Annunciata
probabilmente con eccessiva cautela
nel catalogo di una mostra su Alessandro Magno, una scoperta
davvero
straordinaria
sarebbe da registrare ad Alessandria.
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Scavi archeologici nel bacino mediterraneo, alla ricerca, o meglio
ancora, per la conferma di radici comuni, di una grande koinè.
Cè stata unepoca durante la quale le grandi potenze
europee conducevano una sorta di politica di rapina nelle aree archeologicamente
più ricche, (si pensi ai marmi del Partenone portati a Londra;
oppure al tesoro di Priamo, che dopo tortuose vicende è finito
dalle parti di Mosca), anche se non mancarono grandi imprese scientifiche
(come la spedizione napoleonica in Egitto), e anche se vennero avviate
indagini che ancora oggi costituiscono tappe fondamentali nella
storia degli studi (tedeschi a Mileto e a Pergamo, austriaci ad
Efeso, francesi a Delo e a Delfi, inglesi in Medio Oriente...).
E cè unepoca, quella attuale, nel corso della
quale i lavori si sviluppano su un piano di collaborazione paritaria:
fra gli esempi più recenti, ricordiamo gli scavi italiani
a Gerico (prima ricerca concordata dalle autorità palestinesi
con missioni straniere) e a Zama (è recentissimo laccordo
con la Tunisia). Ma vediamo, in sintesi, quali sono i lavori in
corso in tutto il bacino del Mare Nostrum.
Italia: da Creta a Ebla. Il nostro Paese si trova in una situazione
particolare, in quanto ospita sul suo territorio numerosissimi gruppi
di studiosi stranieri, ma a sua volta invia missioni un po
dappertutto. Tutto cominciò nel 1884, con quella sorta di
pioniere che fu Federico Halbherr a Creta: e qui, dopo i grandi
lavori di Doro Levi a Festos, ancora oggi è impegnata a fondo,
in diverse località, la Scuola Archeologica Italiana di Atene.
In Libia, nostre missioni sono presenti fin dal 1919 (dopo che questa
area era stata sottratta alla Turchia e allImpero Ottomano),
e in qualche caso anche da prima. Lattività continua,
attualmente, in collaborazione con il governo libico, tanto in Tripolitania,
(Sabratha, Leptis Magna), quanto nella colonia greca di Cirene,
in Cirenaica, quanto infine nel deserto. Qui, allestremità
sud-occidentale del Paese, nelle grotte e nei ripari rocciosi del
Tadrart Akakus, il nostro Fabrizio Mori scoprì negli anni
Cinquanta unincredibile quantità di pitture rupestri,
dalla più remota preistoria allinizio dellera
volgare. Dove oggi è Sahara, un tempo non era deserto: vediamo
cacciatori e grandi faune selvagge, poi pastori e mandrie, poi ancora
battaglie e altro: testimonianze di un popolo senza nome.
In Medio Oriente, fra tante imprese, la più nota e pubblicizzata
è quella di Ebla: continuano a pieno ritmo i lavori della
missione che ha riportato alla luce palazzi e santuari, fortini
e porte, e soprattutto il celeberrimo archivio di diciassettemila
tavolette del 2400-2300 a.C. In Turchia, si può scegliere
(anche qui fra tante) la missione ad Arslantepe: fra le scoperte,
una tomba reale dal ricchissimo corredo databile intorno al 3000
a.C. e le strutture di un palazzo che rivelano unorganizzazione
statale di insospettata antichità.
In Egitto, già si dovevano a specialisti italiani gli spettacolari
salvataggi dalla crescita del Nilo (dovuta alla costruzione di grandi
dighe) dei monumenti di Abu Simbel e dellisola di File. Ma,
annunciata probabilmente con eccessiva cautela nel catalogo di una
mostra del 1995 su Alessandro Magno, e forse proprio per questa
ragione sfuggita ai più, una scoperta davvero straordinaria
sarebbe da registrare ad Alessandria: nellambito delle ricerche
condotte nelle splendide necropoli, è stato individuato nel
Cimitero Latino uno sfarzoso sepolcro costruito in lastre
di alabastro. Ebbene, lo storico Strabone ci informa che Tolomeo
XI, nel primo secolo a.C., collocò esattamente in una tomba
di alabastro, sostitutiva delloriginaria sepoltura in oro,
le spoglie dello stesso Alessandro. Il corpo del Macedone, che in
un breve arco di tempo, dopo la sua morte, cambiò ripetutamente
sede, avrebbe quindi trovato qui la sua collocazione definitiva,
che per tanto tempo era stata cercata inutilmente in un mare di
ipotesi contrastanti.
Gli scavi degli altri. Gli archeologi tedeschi (i quali ebbero
un formidabile apripista nelle singolari imprese di
Schliemann a Troia e a Micene, a Orcomeno e a Tirinto), hanno in
corso ricerche ormai secolari, o almeno pluridecennali, a Pergamo,
ad Atene, a Samo, a Olimpia, a Priene: vale a dire nel cuore della
classicità. E di recente si sono aperte ancora altre missioni:
nella capitale italiana, per lOrologio di Augusto in Campo
Marzio; a Simitthu, in Tunisia, per le cave e per la fabrica
dove veniva estratto e lavorato il celebre marmor Numidicum,
ovvero giallo antico, (marmo molto apprezzato nellantichità
per il suo colore quasi dorato); a Bogazkoy, in Turchia, (tornando
indietro nel tempo), presso lacropoli e i possenti bastioni
di Hattusa, capitale (XIII-XII secolo a.C.) dellimpero hittita.
I francesi, oltre naturalmente alle numerosissime
ricerche condotte in patria, (ad esempio, nelle splendide città
della Provenza), hanno in pugno cantieri storici in
Grecia, (Delo, Delfi, Epidauro), a Creta, in Oriente, in Egitto,
in Marocco, e in modo particolare in Tunisia.
In Siria, gli scavi di Mari e di Ugarit avevano svelato, già
prima di quelli di Ebla, fondamentali aspetti delle culture urbane
preclassiche; e i lavori continuano. Formidabile il contributo del
Regno Unito. Nel Medio Oriente si devono a Sir Max Mallowan (che
era il marito della scrittrice di gialli Agatha Christie)
lunghe ricerche su Nimrud e sui suoi avori, e poi su Ur (città
dei Caldei e di Abramo), e su Ninive, splendido gioiello urbano
dellarea; mentre a Sir Mortimer Wheeler e a Kathleen Kenyon
vanno attribuite innovazioni tecniche nello scavo stratigrafico,
felicemente sperimentate a Samaria, a Gerico, a Gerusalemme, oltre
che nella Valle dellIndo. Attualmente, gli archeologi doltre-Manica
sono più che mai impegnati nella penisola italiana: nella
Valle del Tevere, con la ripresa, con tecniche moderne, delle ricognizioni
topografiche su ampia scala territoriale, a suo tempo avviate dal
grande John B. Ward Perkins; nellarea di Pompei, per ledilizia
domestica; in quella di San Vincenzo al Volturno, per labitato
medioevale.
Per quel che riguarda lEgitto, studiosi di Southampton indagano
su Myos Hormos, porto romano, e in seguito emporio islamico sul
Mar Rosso.
Quanto allAustria, anche se non è più la potenza
imperiale di una volta, è necessario ricordare la lunga tradizione
degli scavi di Efeso (dove, inoltre, si segnalano brillanti ricostruzioni,
come quella della magnifica Biblioteca di Celso), e, più
recenti, quelli di Avaris, nel delta del fiume Nilo: in questarea
è stata individuata la capitale degli Hyksos, popolazione
semitica che dominò le terre egiziane tra il 1720 e il 1570
a.C., la cui ubicazione aveva costituito finora uno dei grandi misteri
dellarcheologia orientale.
Molto forte e diffusa è la presenza di studiosi degli Stati
Uniti dAmerica: lavorano in Italia, a Cosa, nelle vicinanze
di Ansedonia; nellarea calabrese della colonia di Sibari;
in un recinto del Foro Romano; in Turchia, sono presenti a Gordion,
a Sardi, ad Afrodisia e nellarea di Hissarlik-Troia; in ambiente
sumerico, operano nella metropoli protodinastica di Lagash e nella
città santa di Nippur; in Grecia, conducono ricerche a Samotracia,
ad Olinto e in modo particolare nellagorà di Atene
e in quella di Corinto: qui, proprio nella piazza della città
dellIstmo (che fu costruita ex novo in età imperiale
romana), predicò lapostolo Paolo.
Altri interventi. Svedesi e canadesi sono presenti nellisola
di Cipro; archeologi belgi sono attivi ad Alba Fucens (in Abruzzo)
e a Herdoniae (in Puglia), ma anche ad Apamea (in Siria); spagnoli
lavorano a Tuscolo e a Gabii, ma anche a Lixus (in Marocco), e soprattutto
a Tarragona, Mérida, Italica e altri centri della Hispania
Romana.
In questo gioco di collaborazioni incrociate, il caso più
emblematico di questi ultimi decenni può essere rappresentato
da Cartagine, la città di origine fenicia che dominò
per una lunga età i commerci nel lago mediterraneo, fino
al fatale impatto con Roma, da cui uscì distrutta (nel 146
a.C.), per essere in seguito ricostruita da Cesare e soprattutto
da Augusto. In questarea hanno lavorato ben dieci missioni
internazionali: spettacolari in particolare i risultati raggiunti
dalléquipe francese, che ha evidenziato proprio la
sovrapposizione del foro di età imperiale romana sui resti
dellabitato fenicio-punico.
E una sintesi, certamente incompleta, altrettanto certamente
in progress per i cantieri aperti in diverse aree del bacino mediterraneo
negli ultimi tempi da missioni miste, che tuttavia rivela lantica,
determinata volontà di andare alla ricerca delle radici della
civiltà mediterranea che è stata centro e scuola del
mondo, anzi il mondo, per una lunga epoca. Quando il
Mediterraneo inclinò ad Occidente, fu scoperta dellAmerica,
e la storia planetaria spostò il suo asse. Ma questa è
una complessa vicenda, che si proietta fino ai nostri giorni.
Per una nuova idea dellHomo
Mediterraneus
Mauro Agnusdei
Cosa hanno in comune i trulli di pietra
della Puglia, le case scavate nella roccia calcarea di Kestra,
Marocco, la splendida Petra, perduta città dei Nabatei,
le rovine di Cartagine e di Leptis Magna e le cripte rupestri
del Vicino Oriente cristiano? Sono il prodotto, non univoco
nella forma ma di certo nella sostanza, dellhomo mediterraneus,
il frutto di una lotta ancestrale e impari delluomo
contro un ambiente ostile.
La storia delluomo mediterraneo
è anzitutto storia di battaglie, combattute con laratro,
una volta di legno oggi meccanico, se non con le nude mani,
per strappare pochi centimetri di suolo per volta contro un
ambiente che vi si oppone con la siccità, le alluvioni
e la furia dei venti e quando un nuovo spazio è stato
conquistato, luomo mediterraneo è in grado di
trasformarlo fino ad adattarlo alle proprie necessità,
usando ciò che esso gli fornisce. La pietra: ecco cosa
cerca luomo mediterraneo, cosa raccoglie quasi istintivamente.
Quella pietra che può lavorare, scolpire e con cui
può edificare splendide chiese barocche o umili dimore,
bianche di calce.
Cè nelluomo mediterraneo
uninnata tendenza alla semplicità e allautolimitazione,
che si manifesta in tutte le sue produzioni. Non cè
spazio nella sua vita per lesagerazione perché
secoli di storia gli hanno insegnato che il poco è
sufficiente: costruisce palazzi e castelli, ville e chiese
ma la loro magnificenza è solo esteriore ché
al loro interno tutto risplende della misurata e geometrica
bellezza delle volte a croce. Luomo mediterraneo ha
nostalgia: ovunque egli vada porta con sé il ricordo
struggente del proprio paese, della propria terra, perché
è convinto che per essi passi un raggio della storia
universale e, se deve lasciarli, anche solo per poco porta
con sé non unimmagine, un ricordo, ma un oggetto
della sua casa, un piatto della sua tradizione, come gli antichi
coloni greci portavano con sé una zolla di terra della
loro madrepatria. Luomo che nasce e che cresce intorno
al Mediterraneo è tutto questo e molto di più
e lotta per mantenere integra la propria identità anche
oggi, allalba di un nuovo millennio che promette fasti
ipertecnologici e verità precostituite da ordinare
via Internet: ci sarà ancora spazio per lhomo
mediterraneus e per la sua idea del mondo e della storia?
Potrebbe apparire un falso problema a chi è convinto
che il futuro dellumanità passi attraverso la
sua omologazione culturale, effetto collaterale di un progresso
tecnologico pure necessario e ineluttabile. Chi, al contrario,
non si piega a questa logica orwelliana di un mondialismo
monocorde avverte lurgenza che luomo mediterraneo
non scompaia e che non scompaia quel portato di storie, di
civiltà, di culture e di memorie eterogenee che egli
custodisce e manifesta nei pensieri, nei gesti, nei rapporti
con gli altri: egli è e si sente cittadino del mondo
ma, quando è sera, lunico cielo stellato che
si volge ad ammirare è quello che sovrasta la sua dimora,
la sua città e la sua gente.
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