Non è un caso che
in entrambi i film
si faccia riferimento
a Roma e al potere in essa risiedente: quello della
burocrazia e quello dei partiti politici
e della Chiesa
cattolica.
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Per capire cosa è cambiato nel cinema tra gli anni del dopoguerra
e gli anni Sessanta uninteressante occasione è offerta
dai film che Luigi Zampa realizzò in collaborazione
diretta o indiretta con Vitaliano Brancati. Questi film sono:
Anni difficili, Anni facili, Larte
di arrangiarsi e Anni ruggenti. Il primo film
è del 1947, il secondo del 1953, il terzo è del 1954
e il quarto del 1962. Il primo film fu tratto da Sergio Amidei e
Luigi Zampa dal racconto di Brancati Il vecchio con gli stivali,
al secondo collaborò per la sceneggiatura lo stesso scrittore
siciliano Vitaliano Brancati, insieme a Luigi Zampa, a Sergio Amidei
e a Vincenzo Talarico; del terzo Brancati scrisse il soggetto e
la sceneggiatura e uscì nellultimo anno di vita dello
scrittore siciliano (morì nel settembre 1954), mentre non
collaborò al quarto perché fu realizzato quando era
morto da circa 8 anni, ma vi collaborarono, con Luigi Zampa, Sergio
Amidei e Vincenzo Talarico, che avevano collaborato con Brancati
alla realizzazione di Anni facili.
Il primo film ripercorre le vicende dun impiegato (di cognome
Piscitello, interpretato da Umberto Spadaro) durante il fascismo.
Il secondo è in un certo senso il seguito del primo, perché
riguarda gli anni successivi alla fine del fascismo e della seconda
guerra mondiale. Il terzo racconta le vicende di Sasà (Rosario
Scimoni) dallinizio del secolo (il film comincia con lanno
1912) al secondo dopoguerra. Il quarto è una sorta di rifacimento
del primo, in quanto racconta anchesso vicende degli anni
del fascismo. Non è più ambientato a Modica, come
i primi tre, bensì in un non meglio precisato paese delle
Puglie. Si svolge poi in diversi centri delle Puglie e della Basilicata.
I primi tre film sono collocati a Modica, che si trova vicino Ragusa,
da Vitaliano Brancati, che, nato a Pachino, visse a Modica perché
suo padre vi si trasferì nel 1913, quando Vitaliano aveva
appena sei anni, e vi rimase fino al 1920, quando si trasferì
a Catania. Vitaliano Brancati, come viene rilevato da Domenica Perrone
nella ricostruzione della biografia dello scrittore, premessa alle
Opere. 1932-46, rimase «particolarmente affezionato»
a Modica. Ciò è attestato, secondo Domenica Perrone,
«da alcune pagine autobiografiche del suo primo romanzo, Lamico
del vincitore».
Il film Anni difficili di Zampa e il racconto di Brancati
da cui il film fu tratto sono autobiografici, perché riguardano
le vicende del regista e dello scrittore durante il fascismo. Raccontano
le vicende del Mezzogiorno e della Sicilia durante il fascismo,
un tema che Brancati conosceva bene perché si era formato
in quegli anni e aveva aderito al fascismo («Sui ventanni,
io ero fascista fino alla radice dei capelli», scrisse lo
stesso Brancati) e aveva collaborato a lungo con Telesio Interlandi,
direttore della Difesa della razza, la rivista razzista creata dal
fascismo nellagosto del 1938. Aveva collaborato al Tevere
dal 1929, un quotidiano semiufficiale fascista nato nel 1924, fondato
e diretto da Interlandi, aveva collaborato anche al Lunario siciliano,
una rivista diretta da Interlandi che si stampava a Roma ma era
fatta da siciliani, era stato redattore-capo di Quadrivio, la rivista
che Interlandi fondò nel 1933, insieme a Luigi Chiarini.
Durante il ventennio fascista, Brancati scrisse anche diverse sceneggiature,
tra le quali quella del film di Riccardo Freda Don Cesare
di Bazan (1942), quella del film di Luigi Chiarini La
bella addormentata (1942). Va ancora detto che Vitaliano Brancati,
che aveva pubblicato Il vecchio con gli stivali, il racconto dal
quale fu tratto il film Anni difficili, nel 1944, per
il quale nel 1946 aveva ottenuto il premio Vendemmia,
dopo la guerra e dopo il fascismo scrisse le sceneggiature di molti
film, tra i quali i film di Roberto Rossellini Viaggio in
Italia (1954) e Dovè la libertà
(1954).
Quanto a Zampa, che dopo la fine della guerra aveva diretto Un
americano in vacanza (un film del 1945), e Vivere in
pace (un film del 1946), fece Anni difficili perché
dava ragione della sua adesione al fascismo, attestata dalla collaborazione,
come autore delle sceneggiature, a film come Mille lire al
mese (che è di Max Neufeld ed è del 1939) o
come 100.000 dollari (che è di Mario Camerini
ed è del 1940), e dalla realizzazione, come regista, di film
come Fra Diavolo (che è del 1942).
Venendo ora a unanalisi più approfondita di Anni
difficili (1947) tratto da Il vecchio con gli stivali, il
già ricordato racconto lungo di Brancati del 1944, va detto
che il film è molto interessante. Tratta del «viaggio
attraverso il fascismo» per usare lespressione
utilizzata da Ruggero Zangrandi come titolo dun suo libro
di un uomo qualunque, limpiegato comunale Aldo Piscitello,
che parte da posizioni non politiche e diventa fascista per opportunismo.
Fra laltro, Piscitello frequenta una farmacia nella quale
si incontrano alcuni antifascisti, ai quali rimprovera di non andare
in piazza a dire quel che pensano. Invece di dare a Piscitello un
consiglio su cosa deve dire al podestà, il quale si è
accorto che il vecchio impiegato comunale non è iscritto
al fascio e minaccia di licenziarlo se non regolarizza al più
presto la sua posizione, gli antifascisti che frequentano la farmacia
si limitano a dirgli «Decida lei». Preferiscono litigare,
tra laici e cattolici, su chi deve assumersi la responsabilità
dellascesa al potere del fascismo. E Piscitello decide di
iscriversi al fascismo, seguendo anche il consiglio di Rosina, sua
moglie, che insiste perché lui si rivolga al segretario del
fascio di Pedara, il paesino nel quale i Piscitello alla fine del
film andranno come sfollati.
Non cè niente da fare, sembrano dire Zampa e Brancati,
durante il fascismo non cera altra possibilità di essere
fascisti. Le sfilate, le precettazioni che arrivavano a Giovanni,
il figlio di Aldo Piscitello, per lEtiopia, per la Spagna,
per la guerra mondiale, sono subite passivamente dagli italiani
che aderiscono alle iniziative militaresche del fascismo semplicemente
per combattere la fame. Gli antifascisti, ancorché dicano
di non essere tali per partito preso, non hanno altro da fare che
riunirsi segretamente in farmacia e raccontarsi storielle, barzellette
contro Mussolini, il re e gli altri vertici dellItalia del
ventennio.
I compaesani di Piscitello, i cittadini di Modica, partecipano
alle manifestazioni pubbliche, ascoltano i discorsi di Mussolini
alla radio, perché non possono fare diversamente, come dimostra
la vicenda di Aldo Piscitello. Questi è stato costretto a
diventare un finto squadrista perché la moglie si è
già presa le 2000 lire riservate agli squadristi e spiega
ad Aldo che le ha prese per tirare avanti, perché altrimenti
avrebbe fatto la fame e lavrebbe fatta fare a lui e ai suoi
figli. Giovanni, il figlio di Aldo, partecipa a tutte le guerre
volute dal fascismo, nonostante sia antifascista semplicemente perché
obbedisce alle istituzioni. E sul traghetto che lo riporta in Sicilia,
di ritorno dalla Spagna, incontra un soldato che ha perso una gamba
a Guadalajara, Giovanni non può che compiangerlo, come del
resto ha fatto il farmacista dando a un contadino, in abiti coloniali,
che ha contratto in Africa lameba, una medicina contro questo
malanno. Né possono fare alcunché gli antifascisti
che si incontrano in farmacia.
Sperano nelle sanzioni, sperano che la guerra dEtiopia finisca
con una sconfitta dellItalia, sperano che anche il franchismo,
aiutato dal fascismo, perda la sua guerra. Ma nel fare ciò
contraddicono il comportamento di Piscitello, che non vuole la sconfitta
dellItalia, ma la pace, perché ha un figlio combattente.
Piscitello, daltro canto, riprende la moglie perché
gioisce delle vittorie franchiste, che son costate bombardamenti
che hanno causato lacrime e sangue di buone donne di famiglia spagnole
non diverse da Rosina stessa.
Nelle vicende narrate in questo film non cè ladesione
degli italiani al fascismo. E come se gli italiani, e i meridionali
in particolare, subissero il fascismo. Mussolini, sembrano dire
Zampa e Brancati, capita sulle teste dei meridionali, i quali lo
subiscono. Lui sta sopra e loro sotto, ma questa non è una
novità, ciò è capitato già altre volte
ai meridionali. Si può dunque considerare una sorta di giustificazione
dei rapporti che sia Brancati sia Zampa tennero col fascismo. Eppure,
è un film interessante che presenta tutti i caratteri del
neorealismo. Del resto, il film si colloca nellepoca del neorealismo,
essendo del 1947.
Cè innanzi tutto losservazione della realtà
che fu propria del neorealismo. Si pensi alla parte iniziale del
film. Alla descrizione della Sicilia e a quella della casa di Piscitello.
Sia luna sia laltra sono osservate con attenzione, passate
in rassegna senza mediazioni di sorta. La casa, specialmente, è
vista e osservata per quella che è nelle sue dimensioni (non
è piccola), nel suo terrazzo sul quale Rosina alleva i polli,
dal quale si accede al cesso, conteso dai maschi di casa (da Aldo,
dai suoi piccoli figli, dal vecchio padre di Aldo), nella cucina
ampia e spaziosa nella quale si svolge, a partire dal mattino, gran
parte della vita della famiglia. Di Piscitello il regista e lo sceneggiatore
osservano anche il comportamento. Legge tutte le notizie del giornale,
ivi comprese quelle che riguardano la Germania, con la morte di
Hindenburg e il concentramento nelle mani di Hitler del cancellierato
e della presidenza della Repubblica (il film comincia con il 1934),
ma comunica alla moglie Rosina solo quelle che la possono interessare,
ovvero quelle che riguardano persone da lei conosciute, come la
morte del cavalier Percolla. In tal modo, dopo averci prima fatto
rilevare il carattere cinico e spietato della moglie di Aldo Piscitello
nei confronti di un suo pollo uscito dal pollaio (che lei chiama
mangiapane a tradimento), il film caratterizza anche
Rosina, il personaggio di Ave Ninchi, destinata ad essere una figura
di rilievo nel film: sarà Rosina infatti che indurrà
Aldo a farsi fascista. Rosina, sembra dire il film, non vedeva più
in là del proprio naso, e le sfuggiva completamente ciò
che accadeva in Germania, lascesa al potere di Hitler e del
nazismo. Quanto ad Aldo Piscitello, è un uomo attentissimo
a ciò che gli accade intorno. A tal punto da rilevare persino
che il colonnello Stevens di Radio Londra sembra conoscere come
la figlia di Piscitello, Elena, maestra elementare fascista, descrive
Mussolini ai suoi alunni. A tal punto da arrivare ogni giorno in
Comune per lavorare con scrupolo estremo, o anche solo per mettere
la propria firma (il che accade nei giorni in cui Aldo Piscitello
è sfollato a Pedara). A tal punto da accorgersi dei rapporti
tra sua figlia Elena e il figlio del barone, Riccardo, e da capire
il peso che ha avuto in ciò Gabriele DAnnunzio, per
leggere i libri del quale Elena trascorre le notti in bianco. Ma
Piscitello, sebbene attento, è anche sostanzialmente indifferente
a quello che accade sotto i suoi occhi. E come distaccato.
Lascia che le cose seguano il loro corso e quando i fascisti vogliono
che si iscriva al loro partito non va oltre la domanda «Che
se ne fanno di me?».
Si iscrive, infatti, dopo aver chiesto consiglio agli antifascisti,
senza aspettare la risposta, aspettandosi che non avrebbero avuto
da dargli alcun consiglio. Segue le vicende del figlio Giovanni,
come se accadessero a lui, ma poi, nella parte finale del film,
quando i tedeschi uccidono Giovanni, rimprovera agli antifascisti
e a se stesso di aver ucciso i propri figli lasciandoli andare verso
la morte senza opporsi al corso degli eventi: «Siamo tutti
vigliacchi. dice più o meno con voce strozzata
E abbiamo fatto morire i nostri figli». Per questa ragione
non si meraviglia minimamente del fatto che il barone cerchi di
rimanere a galla anche dopo la fine del fascismo, diventando, egli
che era podestà, sindaco di Modica. E a Turi Lauria, che
è figlio di siciliani, ma è nato in America e collabora
con gli Alleati, Piscitello dà le chiavi di casa sua a Modica,
ma con indifferenza, come per fare il suo dovere e senza aderire
alliniziativa.
Tra il film e il racconto di Brancati non cè quasi
alcun rapporto. Già il fatto che il racconto sia stato scritto
nel 1944, due soli anni prima della realizzazione del film, ma durante
la guerra e quando il fascismo, sia pure soltanto quello della RSI,
era ancora vivo, è un fatto che ha il suo rilievo.
Le differenze tra il racconto, che inizia nel 1930, e il film riguardano
anche la struttura. Per esempio, nel racconto non cè
traccia di Giovanni, il figlio di Aldo Piscitello, una figura invece
centrale nel film. Nel racconto, a differenza del film, non compare
la nipote del farmacista, Maria, fidanzata (poi moglie) di Giovanni.
Nel film la nipote del farmacista si chiama Maria, nome che invece
nel racconto è della figlia di Piscitello, la quale nel film
si chiama Elena.
Ma queste differenze sono poco importanti perché è
comprensibile che il film sia diverso dal racconto che lo ha ispirato.
Ma cè una differenza di impostazione, tra il film e
il racconto che val la pena di sottolineare. Il fatto è che
il racconto è più astratto del film. Nel racconto
Piscitello inizialmente non è antifascista, ma semplicemente
non si è schierato mai con nessun partito. Diventa antifascista,
cioè rifiuta il fascismo, senza per questo schierarsi con
nessun altro partito, dopo che i fascisti lhanno costretto
a indossare la divisa e il distintivo del fascio. Nel film diventa
invece antifascista presto perché frequenta la farmacia dellantifascista,
dove incontra Maria, nipote del farmacista e fidanzata di suo figlio.
Nel racconto appare in primo piano la noia di Piscitello, espressa
mediante gli sbadigli, sui quali Brancati insiste molto. A tal punto
che il podestà, nel momento in cui dice a Piscitello che
deve iscriversi al fascio, altrimenti è costretto a licenziarlo,
Piscitello non fa altro che sbadigliare e il podestà deve
dirgli: «Ma ora deve iscriversi al fascio!... Eh, cè
poco da sbadigliare! Lha capito che si tratta del pane? Del
pane per lei e per i suoi figli! Quanti ne ha?». «Tre.
E lultimo è piccino». Anche questa è una
caratteristica che fa del racconto qualcosa di astratto. Piscitello
diventa antifascista per noia, non ha nulla contro il fascismo,
anzi lo rispetta per quel che ha fatto per la gente onesta. In questo
concorda con la moglie Rosina. Ma lui non si è mai sentito
antifascista, come non si è sentito nullaltro. Perciò
conclude in piena notte accontentando la moglie: «Domani mi
iscrivo al fascio!». Può iscriversi o no, per lui è
la stessa cosa.
Il «Mah!» di Piscitello quando sente i propositi del
fascismo per il futuro accentua la sua astrazione. Lui infatti si
distacca dal fascismo e diventa antifascista perché ritiene
velleitari i propositi del fascismo.
Il film è invece molto più concreto non solo perché
fu realizzato dopo la fine della guerra e del fascismo, non solo
perché è un film neorealista, ragion per cui osserva
la realtà, ma anche semplicemente perché si tratta
di un film. I film devono, per avere successo, mostrare lo svolgimento
della vita quotidiana. E una serie di elementi che compaiono nel
film e non nel racconto suffraga questa tesi. A cominciare dalla
figura di Giovanni, che è una sorta di alter ego di Piscitello
(del resto è suo figlio), che vive direttamente tutti gli
aspetti negativi del fascismo, in primo luogo le guerre (quella
dEtiopia, quella di Spagna, quella mondiale). Per non parlare
di Maria, che nel film è la nipote del farmacista che va
al confino. Maria non serve solo a dare continuità allattività
della farmacia anche dopo che il farmacista è stato mandato
al confino, ma serve anche a rendere più umana la figura
di Giovanni: senza Maria, che è la sua fidanzata prima e
moglie poi, Giovanni sarebbe un soldato qualsiasi, non il concreto
soldato figlio di Piscitello, che si fidanza con Maria e sposa questultima,
la nipote di un farmacista antifascista. Ma gli stessi antifascisti
che nel film frequentano la farmacia con Piscitello quasi dallinizio,
mentre nel racconto non compaiono come frequentatori della farmacia,
se non fosse per unallusione occasionale e non sviluppata
di Brancati, sono un elemento di concretezza, di quella concretezza
che caratterizza il film e non il racconto. Così erano gli
antifascisti, sembrano dire Zampa e Brancati, litigavano tra laici
e cattolici sulle responsabilità dellavvento del fascismo
al potere, come del resto avevano fatto già nel primo dopoguerra,
ma non sapevano dare un consiglio a Piscitello, che doveva decidere
da solo se iscriversi o meno al fascio. Naturalmente Piscitello,
senza guida alcuna, finisce per iscriversi.
E per opportunismo che Piscitello nel film si iscrive al
PNF. E poi mal sopporta la divisa fascista, a cominciare dagli stivali.
Anche Giovanni porta una divisa, che è quella dellesercito
italiano, sa come si indossano gli stivali e aiuta il padre nello
sforzo di toglierli, ma la porta con dignità: ha scelto quella
divisa e muore con la divisa, ucciso dai tedeschi. Piscitello, invece,
è uno squadrista finto, non avendo mai fatto parte in realtà
delle squadre dazione. Perciò porta una divisa indegnamente.
Su questo aspetto si fonda il rapporto con la partecipazione dellItalia
alle guerre. Il rapporto col disfattismo e col fascismo nel racconto
è mediato dalla moglie. Nel film invece è mediato
dagli antifascisti.
Nel racconto il rapporto tra Aldo Piscitello e la moglie Rosina
è fondato su questa differenza. Mentre Piscitello ripete
che non è fascista (perché lui non è nulla,
anzi è «merda», come si definisce parlando al
podestà e confrontandosi con Mussolini che dichiara di considerare
«dio») la moglie dice che Aldo lo diventerà:
per lei essere fascisti o meno non conta, conta solo il pane, come
del resto dice il podestà. Aderire al fascismo non è
preliminare per iscriversi al fascio. Quel che conta è solo
che a Piscitello viene richiesto, anzi imposto, da chi è
al potere. Perciò Rosina dice che Aldo diventerà fascista.
E lamore per lItalia, che non coincide con lodio
per i fascisti, nel racconto di Brancati è un sentimento
di Piscitello, nel film invece è degli antifascisti. Nel
racconto su questo tema Piscitello si confronta con la moglie, nel
film con gli antifascisti.
Insomma, il film risente del fatto di essere un film. Zampa e Brancati
sanno bene che con il film contribuiscono a formare le coscienze,
quindi sono fedeli ai principi ispiratori del neorealismo e conferiscono
concretezza al racconto. Nel racconto, invece, che è del
1944, Brancati è più astratto, si comporta come si
comporta uno scrittore che sa di essere letto da poche persone e
conferisce astrazione al suo personaggio, anzi ne concepisce lantifascismo
come astratto, come il frutto del contrasto tra il non aderire ad
alcun partito politico e la costrizione ad aderire al fascismo.
Negli anni Cinquanta la collaborazione tra il regista Luigi Zampa
e lo scrittore Vitaliano Brancati continuò almeno fino alla
morte di questultimo, avvenuta nel settembre 1954. Particolarmente
significativi furono i film Anni facili, del 1953 e
Larte di arrangiarsi, che secondo alcuni va sotto
la data del 1954, secondo altri sotto la data del 1955. Per questa
ragione conviene collocare la collaborazione tra Zampa e Brancati
genericamente nella prima metà degli anni 50.
Il primo dei due film fu realizzato con la collaborazione, per la
sceneggiatura, di Vitaliano Brancati, il quale la scrisse insieme
allo stesso Zampa, a Sergio Amidei e a Vincenzo Talarico, mentre
a lui solo si deve il soggetto. Infatti erano gli anni in cui Brancati,
ormai da tempo a Roma, era diventato un assiduo collaboratore del
cinema. Era infatti diventato amico di Ennio Flaiano e di Vincenzo
Talarico, due scrittori che diedero al cinema i migliori dei loro
prodotti. Flaiano, anzi, ricorda Leonardo Sciascia, fu uno degli
ultimi amici a incontrare Brancati prima che questi morisse: «Mi
torna in mente racconta Sciascia una pagina del diario
di Flaiano: una mattina del 54, i due sincrociano in
via Veneto. Brancati fa un cenno allamico e dice: Voglio
salutarti perché forse non ci vedremo più. Domani
vado a Torino ad operarmi». Del secondo film, Larte
di arrangiarsi, si deve a Vitaliano Brancati non solo il soggetto
(fu tratto da un racconto dello scrittore siciliano), ma anche la
sceneggiatura.
I due film sono stati interpretati da due noti attori comici italiani:
il primo da Nino Taranto, il secondo da Alberto Sordi. Non è
un caso: non solo perché Luigi Zampa fece altri film, almeno
con Sordi (da Ladro lui ladra lei del 1958 a Il
medico della mutua del 1968, da Contestazione generale
del 1970 a Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana
illibata del 1971), ma anche perché la comicità,
anzi il grottesco, fu una delle costanti di Brancati. Non a caso
egli, che, come si è visto, ha aderito al fascista, mise
spesso in rilievo il carattere grottesco del fascismo.
Nel primo dei due film di cui qui si sta parlando, Anni facili,
interpretato da Nino Taranto, si parla del periodo successivo alla
fine del fascismo e della guerra. E vi si sostiene la tesi, ché
di un film a tesi si tratta, che i fascisti continuarono
a controllare lItalia anche dopo la fine della Repubblica
Sociale Italiana. Non solo il barone La Prua, eletto sindaco della
cittadina siciliana, è stato podestà della stessa
cittadina, non solo manovra per fare approvare dal ministero un
prodotto della sua azienda farmaceutica del tutto privo di presupposti
scientifici, continuando a fare quel che faceva prima, cioè
a tenere un comportamento disonesto, egli che è stato fatto
barone da Mussolini, ma addirittura è in contatto con un
gruppo di fascisti che ancora vestono come nel ventennio e durante
la guerra e si nascondono per questo in un antico castello.
Questi fascisti hanno un enorme potere, essi possono fare quel
che il sottosegretario Michele Rapisarda, deputato antifascista
che ha scontato il confino a Modica, non riesce a fare: trovano
il modo per spianare la strada al prodotto che sta a cuore al barone
La Prua, il Villon. Fanno un gran favore al barone, il quale tiene
tanto al Villon che per ottenere il permesso di commercializzarlo
paga uno stipendio di 50 mila lire al mese al professore De Francesco
(il personaggio di Nino Taranto), dopo che ha saputo che De Francesco
è amico dellonorevole Rapisarda.
Il film di Brancati e di Zampa è un film sullonestà
e sulla dirittura morale: «Il nostro paese diceva lon.
Michele Rapisarda quando scontava il confino in Sicilia ha
bisogno di una generazione di onesti dopo una generazione di furbi».
Lo ricorda allo stesso Rapisarda, divenuto da poco sottosegretario,
Luigi De Francesco, il protagonista del film, spiegandogli perché
non ha denunciato La Prua nel corso dellinchiesta promossa
da Rapisarda sui permessi relativi alla commercializzazione del
Villon. Ma lonestà è identificata con lidentità
meridionale. Luigi De Francesco, che è un siciliano (è
nato ad Acireale), parla in realtà con accento napoletano
(la sua figura è interpretata da un attore napoletano, Nino
Taranto). E un aspetto molto significativo del film. La sicilianità
è per questultimo sinonimo di meridionalità.
Ma Brancati, secondo Leonardo Sciascia, era anche convinto che i
siciliani fossero più intelligenti degli altri europei: «Brancati
considerava i siciliani il popolo più intelligente dEuropa.
Era una sua idea personale, o è una costante patriottica
tipica della sicilitudine?», chiese a Sciascia un intervistatore,
e Sciascia rispose: «Purtroppo è un atteggiamento di
tanti siciliani. Anchio mi sorprendo a volte a pensare: noi
siamo più intelligenti».
Ma questa superiorità era anche diversità. Brancati
e Sciascia sono convinti che i siciliani (ma potremmo dire: i meridionali)
sono il popolo più intelligente dEuropa, ma pensano
anche che i meridionali sono diversi dagli altri. Per questa ragione
Luigi De Francesco, un integerrimo professore di liceo, non denuncia
il barone La Prua, anzi accetta di andare lui solo in carcere, perché
ha tentato di utilizzare a suo vantaggio la posizione che lo Stato
gli ha consentito di occupare: «La parte migliore di me che
giudica la parte peggiore», dice al magistrato che si occupa
di lui (personaggio interpretato da Domenico Modugno, che era pugliese
ma ci teneva a passare per siciliano).
Questo fa del film un film sul Mezzogiorno. Perciò il regista
insiste nel confronto tra la struttura antica e barocca della zona
da cui proviene De Francesco e la struttura moderna di Roma. Anche
se Roma è più antica dei paesi vicini a Catania (che
sono stati rasi al suolo nel 600 da un terremoto), pure la
zona da cui proviene De Francesco mantiene un legame col passato
che Roma non ha conservato.
Il film, vale a dire sia il regista sia lo sceneggiatore, nutre
quindi molte riserve nei confronti della modernizzazione. La Sicilia,
e più in generale il Mezzogiorno, è superiore al Settentrione
perché è più onesta e perché mantiene
un rapporto con il passato che la Roma moderna, ormai preda della
burocrazia, non ha più. I commessi che stanno nel corridoio
del ministero, che sono romani, sono decisamente volgari e materialisti.
Essi sono lo specchio della Roma post-fascista.
Ma, ed è questo laspetto più significativo del
film, i meridionali sono vessati dalla burocrazia romana e sono
anche diversi dagli altri italiani. Essi sono superiori, ma anche
diversi dai settentrionali e dai romani, da tutti coloro che sono
stati toccati dalla modernizzazione.
Non diversa è limpostazione di Larte di
arrangiarsi, il film del 1954 (o 1955) di Zampa che conclude
la collaborazione con Brancati. Il film fu interpretato da Alberto
Sordi. Ed è uno spaccato di vita italiana, dal 1912 allultimo
dopoguerra. E la storia di un arrampicatore sociale, di un
trasformista, che cambia a seconda di come tira il vento, con lo
sguardo costantemente rivolto al proprio tornaconto individuale.
Sasà (ovvero Rosario) Scimoni, il protagonista del film,
passa per esperienze diverse: da liberale moderato diventa socialista
repubblicano, per diventare poi fascista, ma nel secondo dopoguerra
diventa comunista per poi diventare democristiano e clericale dopo
le elezioni del 18 aprile.
Cè, in questo film come in Anni facili,
lidea che in Italia non cambi nulla, che tutto resti uguale
a se stesso, nonostante compaiano diverse novità: dalletà
giolittiana al miracolo economico lItalia è sempre
rimasta uguale. E Sasà Scimoni, che si arrangia
come può, ne è la dimostrazione: muta pelle ma lanima
resta sempre uguale. E cinico ed egoista, usa lo zio, la moglie,
i partiti politici da quello liberale alla DC per
tenersi a galla. Lunico suo nemico è rappresentato
da se stesso: alla fine sbaglia, perché compie una truffa
di troppo, e paga. Viene abbandonato da tutti, anche dalla Chiesa
cattolica, che pure è stata lultima ad essere beneficiata
da lui, perché ha prodotto un film su una santa che risponde
alle caratteristiche del film ideale, secondo le indicazioni
fornite da Pio XII.
Ma è in questo che il film si configura come un film sul
Mezzogiorno. Dopo tutto Sasà Scimoni è un meridionale.
Sasà Scimoni è intelligente e furbo, ma sbaglia, finisce
per sbagliare. E, insomma un meridionale, perché crede
di poter contare su se stesso, ma non è vero. Il film infatti
inizia e finisce così: con Sasà che ha ricevuto una
visita dei carabinieri e telefona a destra e a manca ivi
compresa la Chiesa cattolica per essere aiutato, ma nessuno
vuole aiutarlo. E finisce per andare in carcere.
Per certi versi Sasà Scimoni è lopposto di Luigi
De Francesco. Se questultimo era onesto fino allostinazione,
Sasà invece è integralmente disonesto: ruba, imbroglia,
inganna, ma riesce sempre a mantenersi in piedi. Alla fine, però,
cade: sbaglia e viene arrestato. Ma entrambi sono meridionali: entrambi
fanno quel che fanno per dare un senso alla propria vita. E in questo
sono diversi dagli altri, che invece seguono passivamente i processi
di cambiamento.
Per capire bene il senso di questi due film occorre tenere presente
il tempo in cui furono realizzati: la prima metà degli anni
50. Furono anni di grande cambiamento per lItalia. Dal
punto di vista economico lItalia si stava trasformando da
Paese prevalentemente agricolo in un Paese industriale. Nella prima
metà degli anni 50, infatti, viene abitualmente collocato
linizio del miracolo economico. Dal punto di vista politico
gli anni 50 furono anni di preparazione per il centrosinistra
che incominciò nel decennio successivo. Ma basta ricordare
che il decennio si aprì con le elezioni nelle quali era in
gioco la cosiddetta legge truffa, che furono del 1953
e che si chiusero con i fatti del luglio del 1960 le agitazioni
che portarono alla caduta di Tambroni e alla nascita dun governo
Fanfani, il quale non solo aveva sostituito De Gasperi nel 1954
alla guida della DC, ma aveva anche tentato unapertura a sinistra
nel 1958, con un breve governo durato dal luglio 1958 al febbraio
1959, al quale avevano partecipato anche i socialdemocratici. Eppure
i meridionali ritenevano che non cambiasse nulla, che il Mezzogiorno
conservasse le sue caratteristiche e la sua funzione. LItalia
cambiava, ma solo in apparenza, dal punto di vista strutturale rimanevano
due aree: una sviluppata e lanciata verso la modernizzazione (il
Nord e il Centro), laltra sottosviluppata (il Sud e le Isole),
arretrata, che doveva servire da serbatoio di manodopera
come lemigrazione dimostrava.
Luigi De Francesco e Sasà Scimoni, i protagonisti dei film
di Zampa e di Brancati, con il loro rimanere sempre uguali a se
stessi erano la dimostrazione di questa tesi. Del resto,
per il Mezzogiorno non cera che una politica di sostegno:
cera la Cassa, cerano le sovvenzioni allindustria
privata che investiva nel Sud e poche altre provvidenze, ma in ogni
caso le sorti del Sud dipendevano dal governo di Roma. Non è
un caso che in entrambi i film si faccia riferimento a Roma e al
potere in essa risiedente: quello della burocrazia e quello dei
partiti politici e della Chiesa cattolica. Del resto, Brancati aveva
vissuto di persona unanaloga vicenda, perché, pur essendo
siciliano e descrivendo nelle sue opere la Sicilia, si era trasferito
a Roma, dove aveva conosciuto Ennio Flaiano, Vincenzo Talarico,
Luigi Zampa. Aveva una profonda nostalgia della Sicilia e la ricordava
come una terra particolare, abitata da grandi uomini che talvolta
erano riusciti a farsi conoscere, come Luigi Pirandello e Vincenzo
Bellini, ma spesso erano poco conosciuti, come Luigi De Francesco
e Sasà Scimoni. Era una terra misteriosa, e proprio per questo
diversa da tutte le altre, distinta e separata. I siciliani sanno
riconoscersi e si aiutano, come possono naturalmente, perché
sono tutti schiavi della burocrazia, prescindendo dalle loro qualità
personali.
Ma i meridionali, e tra questi in primo luogo i siciliani, non
cambiano. Restano fedeli a se stessi, nonostante i cambiamenti.
La moglie di De Francesco insiste perché il marito non faccia
come è solito fare: ostinarsi nella dirittura morale, senza
farsi toccare dai cambiamenti in atto. E De Francesco accetta di
scrivere il discorso del barone La Prua per una sola ragione: perché
ha limpressione di parlare di se stesso. Perciò scrive
il discorso ai consiglieri nel momento stesso in cui dice alla moglie
che lascia fare i suoi colleghi, che danno lezioni private, ma lui
non ne darà perché la legge non lo consente.
Insomma, nellItalia che cambia, i siciliani restano uguali
a se stessi. Così la pensano Brancati e Zampa.
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