Marzo 2001

SUSSURRI E GRIDA A BERLINO

Indietro
Angst
nel cuore d’Europa
Hans Wittgenstein Economista, Università di Bonn
 
 

 

 

 

 

L’Europa appare intollerabile
alla Germania: appare nemica sia della democrazia sia della sicurezza
del cittadino.

 

Ci sono momenti in cui la nazione tedesca è tormentata dallo sgomento e da paure esistenziali. Sono momenti sempre più frequenti, a mano a mano che l’idea d’Europa si trasferisce dal piano progettuale a quello esecutivo. Sono (e sono stati) i momenti di una nazione che è divenuta più vasta, più popolosa, dopo la caduta del Muro e l’unificazione, ma che non si fida dei propri capi che l’hanno voluta portare a viva forza dentro il reticolo di Maastricht.
La nazione tedesca avrebbe voluto far marcia indietro, dire di no all’euro, far sacrifici per correggere le storture della propria economia, ma non sacrificare il marco. Tre quarti della popolazione sono tuttora contro l’Europa monetaria. Un terzo è scettico, e comunque non guarda con favore all’edificio europeo.

Il marco è più di una moneta di conto, per l’universo teutonico. E’ simbolo della sua rinascita psicologica, dopo la catastrofe del nazismo. E’ un emblema di dignità democratica ritrovata, grazie ai Padri della Seconda Repubblica, che furono Adenauer ed Erhard. Il marco solido è la bandiera che i tedeschi non poterono far propria dopo il ‘45, quando metà del Paese fu consegnata al vincitore sovietico. Rinunciare al marco non è come rinunciare alla lira per gli italiani, o al franco per i francesi. E’ un’amputazione ben più traumatica, perché il marco è per i tedeschi un sostituto di Patria, di “Heimat”. Il marco è un luogo, più che un’astrazione: è luogo dove si nasce, dove si torna dai viaggi. E’ rifugio-casolare dove si invecchia, dove si fanno i testamenti. Per questo continuano ad essere così grandi i tremori tedeschi. C’è ancora una volta Angst tedesca, nel cuore d’Europa: c’è questa accumulazione di angoscia cupa, malata, radicale, che (come ha dimostrato il recente vertice di Nizza) può invalidare l’intero edificio pensato a Maastricht dopo la caduta del Muro.
Diciamo tutta la verità. Tutto questo significa che gli sforzi italiani non sono sufficienti a tranquillizzare una Germania sgomenta e smarrita; che non basta promettere una condotta economica più responsabile, come hanno fatto i nostri governi, per poi magari avversare scioccamente l’ingresso tedesco nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La sfiducia ha messo radici ben più profonde nelle coscienze tedesche, ed è ancora sfiducia generalizzata nei confronti delle proprie classi dirigenti, delle proprie istituzioni politiche, dello stesso proprio Cancelliere. Non è soltanto la Banca centrale, la Bundesbank di Hans Tietmeyer ad avversare sotto sotto una moneta unica tirata verso il basso dalla presenza italiana, spagnola o francese. L’avversione è condivisa da un numero crescente di tedeschi, si esprime nei sondaggi, trapela dalle dichiarazioni di varie autorità accademiche e di vari politici anche di schieramenti opposti. E l’unico modo di uscirne, almeno in parte, è quello di contare di più in un’Europa che, costruita su basi prettamente economiche, progetta di accelerare i tempi dell’unificazione politica, militare e diplomatica.
L’economia tedesca, fra l’altro, oggi è in un certo senso malcerta. Soffre di scarsi investimenti interni, di alti costi del lavoro, di uno Stato Sociale ancora molto forte, e le cifre della disoccupazione mettono spavento, ricordano in qualche modo l’epoca di Weimar e le recessioni che spezzarono la democrazia, prima di aprire la strada a Hitler. Malgrado tutto questo, i tedeschi non manipolano i loro bilanci per rispettare le norme canoniche di Maastricht, come hanno fatto gli italiani con la tassa sull’Europa o i francesi con i fondi pensione della Télécom.
Manipolazioni di questo tipo non sarebbero tollerate da un’opinione pubblica che in Germania è abitata, appunto, da Angst: l’angoscia che aumenta a mano a mano che si vede sacrificata l’identità nazionale oltre che la stabilità economica.
Per il momento, da queste malattie tedesche non è ancora scaturito un forte movimento anti-europeo. Dice lo storico Michael Stürmer che l’Austria può permettersi di secernere un personaggio anti-Maastricht come Jörg Haider, mentre la Germania ancora non lo può. Così grande è il peso del passato sulla memoria dei suoi cittadini, e sulla loro coscienza. Così forte è ancora il tabù, che vieta alla nazione tedesca il piacere superbo dell’isolazionismo. Kohl stesso aveva costruito tutta la sua idea d’Europa su questo tabù, su questa autodisciplina tedesca che Stürmer descrive molto bene nel suo ultimo libro: solo sacrificando il proprio potere, solo dissolvendolo nelle organizzazioni europee e atlantiche, la Germa-nia post-bellica ha potuto conquistarsi la potenza che adesso le viene riconosciuta. Ma questo spirito di sacrificio ha tendenza a scemare, a mano a mano che si profila una recessione economica e che i tedeschi sono costretti a prender congedo dai tempi della sovranità limitata e della guerra fredda.
I politici che avevano voluto la moneta unica appartenevano a una generazione che si va spegnendo, in Germania. Appartene-vano alla generazione dei Kohl, che conquistava il potere devolvendolo, europeizzandolo. I “nuovi” hanno messo in croce Kohl, e dunque quella generazione: giudicano conclusa l’età dell’espiazione delle colpe del passato, ritengono troppo grandi le difficoltà della mondializzazione, troppo difficile la salvaguardia della legittimità dei politici in mezzo a mutazioni economiche e sociali tanto vaste. Ridotta ad avventura quasi esclusivamente monetaria, l’Europa appare intollerabile alla Germania pro-fonda: appare nemica sia della democrazia sia della sicurezza del cittadino.
D’altra parte, Kohl aveva voluto proprio questo, in principio: la moneta unica – e la fine della sovranità assoluta della Bunde-sbank – ma soltanto a condizione che l’Europa si unisse parallelamente in uno Stato federale, politico e militare. Questo secondo punto è venuto meno – per l’ostilità di Parigi e della grandeur francese, per la disattenzione delle altre nazioni – e da questo punto di vista il Cancelliere aveva perso una battaglia essenziale. All’attuale Cancelliere, oggi, non resta in mano che l’Europa della sola moneta, con la promessa piuttosto vaga di futuri sviluppi: troppo difficile per la Germania inferma, e tuttavia già emancipata, che adesso rischia di perdere su tutti e due i fronti. Non può evitare un isolamento, dal momento che tutti temono l’egemonia tedesca; e non può trascinare il proprio popolo, così come seppe trascinarlo sulla via dell’unità nazionale. Per europeizzarlo, dovrebbe offrirgli un progetto ugualmente convincente di un’unità politica europea. Ma esattamente questo non può mettere in campo: grande gigante imprigionato, o imbrigliato, non ne ha la forza, anche se ne avrebbe la volontà (con tentazioni fortemente egemoniche o di controllo).

Calato il sipario sui compromessi raggiunti a Nizza, si lavorerà nell’ombra, fino al prossimo appuntamento del 2004. La partita è solo rimandata. Nel frattempo, l’Europa potrà essersi allargata ad altri Paesi dell’Est: ed è sui loro fianchi che lavorerà la diplomazia tedesca. La storia la scriverà l’Europa che si allunga verso i Carpazi, se non verso gli Urali.

   
   
Indietro
     

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000