Il mercato
non sarà il migliore degli dei, però
non è certamente peggiore di quello imperialista
che abbiamo
conosciuto
in passato.
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Sarà poi vero, come denuncia il sociologo Richard Sennet,
che il capitalismo flessibile ci prepara un futuro di rapporti insoddisfacenti
e superficiali; o non avrà ragione il Governatore italiano
Antonio Fazio, il quale invece ha parlato di «occasione storica»?
Ebbene: fra le due cose non cè contraddizione. I rischi,
lidea dellegoismo che insidia i rapporti umani, il maggiore
individualismo diffuso: tutto questo può essere considerato
laltra faccia della medaglia, una conseguenza non desiderata
della rivoluzione tecnologica. Eppure, ciò che ci spaventa
contiene in sé anche una promessa: più merci, più
ricchezza, più soddisfazione per la gente.
Alcuni si chiedono: ma se il futuro sembra essere così invitante,
perché mai sentiamo montare unondata sempre più
coinvolgente di preoccupazione? Io rispondo che non cè
niente di nuovo sotto il cielo. In passato la gente si lamentava
per la rottura degli antichi legami: a rifletter bene, si cominciò
già nel Medio Evo, al tempo in cui il vecchio ordine venne
travolto dai movimenti migratori verso le città. Per sette
secoli si è andati avanti così: denunciando la fine
della solidarietà fra generazioni, dei valori di fedeltà
e di rispetto verso i superiori. Già Shakespeare si lamentava
della sfacciataggine dei contadini, ma se per davvero lumanità
avesse dovuto preoccuparsi un giorno della rottura dei sacri legami,
avrebbe dovuto farlo alla fine dellOtto-cento. Fu allora,
precisamente negli anni Settanta e Ottanta, che le emigrazioni intercontinentali
separarono i ceppi familiari. Chi se ne andava in America, come
mio nonno, sapeva benissimo che non avrebbe mai più rivisto
i propri genitori. Furono momenti dolorosi, certamente; ma alla
fine il mondo andò avanti lo stesso.
Il dio del mercato e quello della competizione globale, insomma,
non dovrebbero spaventare nessuno. E chiaro che i ricchi tenderanno
a diventarlo sempre di più, e che i poveri non ne ricaveranno
molti vantaggi. Ma io consapevolmente sostengo: il mercato non sarà
il migliore degli dei, però non è certamente peggiore
di quello imperialista che abbiamo conosciuto in passato.
Per quanto riguarda poi coloro i quali sono sensibili ai valori
umanistici, ai quali intendono far ricorso, come estremo rifugio,
debbo confessare che secondo me lalta cultura non significherà
molto, temo, per le nuove e future generazioni. Del resto, non si
vede? In tutte le arti, dalla musica alla pittura, oggi scarseggiano
i grandi creatori, mentre le performances raggiungono livelli deccellenza.
Si osservi con attenzione il caso dellItalia, come sempre
eccentrico: nellinsieme, è ancora il Paese delle tasse,
degli scioperi a catena, dei sindacati onnipotenti. Ma la Penisola
ha una caratteristica: quando la Gran Bretagna era travolta dagli
scioperi, la produzione ristagnava... In Italia è diverso!
In compenso, gli italiani si agitano per cancellare i debiti dei
Paesi poveri. Che è senza dubbio un bel gesto; ma solo gesto.
Perché la maggior parte di quei debiti non sarebbero comunque
mai pagati. Io mi preoccuperei di più di altri problemi:
lo stato di pace, il rispetto delle libertà democratiche,
i piani di sviluppo. E, allinterno del Paese, per prima cosa
si dovrebbero difendere ad ogni costo le libertà di scelta
individuale e di ricerca. Ciò, ovviamente, vale per Bruxelles
come per Roma. Invece, gli italiani hanno centralizzato persino
la gestione dellUniversità: una scelta pessima, che
anche nel medio periodo potrebbe essere pagata a caro prezzo.
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