Una sorta
di carta didentità nel giro di qualche
anno accompagnerà tutti i prodotti
alimentari venduti nellUnione Europea e indicherà luoghi,
tempi e modi
della produzione.
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E lEuropa di cui, curiosamente, si parla poco, talvolta
niente, nei servizi che i mezzi di comunicazione dedicano alle riunioni
di vertice dei capi politici dellUnione. Eppure è lEuropa
cui, sicuramente, i cittadini sono più interessati. E
lEuropa utile, cioè linsieme delle iniziative
che lUnione ha realizzato e realizza per rendere più
facile e più gradevole la nostra esistenza.
Si tratta di una grande quantità di iniziative: alcune già
vecchie di mezzo secolo (sono quelle degli anni dellinizio
del processo di integrazione europea); altre più recenti;
altre ancora appena avviate o solo progettate. Tutte hanno dietro
il lavoro di un esercito di persone, sono costate e costano tanti
soldi. In energie umane ed economiche lEuropa utile ha dunque
avuto e ha un prezzo elevato. Ne è valsa e ne vale la pena?
A differenza di quanto fanno gli scrittori di romanzi gialli non
rimandiamo la risposta alla fine dellarticolo che stiamo scrivendo.
Diciamo subito un convinto SI!: con tanto di maiuscole, sottolineatura
e punto esclamativo. E motiviamo il giudizio che la nostra risposta
esprime passando la parola ai fatti.
Cominciamo con i fatti che riguardano le iniziative dellEuropa
utile per assicurare ai suoi cittadini un cibo sano, genuino, gradevole.
Questo problema secondo unindagine realizzata nel 97
dalla Commissione Europea è il più sentito
dalle 374 milioni di persone che risiedono nei 15 Paesi dellUnione.
E di conseguenza tra quelli che impegnano di più le
istituzioni dellEuropa comunitaria: con risultati positivi
che sono sotto gli occhi di tutti noi si può dire ogni giorno;
oppure, in un numero minore di casi, sono apparentemente o parzialmente
deludenti ma costituiscono passaggi obbligati verso futuri successi.
Tra questi ultimi, cioè tra i risultati che momentaneamente
lasciano a bocca amara ma fanno intravedere positivi sviluppi, cè
il bilancio di quanto finora si è fatto per liberare allevatori,
commercianti, consumatori dallincubo della mucca pazza.
I blocchi delle esportazioni di carne dalla Francia, la caduta dei
consumi, il panico dei cittadini, la rabbia e le preoccupazioni
degli allevatori, degli esportatori, dei commercianti, tutti questi
fatti oltretutto dilatati e infiammati da mezzi di comunicazione
sempre pronti a sbattere il mostro in prima pagina hanno
reso apparentemente patetico se non grottesco il grido di guerra
con cui, proprio nei giorni più esplosivi della crisi (eravamo
alla fine dello scorso anno), David Byrne, commissario dellUnione
per la salute e la difesa dei consumatori, ribadiva la politica
europea in materia di mucca pazza e, più in generale,
di prodotti alimentari: «dalla fattoria alla forchetta»,
cioè garanzia di una tutela che comincia nel momento della
produzione, appunto nella fattoria, per finire nel momento del consumo,
sulla tavola del cittadino. Queste parole, in quei giorni, sono
sembrate fuori luogo e fuori tempo. In realtà, Byrne stava
confermando un impegno non solo serio ma credibile. Anzitutto perché
senza la garanzia europea e la quantità di iniziative che
lhanno accompagnata e laccompagnano la ricaduta di fine
Duemila del caso della mucca pazza avrebbe avuto conseguenze
peggiori (tra laltro, una lunghissima guerra commerciale allinterno
dellUnione) di quelle alle quali abbiamo assistito con preoccupazione:
più ancora perché, come hanno confermato i successivi
sviluppi dal vertice di dicembre a Nizza fino ad oggi ,
lazione dellUnione resta lunico strumento valido
per cercare e trovare una soluzione del problema.
Per tanti altri prodotti alimentari sono centinaia
è andata e va anche meglio. Per questi prodotti lEuropa
le sue garanzie per la sicurezza, la genuinità e il gusto
del cibo le ha già rese operanti. In qualche caso ha fatto
e fa di più. Ha aiutato e aiuta i consumatori a fare le scelte
migliori per difendere la loro salute e il loro diritto al piacere
della tavola.
E quanto avviene ad esempio per i prodotti biologici, quelli,
lo ricordiamo, ottenuti da terreni coltivati senza luso di
erbicidi, pesticidi e altre sostanze chimiche. Sono, si può
dire, nati ieri, cioè da pochi anni, ma sono in rapido, galoppante
sviluppo.
NellUnione Europea la superficie delle aree su cui viene praticata
lagricoltura biologica è triplicata dal 93 a
oggi, ha raggiunto i 2,2 milioni di ettari. Le vendite di prodotti
biologici aumentano del 40 per cento allanno. Coinvolgono,
è vero, ancora una minoranza dei consumatori (circa il 3
per cento del totale), ma siamo di fronte ai segni inequivocabili
di un favore di pubblico in sicura e forte crescita.
E un successo. Ma un successo che non ci sarebbe stato senza
gli interventi europei. Un terreno agricolo può essere utilizzato
per la coltura biologica solo dopo un lungo periodo di preparazione
circa due anni indispensabile per purificarlo da microbi
e da sostanze chimiche precedentemente impiegate. Durante questo
periodo la coltivazione si ferma, gli agricoltori restano senza
reddito. E una prospettiva poco allegra e indurrebbe i più
a non impegnarsi nellagricoltura biologica se mancasse il
soccorso europeo: tra laltro, un contributo fino a 900 euro
(poco meno di 1 milione e 800 mila lire) per ogni ettaro. Questi
incentivi rendono sopportabili per il coltivatore i due anni di
attesa senza reddito; e tanto più perché i momentanei
disagi e ristrettezze sono confortati dalla certezza degli ottimi
profitti che nel prossimo futuro si otterranno con i prezzi elevati
che, grazie alla qualità, sarà possibile pretendere
per i prodotti biologici, alimenti di cui lUnione Europea
con unetichetta in varie lingue attesta le doti (assenza di
sostanze pericolose per la salute e ottimo sapore), incoraggiando
linteresse dei consumatori.
Non è quindi una forzatura dire che gran parte del boom dellagricoltura
biologica è firmato Europa. Come daltra parte è
firmato Europa il rilancio di quelli che da tempo sono i pezzi più
pregiati della produzione alimentare dellUnione. Tre marchi
(quelli di Denominazione dOrigine Protetta, di Indicazione
Geografica Protetta, di Specialità Tradizionale Garantita)
sono i certificati di autenticità e di qualità assegnati
ai più illustri nomi dellaristocrazia alimentare europea:
come il parmigiano-reggiano italiano, il Roquefort francese, la
birra Guinness irlandese e tanti altri prodotti: in tutto, ormai,
500!
Non è poco, anzi è molto: anche perché è
la premessa di importanti sviluppi. Le confezioni di carne con lindicazione
dei luoghi dellallevamento e della macellazione apparse da
qualche mese nei supermercati europei anticipano (e al momento giusto,
dato che avviene mentre torna la paura della mucca pazza)
una sorta di carta didentità che, nel giro
di qualche anno presumibilmente entro il 2003 , accompagnerà
tutti i prodotti alimentari venduti nellUnione Europea e indicherà
luoghi, tempi e modi della produzione sia agricola che industriale,
quantità e tipo di sostanze impiegate e ogni altra notizia
che, con precisione, faccia capire al consumatore che cosa compra
e si accinge a mangiare. Nellambito del programma europeo
di ricerca e sviluppo (si chiama R&D e dispone di un bilancio
di 14,96 miliardi di euro, pari a poco meno di 30 mila miliardi
di lire) sono finanziati studi ed esperimenti per dare un nome e
un cognome ai prodotti che possono essere causa o concausa di gravi
malattie (come il cancro e una serie di allergie) o, al contrario,
possono essere utili per combatterle. In un prossimo futuro il consumatore
sarà informato dei danni e dei vantaggi che la sua salute
può avere dagli alimenti attualmente sotto esame. Avverrà
con nuove etichette europee. Già oggi altre etichette europee
avvertono i cittadini della presenza in alcuni prodotti di organismi
geneticamente modificati, i cosiddetti OGM, che sono ormai duso
comune negli Stati Uniti e sono invece ancora considerati con diffidenza
da molti europei.
Questo, in sintesi, dando attenzione solo ai fatti principali,
è il dossier su quanto lEuropa utile fa per rendere
sicuro e gradevole il nostro cibo. Sempre limitandoci ai dati essenziali,
vediamo ora quanto questi e altri risultati sono costati e costano
in soldi e in lavoro.
Soltanto per i prodotti a base di carni lUnione ha elaborato
e reso operativi undici regolamenti (cioè strumenti
legislativi) dopo anni di ricerche e studi. La PAC (Politica Agricola
Comune), principale voce di spesa dei bilanci comunitari (nel 2000
ha assorbito il 44% delle uscite, pari alla bellezza di 41 miliardi
di euro, cioè circa 80 mila miliardi di lire), è sempre
più impegnata non solo a tutelare gli interessi dei coltivatori
ma anche i diritti e le esigenze dei consumatori: come confermano
le iniziative destinate a stimolare la diffusione dellagricoltura
biologica. Per garantire ai consumatori alimenti sani e gradevoli
sono al lavoro migliaia tra esperti, funzionari e dipendenti delle
istituzioni europee: ad esempio, i 100 ispettori dellUAV,
lUfficio Alimentare e Veterinario che ha sede a Dublino, è
balzato agli onori delle cronache nel corso delle ultime ricadute
del caso della mucca pazza ma è intervenuto,
tra il disinteresse dei mass media, in cento e mille altre occasioni;
o anche i 131 scienziati di fama internazionale che in nove comitati
cercano e spesso trovano le formule che, si può dire, ispirano
e guidano la politica alimentare dellUnione Europea; oppure
lancora più numeroso gruppo di esperti che, nelle direzioni
generali delle istituzioni europee (soprattutto la Commissione)
e, quando è utile, in collaborazione con lOrganizzazione
Mondiale per il Com-mercio, il Codex Alimentarius dellOnu
e altri organismi internazionali, trasformano in direttive, leggi,
trattati le soluzioni suggerite dagli studiosi dei problemi dellalimentazione.
In conclusione: un grande, enorme lavoro che impegna tanti uomini,
costa tanti soldi ma è compensato da un risultato che tutti
i giorni mettiamo sulle nostre tavole, mangiando e apprezzando cibi
di cui sempre meglio e sempre di più lEuropa utile
ci garantisce la sicurezza e il sapore.
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