Marzo 2001

LE TECNOPOLI DELL’UE

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Sette poli
contro Silicon Valley
Marino Delgado  
 
 

 

 

 

 

Diecimila miliardi di fatturato,
settemila aziende, hanno reso
la romana Tiburtina Valley il cuore
della tecnologia
“made in Italy”.

 

Nacque avvolto da grande riservatezza, poi esplose come fenomeno planetario unico: Silicon Valley, il polo tecnologico californiano della new economy, entrò subito nel mito americano, con 300 aziende quotate in Borsa, 6, i miliardi di dollari di venture capital, 65 mila miliardi (in lire italiane) su una popolazione di appena due milioni di abitanti, il predominio tecnologico nel mondo. Silicon Valley fece invecchiare di colpo tutti i centri di produzione e di ricerca europei e aprì le frontiere del nuovo mercato. La globalizzazione era dietro l’angolo, fatalmente incentrata sulle tecnologie d’avanguardia basate sui microchips. La vera alba del terzo millennio nacque in quel luogo e in quel momento.
C’è voluta una bruciante frustata della Commissione europea per far lanciare al Vecchio Continente la sfida allo strapotere americano, col varo di un progetto di collegamento in rete dei Quindici. L’azione antagonista si fonda su un’agguerrita avanguardia di tecnopoli, sette per l’esattezza, che hanno in comune alcuni fondamentali fattori, (ricerca, investitori, imprese), diversificandosi ciascuna per caratteristiche proprie.
Il privilegio della primogenitura spetta a Sophia Antipolis, il polo immerso nel verde, col mare a vista, tra Nizza e Cannes. Il progetto iniziale è del 1964: prevedeva una tecnopoli su 120 ettari dell’Altopiano di Valbonne, dove erano attive da un paio di anni la IBM e la Texas Instruments. L’atto di nascita ufficiale risale al 1969. Ora gli ettari sono 2.300, e nel giro di un anno diventeranno circa cinquemila. Vi lavorano 1.200 imprese, con ventunomila addetti di 68 diverse nazionalità. Il polo più numeroso e dinamico è quello delle tecnologie dell’informazione, informatica e telecomunicazioni, con la presenza di gruppi leaders mondiali, da Thomson a Legrand, Compaq, Air France, Oracle, Ericsson, Zewebtv, che richiamano investitori d’ogni angolo d’Europa.
Altro polo, in Regno Unito, a Cambridge, sede ideale per imprese della new economy, perché consente una visione allargata sia sulla ricerca sia sul mercato e uno scambio proficuo tra le aziende del network. Tra le imprese, Analysys mette a disposizione la più completa fonte d’informazione sul mondo della telefonia in Europa con i profili di oltre cinquecento società, i nuovi investitori, i costi dei servizi telefonici divisi per segmenti di mercato. Il polo è stato definito Cambridge phenomenon, per via dell’innesto su una tradizione universitaria di eccellenza lunga quasi otto secoli (15 mila studenti, 28 colleges, 51 dipartimenti di ricerca e tecnologia) di una costellazione di imprese: i dati della contea parlano di 1.200 centri high-tech e di circa 40 mila impieghi in “silicon fen”, cui andrebbero aggiunti i numerosi free-lances e la nascita, ogni mese, di altre venti iniziative. A dar fama aggiunta all’antica cittadella universitaria, che a differenza di Oxford ha conservato spazi e atmosfere, è sopraggiunta la prestigiosa unione col Mit, il Massachusetts Institute of Technology: è nato il Cmi, nome della joint venture, che intende coniugare tecnologia avanzata e spirito d’intrapresa.
Nessun trauma nel passaggio dalla pesca dei salmoni al mondo dei microchips. Nel secolo scorso Oulu, 515 chilometri a nord di Helsinki, era celebre per l’eccellente qualità dei pesci rosa catturati nel suo fiume. Dopo la creazione, nel 1982, di Technopolis, primo parco di ricerca scientifica nel Nord, Oulu ha un primato di eccellenza nelle tecnologie più avanzate. Silicon Valley sembra un’area da Terzo Mondo, a confronto col polo finlandese, ha sostenuto di recente un docente della prestigiosa London School of Economics, esperto di e-economy, volendo precisare che se i grandi numeri del business sono tuttora in pugno alla Silicon Valley californiana, per la ricerca innovativa è necessario guardare invece all’Europa del Nord. Il miracolo finlandese è notissimo, si chiama Nokia, primo produttore al mondo di telefoni cellulari (35 per cento dell’investimento nella ricerca nazionale, cinquemila dipendenti, 21 mila uffici e laboratori sparsi in tutto il Paese, decine di società indotte). Altro punto di forza di Oulu, 200 aziende high-tech, che utilizzano quasi per cooptazione i 400 ingegneri che ogni anno vengono sfornati dall’università. Motto del polo: «Cooperare localmente significa crescere più velocemente nel mercato globale».

Diecimila miliardi di fatturato, settemila aziende, hanno reso la romana Tiburtina Valley il cuore della tecnologia e della new economy made in Italy. Tra i nomi eccellenti, Viasat, che progetta di introdurre Internet su 40 milioni di autovetture integrandolo ai sistemi di navigazione satellitare, e che presto si quoterà in Borsa. Analoga sorte per la Engineering, che ha portato on-line alcune fra le più prestigiose banche italiane. Agorà Telematica è il primo Internet provider della Penisola. La Ised è specializzata nella realizzazione di software per il monitoraggio ambientale e sanitario. La Cosmic si occupa di e-commerce e Internet integration. Datamat è il cuore della new economy, fornendo sistemi informatici e software a numerose Sim, banche, assicurazioni, finanziarie. Ma il polo si estende ormai ben oltre Tiburtina Valley, quasi “a macchie di leopardo”, in diverse aree della capitale. Tra le imprese di maggior prestigio, Telecom Italia, Wind, Stream, Acotel.
Trent’anni fa, quello di Kista era un terreno per esercitazioni a nord di Stoccolma. Poi venne abbandonato dai militari. Caso volle che l’americana IBM e la svedese Ericsson, alla ricerca di nuovi spazi, vi si installassero, attirando col passare degli anni nuove imprese high-tech. I duecento ettari di Kista oggi sono affollati da 700 imprese, più di metà delle quali di informatica e telecomunicazioni, con circa trentamila addetti, un quarto dei quali occupati nel colosso della telefonia mobile svedese. Vi agiscono, formando un gran “parco della scienza”, Adobe, Compaq, Hewlett-Packard, Microsoft, Nokia, Oracle, Sun Microsystems.
Stoccolma, dove si concentra il maggior numero di start-up per abitante del mondo, è solo a qualche chilometro: anche per questo è quanto mai forte il miraggio di ripetere i fulminei successi di Spray, FramFab, Icon, Oppido, aziende create da giovani neo-imprenditori che hanno saputo sfruttare le potenzialità della rete. Sicché, in soli tre anni i finanziamenti di attività connesse alla new economy sono più che quintuplicati. Dall’88 il Centro di formazione di Kista è gestito direttamente dal Royal Institute of Technology, il che consente l’immediato impiego ogni anno di tremila studenti specializzati nei settori di punta delle tecnologie dell’informazione. Proficua è la collaborazione tra industria, Stato e municipio di Stoccolma.
All’università di Lovanio, fondata nel 1425, aveva insegnato anche Erasmo da Rotterdam. Ma da allora molta acqua è passata. Nel 1970 l’ala francofona dell’università si separò, emigrando a Louvain-la-Neuve, mentre intorno alla fiamminga Katholieke Universiteit si è creato il parco scientifico di Haasrode, che ospita imprese ad alta tecnologia, in cui lavorano circa settemila persone. L’Imec, creata nell’84, è il più importante centro di ricerca europeo di microelettronica, con un fatturato annuo di 88 milioni di euro. L’università è il centro propulsore di molte iniziative, nuove imprese nascono proprio come “spin-off” della ricerca universitaria. E’ l’università stessa che si propone come “incubator” di nuove imprese, fornendo infrastrutture, servizi e assistenza nella creazione di un business plan e nella ricerca di finanziamenti.
Secondo il magazine tedesco Focus, Monaco è al quarto posto nella classifica delle Silicon Valley mondiali. E al primo posto in Europa. Dodicimila aziende, 230 mila addetti e un fatturato complessivo che neanche il ministero dell’Economia è in grado di precisare. Tra l’altro, col passare degli anni la Valle del Silice germanica si è notevolmente ampliata, fino a formare un triangolo che ha come vertici Norimberga, Rosenheim e Passau, con al centro la metropoli bavarese. Monaco, oltre tutto, è la città tedesca col maggior numero di collegamenti privati a Internet, un quarto delle sue famiglie naviga in rete, mentre la Baviera sud-orientale è leader nell’informatica e nella comunicazione elettronica. Un terzo delle nuove società quotate ogni anno al Neuer Markt di Francoforte (la Borsa Valori sorta tre anni fa per le aziende della new economy) proviene da qui. La ricetta di tanto successo si basa sul coraggio imprenditoriale, sullo spirito d’iniziativa, e soprattutto sull’apertura alle nuove tecnologie. Qualità che hanno portato in un lustro la Comroad (20 miliardi di fatturato, appena 27 dipendenti) a commercializzare in diciassette Paesi del mondo sistemi telematici per la gestione e il controllo del traffico automobilistico. Molti nuovi imprenditori scelgono la Bavaria per insediarsi, anche per la presenza ormai storica di società legate alla ricerca high-tech, come le imprese aerospaziali Esa e Dasa Aerospace, Daimler-Chrysler, Intel, Siemens, Micro-soft tedesca. Dal ‘95 il governo regionale promuove la cooperazione tra scienza e industria attraverso Bayern Innovativ, un programma di finanziamenti a favore di 800 aziende. Altro punto forte di Monaco, il vivaio di personale specializzato fornito dalla Maximilian Universität, la più grande dell’intera Germania, il cui prestigioso Politecnico sforna ogni anno ottomila neolaureati.

   
   
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