Marzo 2001

DALL’OSSERVATORIO DI FRANCOFORTE

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Italia ancora a rischio
Tommaso Padoa-Schioppa
 
 

 

 

 

 

Quello
delle pensioni
non è un problema soltanto italiano, ma non si capisce perché l’Italia non possa precedere altri Paesi
nel risolverlo.

 

Ci si chiede se attualmente sia più ragionevole preoccuparsi per il rallentamento dell’economia dell’area euro, oppure per un tasso armonizzato dei prezzi al consumo. In realtà, c’è stato un deterioramento marginale sia delle prospettive di crescita sia delle prospettive dei prezzi, entrambi dovuti al prezzo del petrolio. Un peggioramento simultaneo su tutti e due i fronti, che all’epoca della prima crisi petrolifera venne definito stagflazione, non a caso un termine entrato nell’uso corrente. Abbiamo vissuto un effetto dello stesso tipo, anche se molto meno grave come portata e come durata. Il tasso di inflazione che oggi ci preoccupa, allora sarebbe stato un sogno.

In linea teorica, i fattori esterni che possono rallentare l’economia dell’area dell’euro sono due e mezzo. Il petrolio, l’andamento dell’economia negli Stati Uniti, e, venendo al fattore minore e al momento meno rilevante, un fortissimo recupero del cambio dell’euro, decisamente superiore alle possibili aspettative. Non è certo il recupero recente che giustifica una preoccupazione su questo fronte. Nessuno dei tre fattori, inoltre, è valutabile a freddo nella sua eventuale portata, dal momento che non sappiamo in che misura si realizzerà. Ma osservo che il prezzo del petrolio è in attenuazione, e che del rallentamento americano non si può valutare ancora l’entità. Problema dell’euro che si apprezza, approfittando della debolezza del dollaro. Da quando è finito il sistema di Bretton Woods, trent’anni fa, le grandi monete hanno sempre fluttuato, anche molto. E’ stato così per il dollaro, per il marco e per lo yen. La lira non ha mai avuto questa esperienza di movimenti ora al ribasso ora al rialzo; le cadute non sono state mai seguite da un movimento di segno contrario, se non dopo il 1995. Soltanto con l’euro l’Italia fa l’esperienza di una grande moneta, e questo non ce lo dobbiamo dimenticare. La nostra è diventata una grande moneta e noi dobbiamo imparare a vivere con questa realtà.
Ora, se non si tiene conto che ad una fase di indebolimento del cambio può seguirne una di rafforzamento anche rapido, si possono correre seri rischi, e occorre avere le idee ben chiare. Penso a chi, giocando sulla moneta debole, ha aumentato i listini, e dunque potrebbe trovarsi messo fuori mercato da una moneta forte. Ma di solito i momenti di eccessi opposti, al rialzo e al ribasso, sono lontani molti trimestri, e spesso anni. E parlare di preoccupazioni di euro forte mentre è ancora debole non ha molto senso. Occorre sapere tuttavia che è aperto anche il percorso inverso rispetto a quello vissuto finora dall’euro sui cambi.

A questo punto, però, ciò che conta sono le ambizioni europee e la capacità di perseguirle. Il problema è sapere se l’Europa ha aumentato in modo significativo la propria capacità di crescita potenziale senza inflazione. Questo è il quesito cruciale: è capace l’Europa di fare come gli Stati Uniti? C’è l’ambizione? Se invece il problema è quello di avere la locomotiva americana per stare al traino, allora i problemi marginali di rallentamento della crescita e di aumento dell’inflazione pesano maggiormente.
Altro quesito attuale: l’Europa degli Undici (area euro) è in cerca della new economy? Dobbiamo intenderci sull’espressione “new economy”, che può voler dire due cose. O un risultato, vale a dire tassi elevati di crescita per un lungo periodo senza inflazione, e allora gli Stati Uniti l’hanno sperimentata. Oppure le cause del miracolo, che sono la Information and Computer Technology, (Ict), e la sua diffusione capillare in un sistema dotato di una notevole flessibilità.
Se la causa è la Ict, allora sta arrivando anche da noi, perché come i telai a vapore attraversarono la Manica duecento anni fa, così la moderna tecnologia informatica non è stata certo bloccata dall’Atlantico. Se invece è la flessibilità, vuol dire che l’Europa ha un grande potenziale, perché abbiamo notevoli recuperi da fare in questo campo. Per concludere, occorre capire qual è il nostro potenziale di crescita non inflazionistica. E’ molto difficile, perché le valutazioni le facciamo sulla base delle rilevazioni passate, e qui il terreno è nuovo. Bisogna evitare di vedere il “miracolo” quando in realtà non c’è, e ugualmente evitare di non coglierne i segnali presenti.
Io sono fiducioso nel futuro. La Ict è sempre più massicciamente presente in Europa, e anche sul recupero di flessibilità l’area euro si è mossa, più di quanto a volte non si pensi. Non è vero che le riforme strutturali devono ancora incominciare: il Mercato Unico e la Moneta Unica sono stati due grandi riforme strutturali, nel 1993 e nel 1999. Siamo spesso carenti, invece, nelle “piccole” riforme strutturali, quelle che riguardano i mercati del lavoro, dei beni e dei servizi. Ma la possibilità di replicare il miracolo americano c’è, anche se non è la politica monetaria che può garantirlo.
Resta da esaminare l’ultimo problema, che ci riguarda molto da vicino. E’ il seguente: vari Paesi, e l’Italia è come dimensione il maggiore tra questi, si sono in parte ipotecato il futuro con un debito pubblico eccessivo, hanno scaricato sulle prossime generazioni un debito pensionistico che sembra non più sostenibile, nelle sue componenti attuali. Ma questo non è di per sé un impedimento alla crescita; anzi, per riportare il tutto sotto controllo, abbiamo un urgente bisogno della crescita. Un punto in percentuale in più di aumento del Prodotto interno lordo fa poca differenza tra un anno e l’altro, ma proiettato costantemente tra cinque o sei anni fa una differenza enorme, grazie ai miracoli del tasso composto. Per il debito pubblico italiano, occorre non invertire la direzione di marcia virtuosa degli ultimi anni. E qualche motivo di preoccupazione c’è. Il Belgio, che aveva un debito più alto di quello italiano in rapporto al Prodotto interno lordo, ha fatto meglio di noi, e grazie ad un avanzo primario superiore lascerà forse all’Italia la maglia nera, nel 2001.
Il debito pensionistico resta un problema da affrontare. E’ da rimpiangere che nell’ultima legislatura l’occasione sia stata mancata. Capisco le difficoltà. Ma se la correzione fosse già alle spalle, le prospettive di crescita sarebbero migliori. Quello delle pensioni non è un problema soltanto italiano, ma non si capisce perché l’Italia non possa precedere altri nel risolverlo. Alla fine, tutto diviene un problema di competitività che in ambito europeo non è affatto abolita dall’euro, anzi è ordinata e mirata secondo regole virtuose. Ma esiste, eccome!
Si dice che la riforma fiscale tedesca del luglio 2000 abbia agito da sprone, anche su chi aveva già fatto passi nella stessa direzione. Certo, la forza degli esempi virtuosi è aumentata molto da quando c’è l’euro. La concorrenza tra i Paesi di Eurolandia è positiva. Sul fisco, è vero che l’Italia si era mossa prima, ma l’esempio si è innescato lo stesso, perché la Germania ha fatto meglio. Ora però Berlino ha le sue difficoltà con la riforma delle pensioni. Su questi cruciali dossier socio-economici pesano molto gli elettorati nazionali.

   
   
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