Giugno 2000

RISCHIO RECESSIONE

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Chi bara al gioco
Lester Thurow Docente Mit
 
 

 

 

 

 

Se la storia non mente, l’America si sta avvicinando alla fine del miracolo: non quest’anno,
ma in uno di quelli immediatamente
successivi.

 

Le nostre Banche centrali barano al gioco. Dicono di rialzare i tassi per prevenire l’inflazione. Ma quale inflazione? Non ne vedo alcun segno all’orizzonte. Credo che il vero motivo dei rialzi sia un altro: frenare le Borse che sono salite troppo. Le Banche centrali non sono franche: in realtà, vogliono sgonfiare la bolla dei mercati, come si dice in gergo.
La nostra situazione mi ricorda quella del Giappone nel 1989, un Paese che visito spesso. All’apice del boom, la Banca centrale nipponica dichiarò che la bolla della sua Borsa era molto pericolosa. La bucò. E che cosa si verificò? Che l’economia nipponica crollò, e che oggi, quasi dodici anni dopo, non si è ancora ripresa. Certo, la Riserva Federale insiste nel sostenere che le pressioni inflazionistiche si stanno accentuando. E possono essercene a Wall Street, oppure nel settore immobiliare. Ma non nell’attività economica in genere. Non mi si chieda perché, non saprei: forse sono la rivoluzione tecnologica e l’aumento della produttività a contenerle. Sta di fatto che l’inflazione è al minimo degli ultimi anni: i salari e i prezzi aumentano molto lentamente.
Si sostiene anche che la Banca centrale europea presume che la debolezza dell’euro potrebbe sospingere l’inflazione. Bene. E’ ammissibile che la Riserva Federale intervenga di fronte a una crescita annua di circa il 6 per cento del Prodotto interno lordo, come quello che si registra in Usa già dall’ultimo trimestre del 1999, e di fronte al tremendo salto delle Borse. Ma in Europa la crescita del Prodotto interno lordo è appena agli inizi e le Borse hanno ancora ampio margine di ascesa. La Banca centrale europea non doveva rialzare i tassi. Una delle due ha sbagliato di grosso, e ritengo che sia stata quella europea.
La debolezza dell’euro rispetto al dollaro è innegabile, ma non significa nulla. Non si è visto che cosa è accaduto al dollaro vis-à-vis allo yen negli ultimi tre anni? E’ andato su e giù per tutto il tempo. Ma la Federal Reserve non si è spaventata. Le oscillazioni non hanno influito minimamente sulle economie: quella americana ha continuato a camminare, e quella giapponese ha continuato a contrarsi. La Banca centrale europea dovrebbe cercare di incentivare l’economia del Vecchio Continente.

Né si può condividere la tesi secondo cui quel che si è verificato in Germania e in Austria possa contribuire a danneggiare l’euro. La politica si ripercuote sull’economia e sulle monete solo quando ci sono delle rivoluzioni e dei cambiamenti di governo che puntano a drammatiche inversioni di rotta. Ora, il partito di Khol non è al governo e l’Austria non condiziona l’Unione europea. Lo scandalo europeo si spegne e la destra austriaca non causerà terremoti. Se si sparasse in Messico, allora sì, i capitali stranieri se ne andrebbero da quel Paese. Perché dovrebbero andarsene dall’Europa, le cui prospettive rimangono buone?
Il fatto è che la nascita dell’euro è stata circondata da troppe aspettative, ma è logico che oscilli: è capitato anche allo yen, che era fortissimo. Mentre non escludo che scenda ancora, a mio parere, a lungo termine, cinque-dieci anni, l’euro tornerà alla parità col dollaro o lievemente sopra. I fondamentali dell’economia europea mi sembrano rassicuranti, ed è del tutto inutile allarmarsi se adesso la moneta unica scende. Secondo me, non esiste la minima ragione per farsi prendere dal panico.
Per quel che riguarda le previsioni sulle Borse, il rialzo dei tassi in America non ha avuto grandi ripercussioni. Ma se ce ne saranno altri, Wall Street scenderà. Sarà un bene se l’atterraggio sarà morbido. Ma non sarà facile. Il problema è di evitare una traumatica caduta: quella del 1987 fu così precipitosa, da impedire all’economia degli Stati Uniti di decollare di nuovo fino al 1992-93.
A differenza delle nostre, le Borse europee non hanno bisogno di una correzione tecnica, tranne forse in qualche settore, come l’Internet. Ma se i governi europei adotteranno le misure necessarie per la ripresa, dalla maggiore mobilità del mercato del lavoro alla riduzione di alcuni oneri sociali, le pensioni in primo luogo, dando un’altra spinta all’economia, allora saliranno.
Non si creda che sono troppo ottimista. Sono soltanto, o credo di essere solo realista. Se la storia non mente, l’America si sta avvicinando alla fine del miracolo: non quest’anno, ma in uno di quelli immediatamente successivi. Il ciclo europeo, al contrario, sta appena incominciando.

   
   
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