranze di cospiratori interni,
di alcuni Stati europei e della massoneria;
il Fascismo, che viene ancora creduto di destra, fu in effetti
di sinistra, poiché le sue principali realizzazioni (partito
unico, identificazione dello Stato con il partito, statizzazione
di vari e vasti settori delleconomia, monopolio e controllo
dellinformazione, della cultura, dellistruzione e dellarte,
e via di seguito) sono le stesse che si potevano riscontrare nei
regimi comunisti;
lItalietta unitaria e prefascista raggiunse i suoi
primi traguardi con leco costante di migliaia di fucilazioni
con cui vennero represse nel Mezzogiorno le resistenze antisabaude,
e che di fatto portarono alla riconquista del Sud dopo
una feroce e sanguinosa guerra civile;
la Repubblica non è nata da una Resistenza, che non
accelerò di un solo minuto la resa dellItalia, ma dalla
sconfitta militare che per fortuna non si dovette allArmata
Rossa, ma alla Quinta Armata americana;
nessun tipo di rivoluzione politica (borghese, proletaria,
nazionale, riformista, socialista, terrorista...) ci ha dato i vantaggi
che la storiolatria attribuisce a ciascuna di esse; tutti i successi
sociali e materiali del nostro tempo (benessere, crescita delletà
media, miglioramento della condizione operaia, emancipazione della
donna, rivoluzione sessuale, cultura di massa, scomparsa di alcune
malattie, ecc.) sono figli dellalleanza tra capitalismo e
scienza, che ci hanno dato il treno, il telegrafo, il telefono,
lautomobile, la radio, laeroplano, i vaccini, le colture
intensive, la televisione, gli elettrodomestici, gli antibiotici,
il computer...;
nessuno storico del comunismo è riuscito a dare di
esso una definizione più illuminante di quella che, mezzo
secolo prima del suo avvento, venne formulata da Dostoevskij nellesilarante
pagina dei Demoni in cui un tal Scigalev rivelava che partendo dallidea
di unassoluta libertà si sarebbe arrivati a un dispotismo
assoluto, e spiegava che il comunismo non poteva che produrre esattamente
il contrario di quel che prometteva.
Scrive in Variazioni sullimpossibile Mario Andrea Rigoni:
«Ingannatrice beffarda dei suoi idolatri, la Storia si rivela
solo a chi la avversa: perfetto storico non può che essere
lantistoricista». Chi non è servo del principe.
Chi non antepone lideologia alla verità. Chi non mette
il partito al posto della coscienza. Chi non narra, ma racconta.
Chi non è Int(ellettuale) Imp(egnato) al proprio servizio
e al servizio del proprio Borsino.
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