Occorre studiare una regolamentazione che condizioni
gli incentivi per
la banca coinvolta nella funzione
antiriciclaggio,
affinché la sua
condotta sia il più possibile efficace.
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1. Introduzione
«[...] Le azioni delle Banche centrali sono uscite dal silenzio,
forse per non più ritornarvi; se quel silenzio è stato
in passato percepito come garanzia di indipendenza, oggi lindipendenza
si realizza nel rendere conto esplicito della propria azione in
modi e tempi che non ne compromettano lefficacia».
Questa frase fu pronunciata dal Governatore Paolo Baffi nel 1976;
oggi se sostituite allespressione le Banche centrali
semplicemente le banche, la considerazione di Baffi
diventa di straordinaria attualità, perché coglie
una fase importante e delicata del modo di far banca in Italia,
che riguarda laspetto fondamentale di tale attività:
la gestione delle informazioni sui clienti nei rapporti con terzi
soggetti, in particolare le istituzioni pubbliche.
Le banche si trovano sempre di più a dover perseguire due
finalità, entrambe essenziali per un corretto e proficuo
svolgimento dei propri servizi. Da un lato, nel rapporto con i clienti,
siano essi famiglie e imprese, la continua evoluzione dei prodotti
offerti, con un aumento del loro numero e della loro complessità,
continua a poggiarsi su una base di riservatezza, che è fisiologica
in unindustria che produce e distribuisce beni fiduciari.
Dallaltro lato, esigenze legate a finalità di interesse
generale, quale la difesa dellordine pubblico, spingono le
autorità ad utilizzare le banche in una funzione ausiliaria,
in cui è proprio il patrimonio informativo delle banche sui
propri clienti al centro dellattenzione. In questo senso,
emerge sempre di più la necessità di trovare un equilibrio
tra riservatezza e trasparenza, che consenta di coniugare lesigenza
microeconomica aziendale di scegliere condotte coerenti con la creazione
di valore economico, con la finalità macroeconomica di disegnare
politiche pubbliche efficaci. La ricerca di tale equilibrio è
particolarmente avvertita nelle banche locali, dove il radicamento
territoriale e il rapporto diretto con i clienti continua a caricarsi
di peculiari significati, anche con lavvento delle applicazioni,
nelle attività bancarie, delle nuove tecnologie dellinformazione.
Limportanza di rendere conciliabile il duetto
trasparenza-riservatezza emerge in tutta evidenza prendendo in esame
la regolamentazione antiriciclaggio, che è, sotto questa
prospettiva, realmente paradigmatica.
2. Il rapporto banca-clienti-autorità fra trasparenza
e riservatezza: il caso delle regole antiriciclaggio
La riforma della disciplina antiriciclaggio D. Lgs. 26 maggio
1997, n. 153 e le ipotesi di un Testo Unico Antiriciclaggio,
nonché lultima versione del Decalogo della Banca dItalia,
che ha visto la luce lo scorso 17 gennaio, rappresentano nelle intenzioni
delle autorità un punto di svolta nel rapporto tra sistema
bancario ed esigenze pubbliche di lotta alla criminalità.
Due i princìpi cardine di tale svolta: netta separazione
tra area finanziaria e area investigativa, con lUIC a rappresentare
il filtro tra il mondo bancario e quello ispettivo-giudiziario;
depenalizzazione. Con una motivazione di fondo: modificare un quadro
normativo che ha fino ad oggi prodotto risultati non lusinghieri
in termini di significatività delle segnalazioni (inefficacia),
e costi certi materiali ma soprattutto immateriali
per il sistema bancario (inefficienza).
La disciplina antiriciclaggio assegna agli operatori bancari compiti
di pubblica utilità, che si affiancano alla missione aziendale
principale di produrre reddito, offrendo in modo efficiente servizi
bancari competitivi. Va osservato che la caduta delle barriere competitive
nazionali, conseguente allintroduzione della moneta e del
mercato unici, accentuerà la spinta congiunta alla ricerca
dei ricavi e alla compressione dei costi; nel contempo si chiede
agli operatori bancari efficacia nella collaborazione attiva nella
prevenzione e nel contrasto del riciclaggio del denaro, attività
criminosa le cui dinamiche saranno anchesse influenzate dal
progressivo integrarsi e globalizzarsi degli scambi creditizi e
finanziari.
In entrambi gli ambiti missione aziendale e compito di pubblica
utilità è centrale il rapporto con il cliente.
Nel quadro della lotta alla criminalità, lazione di
contrasto nei confronti del riciclaggio dei proventi illeciti ha
assunto un ruolo strategico per due differenti ragioni. La prima
è che il riciclaggio costituisce un forte fattore di inquinamento
del sistema economico, poiché determina rilevanti flussi
finanziari non orientati da aspettative di unefficiente allocazione
delle risorse, impedendo un corretto sviluppo della concorrenza.
La seconda consiste nella vulnerabilità delle organizzazioni
criminali nel momento in cui tentano di ripulire i proventi illeciti,
in quanto il contatto con operatori sani, soprattutto in presenza
di un approccio collaborativo da parte di questi ultimi, eleva la
possibilità di individuare fenomeni illeciti.
Limpegno a combattere la criminalità passa, quindi,
attraverso un efficace contrasto del riciclaggio dei proventi illeciti.
A livello scientifico, invece, il contrasto della criminalità
richiede limpegno a capire in profondità le sue origini
e i suoi meccanismi di riproduzione.
In particolare, nel quadro del contrasto al riciclaggio lanalisi
economica può fornire due importanti contributi: proporre
una chiave di lettura dei comportamenti degli agenti economici coinvolti
nellattività di riciclaggio, ad esempio gli intermediari
finanziari, e contribuire a mettere a punto strumenti di regolamentazione
antiriciclaggio efficaci.
La ricostruzione delle caratteristiche della normativa italiana
sulla base dellanalisi economica fa emergere, a ben vedere,
una sorta di doppio paradosso.
Da un lato vi è quello che possiamo chiamare paradosso
della collaborazione: tutta la regolamentazione antiriciclaggio,
dal 1991 ad oggi, è incentrata sul concetto di collaborazione
attiva da parte degli intermediari, cioè di comportamenti
autonomi volti a segnalare situazioni anomale nella gestione dei
flussi finanziari. I risultati dellapplicazione di tale principio
sono finora non entusiasmanti; secondo alcuni, anzi, francamente
deludenti.
La ragione? E lanalisi economica a indicarcela: qualunque
soggetto ha un comportamento attivo solo se da esso ne scaturisce
un qualsivoglia vantaggio, vale a dire se esistono gli opportuni
incentivi ad adottare una determinata condotta.
Lincentive approach ci insegna che, se la condotta di un determinato
soggetto economico non è quella attesa ovvero auspicata,
il problema va individuato analizzando le regole del gioco, formali
e informali, che condizionano e indirizzano tale soggetto.
Nel nostro caso le regole del gioco sono rappresentate, soprattutto,
dalla normativa antiriciclaggio. Dunque la normativa antiriciclaggio
non ha creato gli incentivi necessari per indirizzare gli intermediari
verso le condotte auspicate.
Occorre allora comprendere meglio le caratteristiche e le esigenze
aziendali degli intermediari, per poi individuare gli incentivi
giusti per comprendere quali sono gli spazi effettivi per attuare
il principio di collaborazione attiva.
Per fare questo è necessario partire da quella che è,
o dovrebbe essere, la missione aziendale di un qualunque intermediario:
rendere massima la redditività del capitale in esso investito.
Una tale missione aziendale implica, di conseguenza, lopportunità
di definire strategie di prodotto, da un lato, e di impiego dei
fattori produttivi, dallaltro, che siano ottimali dal punto
di vista dellefficienza.
Se lintermediario si caratterizza per una tale missione aziendale,
cosa accade se lautorità pubblica chiede a tale soggetto
di svolgere un compito ulteriore, funzionale ad unesigenza
generale di primaria importanza? Linterme-diario verosimilmente
valuterà quali sono i costi attesi e i guadagni attesi che
possono essere generati da tale compito, e se la somma algebrica
è positiva collaborerà attivamente.
Ora valutiamo in questa ottica gli aspetti salienti della normativa
antiriciclaggio italiana. In termini di costi attesi, possiamo individuare
due grandi categorie di costo: a) i costi tecnico-operativi, o materiali,
o interni; b) i costi di reputazione o di ritorsione, o immateriali,
o esterni.
a) i costi tecnico-operativi, o materiali, o interni, sono legati
alla messa in atto allinterno dellazienda di tutti quegli
investimenti in capitale fisico e in capitale umano che occorrono
per assolvere in modo efficace il nuovo compito;
b) i costi di reputazione o di ritorsione, o immateriali, o esterni,
sono legati allimpatto che il nuovo compito può avere
nei rapporti che lintermediario ha con il complesso della
sua clientela, nella gestione del passivo come dellattivo.
Allintermediario si chiede di utilizzare per finalità
pubbliche in questo caso assolutamente condivisibili
un patrimonio di informazioni che è però privato,
essenzialmente dei clienti.
In linea di principio, ogni intermediario inconsapevolmente può
svolgere transazioni o in generale offrire servizi a soggetti i
cui redditi hanno, almeno in parte, origine illecita. Vi è
però un notevole problema di estrazione del segnale.
Infatti occorre che siano contemporaneamente vere le seguenti ipotesi:
se la transazione svolge una funzione illegale, il riciclaggio,
che si sostituisce o si affianca alla sua funzione lecita usuale,
occorre che tale caratteristica si rifletta in unanomalia
della transazione stessa (ipotesi di anomalia);
se esiste ed è riconoscibile tale anomalia, essa
deve essere univocamente riconducibile allo svolgimento della funzione
illegale (ipotesi di univocità).
In altri termini, occorre tener conto che la particolare natura
dei beni trattati nellindustria bancaria sono beni
fiduciari per eccellenza, perciò immateriali rende
assai probabili i rischi di errore, sia del primo sia del secondo
tipo.
Gli errori del primo tipo si commettono quando non vale lipotesi
di anomalia, per cui una transazione che svolge, oltre o in sostituzione
della sua funzione legale, anche quella illegale, non assume tratti
o caratteristiche di anomalia. Quanto più sono probabili
gli errori del primo tipo, tanto meno efficace sarà lo svolgimento
del compito antiriciclaggio, a parità di costi materiali
e immateriali.
Gli errori del secondo tipo si commettono invece quando non vale
lipotesi di unicità, per cui una transazione con tratti
di anomalia non nasconde lo svolgimento della funzione illecita.
Quanto più sono probabili gli errori del secondo tipo, tanto
più alti sono i costi attesi immateriali, in termini di rischi
di perdita di reputazione con il cliente, a parità di costi
immateriali.
Va inoltre osservato che per propria stessa natura le operazioni
finalizzate al riciclaggio sono spesso efficacemente dissimulate
e presentano caratteristiche di elevata mutevolezza e variabilità
nel tempo e nello spazio. Per questo la classificazione tassonomica
delle operazioni (compiuta nel Decalogo) non può
che essere meramente indicativa e soggetta a rapida obsolescenza.
Ne deriva che i sintomi dai quali gli intermediari dovrebbero ricavare
segnali di possibile riciclaggio sono spesso confusi e in molti
casi poco aderenti alla realtà e alle specificità
operative. La strumentazione di warnings a disposizione degli intermediari
è quindi scarsamente fruibile e può indurre a commettere
errori: per evitarli è giocoforza adottare un approccio estremamente
cautelativo che minimizzi il numero delle segnalazioni.
Infine, anche in un contesto in cui è nulla la probabilità
di errori del primo e del secondo tipo, esiste la possibilità
di emersione di rischi di ritorsione, in quanto una segnalazione
corretta rende disponibile alle autorità il patrimonio informativo
di un soggetto i cui redditi sono, in tutto o in parte, di origine
illecita.
Inoltre e qui troviamo il secondo paradosso laver
concentrato esclusivamente lattenzione della normativa sugli
intermediari bancari e finanziari può aumentare i costi immateriali
attesi. Se gli intermediari bancari, a causa dei compiti antiriciclaggio,
si caratterizzano rispetto ad altri operatori e fornitori di servizi
per una domanda aggiuntiva di informazioni, questo può avere
effetti non attesi e non desiderati sui clienti, riducendo, a parità
di costi per gli intermediari, la stessa efficacia della normativa.
Si può pensare, infatti, ad un effetto vasi comunicanti,
in cui, in presenza di normative severe in un vaso,
le operazioni illecite vengono comunque effettuate, approfittando
del lassismo in altri vasi. In questo senso appare opportuna
la direzione presa in via comunitaria, volta ad estendere lobbligo
delle segnalazioni a soggetti anche non finanziari ma che, per le
caratteristiche dellattività svolta, si prestano ad
essere utilizzati per finalità di riciclaggio.
Evidenziate le possibili fonti di costo che il compito antiriciclaggio
può far emergere per il singolo intermediario, chiediamoci
quali possono essere i guadagni attesi di tale normativa.
In primo luogo, sono stati più volte evidenziati i possibili
guadagni informativi: la necessità, creata dalla legge, di
assumere in taluni casi maggiori informazioni su operazioni dei
clienti aumenta il patrimonio informativo che lintermediario
ha con i propri interlocutori, migliorando le sue possibilità
di allocare in modo conveniente ed efficiente i suoi prodotti finanziari
e il suo credito.
In secondo luogo, vanno ricordati i guadagni attesi legati al minimizzare
il rischio denuncia per mancato adempimento del compito antiriciclaggio.
Ove difatti le autorità accertassero, per vie diverse dalla
(mancata) segnalazione di anomalia, la presenza di operazioni illegali,
scatterebbero le sanzioni (pecuniarie e penali) di legge a carico
dei responsabili.
Dunque, a fronte dei costi materiali e immateriali di varia natura,
gli intermediari dovrebbero mettere in conto dei vantaggi informativi
e di tipo, se vogliamo, assicurativo, legati al minimizzare la probabilità
di incorrere in sanzioni.
Si potrebbe a lungo discutere sullentità effettiva
o attesa di tali guadagni attesi. Il dato di fatto, data linsufficiente
collaborazione attiva lamentata dalle autorità, è
che essi senza dubbio non compensano i costi attesi. Inoltre, le
fonti di tali guadagni non appaiono suscettibili di sensibili e
ulteriori incrementi di efficacia, ottenibili, magari, con modifiche
delle norme volte ad ottenere tali risultati.
Per quel che concerne i guadagni informativi, è evidente
come, in un contesto in cui sempre maggiore è finalmente
la competizione, lincentivo per gli operatori bancari a raccogliere
informazioni utili a collocare meglio i servizi di pagamento, di
credito e in generale finanziari è oramai un dato di fatto,
che perciò non abbisogna di ulteriori additivi o di stimoli.
Le autorità non sono in grado di arricchire questo tipo di
patrimonio informativo e si sono fin qui astenute dal mettere a
disposizione degli intermediari, in tempi e con modalità
opportune, informazioni di altro tipo che potrebbero invece essere
utili a prevenire comportamenti fraudolenti da parte della clientela.
Ci si riferisce a dati raccolti dalle forze di polizia o a disposizione
negli archivi di varie istituzioni (documenti smarriti e rubati,
liste elettorali, codici fiscali, utilizzo nominativi falsi, false
ragioni sociali, etc.), che potrebbero confluire in un archivio
centralizzato a disposizione degli intermediari finanziari e che
costituirebbe, analogamente a quanto accade in altri Paesi dellUnione
(Regno Unito, Olanda e altri), un efficace strumento per prevenire
le frodi creditizie. Questo tipo di contributo permetterebbe di
compensare, sia pure parzialmente, il costo sostenuto dagli intermediari
per raccogliere e canalizzare verso le autorità un flusso
normativo che, allo stato, è totalmente unidirezionale.
Per quel che riguarda invece i guadagni da assicurazione contro
il rischio incriminazione, non ci si illuda di incrementarli, ad
esempio, attraverso un inasprimento dellapproccio penale al
problema. La ragione di questo nostro convincimento è facilmente
spiegabile.
Un risultato oramai acclarato, nellanalisi economica come
nella disciplina giuridica, è la ridotta efficacia dellapproccio
penale nellindustria bancaria e finanziaria, stante la particolare
natura dei beni e dei servizi trattati, che si riverbera, tra laltro,
in crescenti difficoltà di ricostruzione ex post delle situazioni
verificatesi ex ante, quindi di attribuzioni di ruoli e responsabilità
effettive. Dunque, la disamina dellanalisi dei costi attesi
e dei benefici attesi che i compiti antiriciclaggio possono produrre
sul singolo intermediario sembra suggerire una chiara spiegazione
della ridotta efficacia della normativa. Occorre allora chiedersi
quale strategia adottare, allo scopo di ridurre i costi attesi della
normativa e/o aumentare i guadagni attesi della stessa.
A tale scopo, dati i costi materiali, a quantificazione difficile
ma non impossibile, è indispensabile conoscere meglio la
natura dei costi immateriali, il che significa per il futuro approfondire
sempre di più limpatto sul rapporto banca-cliente della
normativa antiriciclaggio.
3. Conclusioni
Obiettivo delle pagine precedenti era quello di offrire uno schema
di analisi utile a mettere in luce limportanza della ricerca
di un equilibrio, nel complesso delle relazioni banca-cliente-autorità,
tra tutela della riservatezza ed esigenze di trasparenza.
In conclusione: si deve innanzitutto ribadire come unanalisi
del riciclaggio e della relativa regolamentazione possa permettere
di capire come indirizzare correttamente la condotta degli intermediari,
allo scopo di coniugare lefficienza della loro condotta con
lefficacia nel perseguimento di obiettivi di pubblica utilità.
Inoltre, lo studio dellazione pubblica di deterrenza e di
contrasto non può fare a meno di un modello economico e aziendale
costi-benefici, che consenta di studiare e prevedere le conseguenze
di interventi, come quelli della regolamentazione antiriciclaggio,
che incidono sullattività economica degli intermediari
finanziari.
Il modello di analisi ha preso in esame il caso degli intermediari
onesti (o inconsapevoli), che i legislatori considerano ormai un
fulcro della regolamentazione antiriciclaggio. La banca onesta viene
interpretata come unorganizzazione economica orientata alla
massimizzazione del profitto, che dispone di un patrimonio informativo
specifico sui soggetti economici operanti su un dato territorio.
La razionalità della banca si riflette nella volontà
di rendere massima la differenza tra ricavi e costi, per cui la
regolamentazione antiriciclaggio, se vuole influenzare il comportamento
dellintermediario, deve partire dalla consapevolezza che occorre
incidere in modo equilibrato sulla struttura dei ricavi e dei costi,
considerato che la regolamentazione comunque accresce i costi. I
compiti antiriciclaggio, infatti, comportano per le banche lassunzione
di due tipi di costi; investimenti in capitale (fisico e umano)
e riduzioni della segretezza verso i clienti (asset strategico nellattività
di intermediazione).
Nellanalisi dellintermediario onesto due questioni giocano
un ruolo cruciale: distribuzione dellinformazione e incentivi.
La prima è cruciale, nel disegnare una regolamentazione efficace,
sotto tre diversi punti di vista: rilevanza del patrimonio informativo
dellintermediario, non verificabilità dellimpegno
(oneroso) dellintermediario nelleventuale azione antiriciclaggio,
non verificabilità dellincidenza dei fattori esogeni
sullefficacia della regolamentazione.
Lautorità pubblica sceglie di contrastare il riciclaggio
servendosi della banca, per via della specificità del suo
patrimonio informativo, e delegandole lazione di identificazione
e segnalazione antiriciclaggio (sotto lipotesi, che caratterizza
tutta la normativa antiriciclaggio, che il tentativo di ripulitura
da parte del criminale lasci una traccia, unanomalia, che
la banca può rilevare grazie al proprio patrimonio informativo).
Lazione viene svolta dallintermediario con un impegno,
oneroso, che il legislatore non può osservare direttamente,
ma da cui dipenderà, in gran parte, lefficienza dellantiriciclaggio.
Il secondo problema informativo, la non osservabilità dellimpegno
della banca nelladempimento della delega, obbliga a pensare
una regolamentazione antiriciclaggio che possa produrre non solo
costi, ma anche benefici alle banche.
Occorre cioè studiare una regolamentazione che condizioni
gli incentivi per la banca coinvolta nella funzione antiriciclaggio,
affinché la sua condotta sia il più possibile efficace
rispetto a tale funzione, senza ridurre lefficienza nello
svolgimento dei suoi compiti propri.
Nei futuri interventi legislativi dovrà certamente essere
confermata e rafforzata la logica di intervento, presente nel D.
Lgs. 153 del 1997, nel quale il legislatore ha ricercato la collaborazione
degli intermediari e delle autorità coinvolte, rifiutando
un approccio meramente sanzionatorio. Concordiamo pienamente con
chi afferma che non può ritenersi che il pieno rispetto della
normativa antiriciclaggio possa essere imposto al sistema dallesterno
con strumenti coercitivi; occorre invece raccogliere una convinta
adesione degli intermediari ai valori dellautonomia, integrità
e della legalità.
In futuro la disciplina antiriciclaggio non dovrà in alcun
modo essere considerata un elemento estraneo nel generale ordinamento
della finanza, essendo un settore della regolamentazione che partecipa
e concorre al perseguimento delle finalità di fondo della
trasparenza, correttezza e prudenza della gestione aziendale e della
stabilità, competitività e buon funzionamento del
sistema finanziario.
Il nuovo Decalogo della Banca dItalia va nella
giusta direzione. «Conosci i tuoi clienti, ma anche e soprattutto
i tuoi colleghi e i tuoi concorrenti, nazionali e internazionali»:
questo potrebbe essere lo slogan del nuovo Decalogo
della Banca dItalia, che fissa delle regole di buona condotta
per ridurre i rischi di inquinamento delle banche, assicurazioni
e finanziarie da parte del crimine, organizzato e non. Di fronte
ai nuovi rischi che lo sviluppo delle-banking, la crescita
dei centri off-shore, e, in misura minore, anche la transizione
allEuro possono produrre, la Vigilanza cerca di giocare
danticipo.
Era il 1993 quando per la prima volta la Banca dItalia formulava
delle indicazioni utili agli operatori per prevenire lutilizzo
delle proprie aziende per finalità di riciclaggio del denaro
sporco. Da allora sono cambiate caratteristiche fondamentali dei
mercati bancari e finanziari: le dimensioni assolute, il livello
di concorrenza, il grado di globalizzazione, la profondità
e la varietà dellinnovazione di prodotto e di processo,
tecnologica e non, larmonizzazione delle regole, ancorché
sempre incompleta.
Il rischio di riciclaggio dei capitali illeciti non si è
abbassato, anzi. Tutti i processi prima ricordati hanno senzaltro
effetti positivi sullefficiente allocazione delle risorse,
reali e finanziarie, lecitamente prodotte o distribuite. Ma di pari
passo aumentano anche le possibilità per chi accumula illecitamente
redditi e patrimoni di renderli inodori, insapori e incolori,
per essere poi in grado di compiere in tutta tranquillità
le proprie scelte di consumo e di investimento, moltiplicando, per
questa seconda strada, il proprio potere dacquisto, e di riflesso
il proprio peso economico, sociale e politico.
Il riciclaggio dei capitali è così un cancro letale
per il regolare funzionamento dei mercati, in quanto consente a
soggetti criminali di poter contare su dotazioni di risorse sempre
più cospicue, e con esse porsi in vantaggio non solo per
competere, ma anche e soprattutto per distorcere a proprio vantaggio
le regole del gioco: comportamenti sleali, abusi, collusioni e corruzioni
divengono una micidiale Idra per operatori e imprese leali.
Ma se oggi è condivisa la pericolosità macroeconomica
del riciclaggio, meno scontata è lautentica adesione,
a livello microeconomico, di ciascun operatore alla lotta contro
questo fenomeno, soprattutto quando la crescente competizione può,
da un lato, innalzare la propensione al rischio, dallaltro,
accorciare o addirittura deviare lorizzonte temporale dellanalisi
costi-benefici, con il risultato di render allettante ogni applicazione
del vecchio adagio pecunia non olet.
Di fronte al pericolo che queste tentazioni si materializzino, il
Decalogo declina in forme nuove un principio che traspariva
fin dalla sua prima edizione: unefficace azione macro contro
il riciclaggio si fonda sulla ricerca di microfondamenta aziendali
che sposino lefficienza con lintegrità. Al centro
dellattenzione del Decalogo vi è lazienda,
sia essa bancaria, finanziaria e assicurativa, con i suoi uomini,
la sua missione di creazione di valore, i suoi patrimoni visibili
e invisibili, quali linformazione, la reputazione, la riservatezza.
La convenienza ad evitare infiltrazioni o coinvolgimenti inconsapevoli
in operazioni che possono ledere i patrimoni aziendali deve emergere
nellanalisi costi-benefici di tutti gli organi di decisione
e di responsabilità: a partire dal CdA, passando dal Collegio
Sindacale e dai CEO, scendendo verso quadri e impiegati. Solo in
questo modo possono essere neutralizzati quei singoli comportamenti,
esterni o interni, come linfedeltà aziendale, che possono
finire per provocare danni, patrimoniali e non, allimpresa
nel suo complesso.
Se in prospettiva la dimensione e la complessità del meccanismo
di produzione e di distribuzione dellinformazione che sta
alla base di ogni attività bancaria e finanziaria non potranno
che crescere, anche per la diffusione delle applicazioni delle ICT,
diviene vitale per ogni azienda, se vuol minimizzare il rischio
riciclaggio, che ogni suo ganglio utilizzi al meglio tutte le informazioni,
non solo sui clienti, ma anche su tutti gli interlocutori, esterni
come interni, in un rapporto costruttivo con le autorità
di settore, che poi filtrino ciò che è rilevante verso
le autorità investigative e inquirenti, tutelando gli intermediari.
La ricerca di un equilibrio tra efficienza e integrità non
può che passare dal disegno di meccanismi che incentivino
i comportamenti virtuosi, aziendali e di mercato. E in un Paese
tradizionalmente avvezzo agli abusi di statalismo e di dirigismo,
da un lato, ma già pronto oggi ad essere palestra dei cosiddetti
abusi di mercato, è questa la vera sfida.
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