In unEuropa
priva di cultura
federalista, la bomba
dellimmigrazione incontrollata
può creare tensioni
e conflitti
nel governo degli spazi nazionali
e regionali,
provocare pericolose involuzioni negli standard sociali.
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«E più facile disintegrare un atomo che un pregiudizio».
Questa riflessione di Einstein torna alla memoria quando si scorre
la lista non scritta delle priorità suggerite dallimmigrazione
in Europa.
Il calendario per la promozione di una società multietnica
e multiculturale è ancora fermo allanno zero, mentre
i governi europei sembrano privilegiare il mito dellappartenenza
su progetti concreti di integrazione.
Di fronte alla crescente e disordinata pressione immigratoria il
Consiglio europeo continua ad esprimersi con asettico distacco.
Al vertice di Tampere ha raccomandato larmonizzazione delle
politiche di integrazione degli immigrati regolari, una esortazione
assimilabile ai buoni propositi di un elitario Circolo della Vela.
Dunque, non si vedono germogliare politiche di particolare significato
integrativo. Né spiragli in questa direzione emergono dalle
riforme proposte dalla Commissione.
Entro dicembre dovrebbero prendere forma compiuta nuovi trattati
per consentire lallargamento della Comunità (in lista
dattesa vi sono dodici e più Paesi, per cui si tratterà
di gestire uno spazio che va dalla Russia bi-continentale ai deserti
della Penisola arabica). E dunque auspicabile che concetti
fondamentali come cittadinanza europea e diritto dasilo trovino
spazi nuovi di riflessione (attualmente la normativa comunitaria
prevede la concessione del diritto dasilo quando è
a rischio lincolumità personale, una posizione restrittiva
rispetto a molte normative statali).
Il nocciolo duro è rappresentato da una visione integralista
del problema che crea paura nei cittadini e affolla i ghetti degli
extracomunitari, quando non sfocia in aperte campagne xenofobe.
Sollecitati prevalentemente da ragioni di sicurezza interna si producono
solo timidi riformismi nazionali che offrono risultati di scarso
significato europeo e creano obiettivo disagio al traghettamento
morbido di una società semplice a modulo statale ad una società
complessa a modulo federale.
Non sappiamo se i cattolici siano in maggioranza nella realtà
dei 27 Paesi che tra pochi anni (limpegno assunto è
per il 2003) daranno vita al nuovo Club Europa. Certamente hanno
grande prestigio, solida rappresentanza politica e sicura sensibilità
sociale. Potrebbero per primi assumere iniziative concrete per muovere
le acque dello stagno, mettendo a frutto le quattro virtù
cardinali del buon cristiano: prudenza, fortezza, giustizia e temperanza.
Lampiezza del fenomeno migratorio si vede ancora poco nelle
statistiche nazionali, essendo queste pensate per esaltare un mondo
fordista dominato dai prodotti standardizzati. Ma chi lavora nelle
buone Università, nei centri di elaborazione delle tendenze
demografiche, negli uffici delle organizzazioni internazionali,
coglie fenomeni e fermenti che non possono essere ignorati dai politici
che hanno responsabilità istituzionali.
Le cifre della pressione demografica avranno peso non secondario
sugli eventi del secolo appena inaugurato. Uno sguardo allAtlante
geopolitico Garzanti, di recente pubblicazione, è illuminante.
Le aree a più forte incremento risultano quelle tradizionali
dellEstremo Oriente, dellAfrica e Sud America. In un
secolo il 900 la Cina è passata da 415
milioni ad 1 miliardo e 275 milioni, lIndia da 280 milioni
ad 1 miliardo e 7 milioni, lIndonesia da 38 a 213 milioni,
il Brasile da 18 a 178 milioni, la Nigeria da 17 a 159 milioni,
la Turchia (prossimo partner europeo) da 10 a 70 milioni.
LEuropa ha un indice di crescita tra lo zero e l1% e
risultano lontani i tempi in cui faceva registrare la maggiore concentrazione
di popolazione dopo lAsia. Le spiegazioni economiche e sociologiche
ci sono ma per ora non si vedono politiche che possano invertire
questa tendenza.
Il rapporto demografico tra Stati Uniti e America Latina è
di 1 a 2; tra Europa e Africa di 1 a 3. E mentre gli Stati Uniti
subiscono la pressione immigratoria di Asia e Sud America, lEuropa
occidentale è soggetta prevalentemente alla pressione dellAfrica,
delle Indie, dei Balcani, della Turchia e dellEst europeo.
La densità demografica risulta tuttavia molto diversa: 29
abitanti per Kmq negli Stati Uniti contro i 378 dellOlanda,
332 del Belgio, i 240 dellInghilterra, i 230 della Germania,
i 190 dellItalia, i 108 della Francia.
E palese che lEuropa ha margini ridotti di accoglienza
e dunque maggiore necessità di elaborare politiche comunitarie
di medio, lungo periodo che possano definire quote dingresso
legale, strategie dimpiego standard di riferimento per le
autorità statali e strumenti di controllo dellimmigrazione
clandestina (la nota miscela immigrazione clandestina-lavoro nero
incrementa il sommerso e le attività criminali). Tenendo
conto che sulla libera circolazione delle persone esiste una normativa
europea consolidata che non può essere disattesa.
E in atto un fenomeno già vissuto con le precedenti
rivoluzioni agricole e industriali dell800 e 900. Comè
noto, la seconda rivoluzione industriale ha trasformato le economie
da locali in nazionali mentre la terza rivoluzione in corso, grazie
agli apporti della new economy, va rapidamente trasformando leconomia
da nazionale a globale. Ciò produce anche una Società
più globale, dominata da una nuova divisione internazionale
del lavoro le cui logiche fanno crescere oltre il fisiologico i
flussi migratori.
Di per sé la globalizzazione (senza veli si legge dollarizzazione)
non è né buona, né cattiva. E un processo
in attesa di regole che non si vedono (invano il Segretario dellOnu
continua a chiedere un New Deal globale). Intanto, a
fronte delle virtù espresse da nuove economie di scala e
dalla creazione di nuovi valori, produce pesanti fenomeni
sperequativi tra cui quello dei displaced, popolo errante
senza lavoro di ogni ordine e grado.
Sembra essere tornati allera della Contro-riforma, con un
piccolo mondo che si esercita in avventure cavalleresche alla ricerca
di poteri solitari e il resto del mondo che affina una sorta di
génie mélanconique per metabolizzare con
buone maniere le povertà, le tensioni e i conflitti interiorizzati.
Le logiche dello sviluppo continuano a produrre diseguaglianze e
fenomeni di crescente povertà relativa, lesatto contrario
delle finalità perseguite dalla cultura liberale del Mercato
(dovrebbe tendere a creare convergenze, non divergenze). Come nel
1960, il 20% più povero della popolazione mondiale utilizza
il 2% del reddito complessivo, mentre il 20% più ricco ha
portato dal 30 al 60% la sua quota di reddito disponibile (dati
ONU-United National Development Program). Ciò determina inevitabili
costi di aggiustamento, che tra laltro si materializzano nella
crescita esponenziale della pressione migratoria di cui le proiezioni
statistiche già danno le linee di tendenza.
Attualmente nellEuropa dei 15 Paesi la popolazione straniera
raggiunge i 18, 19 milioni, circa 5 persone per ogni 100 cittadini
dellUe, e risulta concentrata principalmente in Germania e
Francia. LItalia, con circa un milione di stranieri, si colloca
al quarto posto della graduatoria (un recente decreto di governo
fissa la quota in 63 mila ingressi legali allanno). Ma già
in Austria e Svizzera circola la parola Ueberfremdung,
eccesso di stranieri, una parola che fa rivivere vecchi fantasmi
essendo stata ampiamente utilizzata dagli apparati di propaganda
di Goebbels. Al contrario, un rapporto Onu prevede che da qui al
2025 lEuropa abbia bisogno di 160 milioni di extracomunitari
per compensare la crisi delle nascite e risanare i bilanci previdenziali.
Difficile non vedere in questo balletto di cifre e opinioni la necessità
di inserire nelle valutazioni prospettiche comunitarie dello sviluppo
un riferimento stabile alle proiezioni della futura immigrazione
(che in parte confligge con la pesante disoccupazione europea),
con le implicite derivate in termini di visibilità istituzionale,
utile economico e costi sociali.
Ancora una volta si presenta la necessità di adottare leggi
e comportamenti concreti, definendo i rapporti istituzionali tra
centro e periferia, per costruire in simbiosi la futura società
civica europea. Elaborando per limmigrazione politiche
che vadano oltre laffannosa gestione statale dellaccoglienza,
alla ricerca di percorsi che diano un iter regolamentato alla naturalizzazione,
che tutelino lidentità culturale delle minoranze, che
rendano fruibili i diritti sociali elementari: sanità, abitazione,
istruzione, formazione professionale, condizioni di lavoro, riunione
dei nuclei familiari.
Limmigrazione, senza adeguate politiche di controllo, rischia
di diventare uno dei grandi nodi irrisolti della modernizzazione
europea (un fenomeno che esprime palesemente istanze e interessi
transnazionali come la tutela dellambiente, la sicurezza dei
cittadini, la difesa del territorio, la tutela dei consumatori).
Risulta difficile estendere allEuropa il modello americano.
Tuttavia meritano qualche riflessione i meccanismi che hanno consentito
di dare omogeneità ad un campionario assortito di tante etnie.
La diversità americana non ha fondamento nella
politica ma nella cultura della classe media che apprezza e stimola
i valori individuali, creatori delle gerarchie nella società
e nel mercato. Lo stesso Thanksgiving day, la solenne giornata nazionale
del ringraziamento, è un rito civile e religioso che esalta
storia e utilità dellimmigrazione. Ma questa disponibilità
sociale non avrebbe prodotto grandi risultati se non fossero intervenute
norme e istituzioni federali e statali a regolamentare e gestire
laccoglienza e la successiva assimilazione degli immigrati
nelle risorse produttive del Paese (liniziale politica dellopen
door fu abbandonata nel 1924 facendo ricorso a norme via via più
restrittive).
Adesso è impossibile ignorare il ruolo degli immigrati nelle
vicende evolutive della società americana. Nel rapporto I
nuovi americani del National Research Council si prevede che
nel prossimo mezzo secolo i latinoamericani costituiranno il 20%
del totale, gli asiatici l8% e la popolazione bianca di origine
europea diventerà minoritaria. E anche possibile che
lo spagnolo risulti più usato dellinglese nella lingua
corrente. Ma questi profondi cambiamenti nei gruppi sociali avverranno
senza fratture traumatiche, in virtù di apparati istituzionali
già collaudati nella gestione flessibile delle vicende interne.
Invece in unEuropa priva di cultura federalista e di istituzioni
autorevoli, la bomba dellimmigrazione incontrollata può
irrobustire il linguaggio degli esclusi, creare tensioni e conflitti
nel governo degli spazi nazionali e regionali, provocare pericolose
involuzioni negli standard sociali.
Non essendo radicato il culto americano del mercato e dei valori
individuali, ci si aspetta tutto o molto dalle istituzioni pubbliche.
Per di più in unarea che si va scomponendo in accentuati
localismi, con lazione dei governi centrali condizionata dal
principio di sussidiarietà (ai singoli Stati viene riconosciuto
il diritto di svolgere funzioni non assolte dallUnione).
Vuoti e incertezze in sede di leadership rendono confuso il quadro
dei rapporti tra cittadini e pubblici poteri che appare sempre più
bisognoso di consistenti restauri.
Dalla crisi dello Stato-nazione e dallarrogante autoritarismo
dei gruppi finanziari che operano nelleconomia globalizzata
nasce lesigenza di creare nella nuova Europa diritti nuovi
e nuove forme di governo che presuppongono da parte degli associati
la cessione di quote di sovranità. Per stabilire un rapporto
funzionale tra lEuropa spazio e lEuropa potenza un buon
avvio potrebbe essere costituito dalladozione di una Carta
dei diritti dei cittadini europei in cui anche limmigrato
possa trovare la sua identità. Si verrebbe così a
colmare parte di quel deficit politico di progetto collettivo sempre
rilevato in tutte le sedi dopo lunità economica e monetaria.
Ma il forte travaglio emerso dal dibattito e dal voto espressi dal
Parlamento europeo indica un cammino ancora molto tormentato. Ed
altri contrasti continuano ad emergere in seno alla Conferenza intergovernativa
per la riforma dei trattati e per lallargamento della Comunità.
Il dilemma della vecchia Europa è attuale e antico. Con le
élites politiche prigioniere delle loro ideologie e della
loro storia, il pendolo della memoria continua ad oscillare tra
omologazione e omogeneità, integralismo e integrazione. Rendendo
difficili le riforme interne, il collaudo di politiche comuni e
la creazione di valori che possano produrre un tasso minimo di coesione
e di credibilità europea nella comunità internazionale.
Il problema, come diceva Keynes nel 1936, non sta nel capire il
nuovo, ma nellabbandonare il vecchio.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Sulla crisi dello Stato-nazione e sulle
possibili forme di democrazia e di governo nellera della
globalizzazione si segnalano alcuni interessanti contributi
di filosofi europei che lavorano su nuovi concetti:
Otfried Höffe,
Demokratie im Zeitalter der Globalisierung,
C.H. Beck, München 1999;
Jürgen Habermas,
La costellazione
postnazionale.
Mercato globale, nazioni
e democrazia, Feltrinelli, Milano 1999.
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