I TRENI




Giovanni Bernardini



Causa Infermiera Magra, egli Ex riprecipita sull'onda della disperazione. Tradire così un'amicizia o quanto meno un rapporto annunciatosi sicuramente umano! Le dita sottili di lei, il respiro del suo lieve seno, il suo affettuoso, il suo caro, il suo ecc. ecc. Sofferenza inevitabile, dovunque uno si attacchi. Anche a distinguere non esiste possibilità di scelta. Balugina dormendo il suo grido corporeo, metallo doloroso cade, silenzio attesa di quando il momento, avanza fino al suo letto, si piega, sfiorano dita la fronte. Così attentare, non dorme rantola, scorge il Giovane così attentare, perché? a una donna che lui chissà quante, certo può averne domani guarito, donne sotto il sole a lui sorridono, perché dunque quest'unica per sé Magra Infermiera, ma donna-sorriso-ricordo-famiglia? Non togliergli (né egli d'altra parte la tiene), tentarlo provocando il suo acuto tormento ché nel sole nemmeno può più cantare, perduto ormai azzurro di cielo, perduto.
Innegabile la realtà d'una mosca, d'un giornale, di un vasonotte, trovandosi il terzo sopra il secondo e la prima dentro il terzo, per precisione galleggiante ali spase in quanto ben morta la mosca e pieno il vaso, sebbene questa visuale non s'accordi con l'incavo azzurro e con la drammaticità autentica del sentimento. D'altronde i detti elementi contengono nell'ambito della camera una certa loro qualificazione, ammenocché egli non voglia sollevare qualche dubbio riguardo a... L'Ex capisce che indugiare sui particolari fa perdere visione dell'insieme, tuttavia i particolari conferiscono spesso concretezza e rilievo. Dallo sfumato al corposo tutto sta mantenere il ritmo della propria esistenza, articolata in spezzoni di fatti e frammenti di personaggi quali effettivamente la vita presenta giacché una paradigmatica cioè cronologica e del tutto logica vicenda non regge più in mezzo a una realtà visibilmente frantumata e inverosimile.
Infatti la città cresce nel caos. E uomini-ragno issano sul più alto dei grattacieli in costruzione e montano lettera dopo lettera la scritta sfolgorante che allieterà le notti tumultuose con sicura promessa di pace:
Un cielo violarancio che per voi diventa un cielo di silenzio e solitudine.
- Ma a chi dobbiamo rivolgerci? - chiede l'Omino attento a ogni cosa e vestito di blu.
- Rivolgersi per quale scopo?
- Ottenere, comprare o almeno vedere il cielo cui ivi si allude.
La Ragazza l'osserva. L'Omino attento si alza sulla punta dei piedi per mostrarsi più attento e più vestito di blu.
Bisogna rivolgersi alla Grande Fabbrica. E' l'unica produttrice in questa città - spiega la Ragazza - d'insegne così gigantesche e così luminose.
- E la Grande Fabbrica potrà fornirmi un cielo assolutamente violarancio e soprattutto assolutamente silenzioso e solitario?
- Dipende dalle sue disponibilità finanziarie. Ad ogni modo troverà anche nastri gommati d'ottima marca. Vede? mi hanno tolto i baffi con l'applicazione d'uno di questi nastri per dimostrarne l'efficienza e la varietà d'uso.
La Ragazza ha scoperto che non vale più la pena e ride. Il grande portiere s'è lasciato sfuggire dalle mani un pallone fatale. Batte-ribatte la fronte contro il palo bianco, vorrebbe spaccarsela questa fronte. Ride la Ragazza e mastica gomma. Sono cose che accadono. Le fabbriche fumano all'orizzonte ma la Grande Fabbrica sta proprio nel cuore della città, non si innalzano dal suo corpo ciminiere fumanti, eppure produce la merce più richiesta e diffusa, quella che persuade maggiormente dai vertici celesti degli edifici alle fasce largogrigie delle autostrade. Sono cose che accadono. Basta abbandonarsi al flusso perché la persuasione penetri dolcemente. Ha smarrito l'anello nel sottobosco torbido dei due Direttori, quella ipotesi di speranza a un tratto bruciata, simile fiamma distrugge i tre in cima al razzo vettore, avvolge la capsula nella caduta vertiginosa o ad altri... Non c'è che questo disincantato privilegio della vita per rivedere lui comparire e pronunciare parole banali d'addio o ascoltare l'Omino in blu e ridergli in faccia masticando gomma. Le bende, la macchia rossa che non ritroverà più il suo ritmo di sangue nelle vene, il grido lucido, il riflesso del disco che ancora una volta il braccio meccanico afferra non per rievocare ma affinché ancora una volta sia quella voce. Allora lo strazio lungo le strade non di quella voce soltanto, tutte le voci dentro e fuori, le macchine, le fabbriche, le case illuminate di questi scheletri vestiti di carne i quali ogni giorno di più allestiscono la loro camera ardente. Dunque "l'uomo abita, in quanto uomo, nella prossimità di Dio". Ma il dio degli Arabi si accinge a dichiarare guerra al dio d'Israele e viceversa.
- Come la mettiamo? - ride la Ragazza. E sente crescere il feto che non sa né le importa se figlio dell'uno o dell'altro, che già pensa e comunica, a quanto sembra, e va d'accordo con sua madre nel viscerale disagio d'esistere.
Lei peraltro si sottopone, s'è già sottoposta a un'indagine scientifica di particolare importanza: le hanno applicato una sonda fotografica per seguire lo sviluppo del Feto. Poteva anche strapparselo dall'utero l'ovulo fecondato nel sottobosco, con le sue stesse unghie, invece questa indagine la pagano a musica allegra di bigliettoni, le aumenteranno pure lo stipendio il Direttore n. l e il Direttore n. 2 ognuno per la propria parte, né d'ora in avanti lettere di richiamo, cerchi però non giungere in ritardo, il lavoro è sempre lavoro, insomma un'altra cosa.
Lei quel bambino che porta dentro se lo ascolta parlare. Ovvero è lei ad attribuirgli i propri ragionamenti? In sostanza neanche questo le importa. Nulla vale la pena. Ripassa il mignolo intorno alla caviglia per risalire lungo il polpaccio, di nuovo scendere... Prova e riprova... Non serve più dacché ha perso la forza di darsi almeno illusione di quell'anello, non per l'anello naturalmente. Purché la paghino, il resto è silenzio. Mastica gomma, ride e mastica, e vede il pancione farsi ogni giorno più grosso.
- Come la mettiamo? - echeggia preoccupato l'Omino in blu.
- Come vuole che la mettiamo se tutto è questione di pancia? Non vale la pena, ecco cosa dico io.
- Lei dunque non lo vorrebbe un pezzo di cielo violarancio o diverso colore per godervi un suo margine di pace?
- Ah certo che lo vorrei, purché anche questo non si riduca a una delle solite buggerature.
Sputa la pallottolina bigia di gomma masticata, si rincantuccia nel divano a contemplare con spavento l'immutato decoro dell'uccello del paradiso, del candelabro brunito, del disco funereo che da un momento all'altro può sprigionare la canzone, l'ultima. Serra le palpebre, tenta organizzare i pensieri, ma l'uomo dallo stipite ancora fa cenno.
Le fa cenno la Madre, i treni passano sempre più veloci, non sostano neppure poiché l'occhio laggiù è sempre verde.
- Non si può così, non si può - si lagna la Madre. - Provvedano loro, signor Direttore n. 1, signor Direttore n. 2.
Si può benissimo invece - risponde il n. 1. - Tutto procede perfettamente in ordine e non v'ha motivo di lamentarsi, come del resto il mio illustre collega è pronto a testimoniare qualora se ne presenti bisogno, il che però non si verifica tolto qualche rarissimo caso d'insofferenza dovuto soltanto a difetto d'informazione o, diciamo più realisticamente, a completa ignoranza. Basta dare un'occhiata alle nostre creazioni pubblicitarie per farsi una cultura in merito ed acquistare un senso assolutamente ottimistico della vita quale si addice ad uomini del nostro tempo, dinamici e sicuri del proprio successo. Il vostro viso sorridente è ben rasato attesta l'indiscutibile bontà del prodotto e l'agiatezza invidiabile di cui godete. La vostra automobile sempre una fuoriserie, la vostra casa sempre una villa circondata da magnifico parco. E delle vostre donne è appena il caso di confermare che sono una più bella dell'altra, ma ciò non sarebbe sufficiente se non ne constatassimo soprattutto la classe.
- Non si può, così non si può - insiste la Madre. - Bisogna almeno che i treni non passino tanto veloci per aver modo di vederli, se non salirvi. I treni sono molto lunghi e belli ma trascorrono in un lampo sicché manca proprio il tempo d'ammirarli nella loro lunghezza e bellezza. Sono appena una linea nera, a volte interrotta da qualche luce, che scompare e ti lascia un vuoto simile a quello dopo una frana.
Direttore n. 2: - Queste cose deve raccontarle al capostazione. Lui può fermare i treni, noi non possiamo. Sa come si dice? Quando la macchina si mette in moto non è facile bloccarla. Soltanto un capostazione può farlo, che sia veramente un Capostazione.
- Pensavo che voi lo poteste, voi potete tutto, un vostro piccolo cenno, magari un nastro adesivo (voi ne avete di ottima qualità) potrebbe, se voi lo voleste, inchiodare le ruote dei treni e i treni si fermerebbero e io potrei guardarli e toccarli e perfino salirci sopra e viaggiare in lungo e in largo per la terra in tutti quei paesi dove le rotaie conducono i treni. Io credo voi non vogliate perché i potenti sembra non vogliano mai ciò che piace ed è utile agli altri.
Direttore n. 2: - Quanto lei afferma non risponde a verità, si tratta semplicemente di sfere-competenza. I treni entrano nei nostri programmi soltanto per la parte pubblicitaria.
- Ad ogni modo, - aggiunge il Direttore n. 1 - a scopo attestarle tutta nostra buona volontà possiamo offrirle uno degli ultimi pezzi cielo violarancio che sia dato godere da una finestra dei nostri uffici situata al ventiduesimo piano.
- Ma gli striscioni collocati in tutte le strade e su tutte le piazze annunciano una meravigliosa metamorfosi del cielo in cielo di silenzio e solitudine. Ebbene io vorrei questo tipo di cielo.
- Questo però bisogna pagarlo e il prezzo è un po' alto.
- Allora torno a correre lungo la strada ferrata - grida la Madre andandosene a grandi salti.
- Al punto in cui siamo - fa il Viaggiatore (il treno passa su altri ponti a larghe losanghe, su altri fiumi dalla foce silenziosa di lampioni gialli) - non resta che attendere. E anche intorno a ciò, mi rendo ben conto, non è facile trovarsi d'accordo.
- Attendere cosa? - interroga uno dei saliti all'ultima stazione.
- Che il silenzio passi su noi placandoci, più non ci scuota il grido dell'infinito e restiamo nella nostra modesta umanità raccolta entro uno spazio domestico.
- Insomma una presa di posizione contro il progresso.
- Nient'affatto. Anzi io sono favorevolissimo ad una massiccia produzione industriale di capsule per conservazione morti e di macchinette napoletane per ottenere ottimo caffè. Talvolta mi lascio prendere dalla nostalgia, questo è vero, ma non c'entra. Del resto mi tengo sempre al corrente e ho seguito come la spada di Jeova s'è incrociata con la scimitarra di Maometto e sebbene, vi confesso, istintivamente provassi pena per Jeova forse a causa dei non lontani processi di saponificazione alla fine mi sono reso conto che non si può addossare ogni colpa a Maometto.
Il Viaggiatore chiude gli occhi: nulla di concreto salvo una distinzione evidente delle parti, delle quali l'una a sinistra sfuma in verdepallido d'incontro metafisico, l'altra a destra atteggia le forme di danzatrice araba che raccoglie suoi veli rosa. La mano traccia sicura Carlo fa la more (va bene così dopotutto), lacerano l'aria le sirene del 31 agosto. Scendeva dalla città senza dire motto, tutto completamente confuso, dalla città nuova verso la vecchia quando dal ponte questa - che significa ormai ciò? - comunque questa più in basso appariva tutta nebbia, avvolta di nebbia la vecchia città, dal ponte dove le quattro personificazioni Agricoltura Pesca ecc., meglio basta tanto erano schifo, per fortuna non ne rimase traccia dopo che i testadimorto fecero saltare il ponte. Noi, è chiaro, non stavamo con i testadimorto anche perché distrussero il ponte, statue a parte, donde si scorgeva la nostra adolescenza infilarsi sotto l'ombra delle arcate e muovere incontro alla Bella Addormentata che non soltanto lassù dormiva nel nimbo di nuvole ma sulle paranze vele arancione e ai piedi dei lampioni antinebbia allineati fino al mare benché con questi miti sia tempo smetterla e l'imperativo suoni di tenersi solidamente abbrancati alla logica del contenuto quotidiano sorbendolo tutto senza pensare per ora al silenzio che comunque ci sarà molto prima di quanto si possa credere quale introduzione e abitudine alla morte.
Annaspa che non ce la può affaticato da quella interminabile strada l'Ex riverso nel letto bianco. Accanto il Giovane-polizza contempla la propria immagine riflessa dallo specchio o con maggiore probabilità dal volto dell'Ex, la bocca distorta, il moto furioso delle mani, l'implorazione degli occhi dove se mai si possa interrompere almeno qualche minuto o uno soltanto. Finale irreversibile sembra, quale neanche un capostazione che sia veramente un Capo può fermare una volta che l'orario treni risulti fissato e immutabile ogni segno. Tutti stanno immobili infatti aspettando la vecchia locomotiva delle 24 e d'un balzo saranno sul convoglio lunghissimo. Si sottintende che come nulla può mutare così nemmeno possono trapelare le ragioni essendo i funzionari tenuti al riserbo più rigoroso. Eppure una motivazione precisa ci vorrebbe, a scopo edificante per gli addetti ma soprattutto i non addetti ai lavori che in fondo rappresentano la maggioranza. Ad ogni modo tutto sta le prime volte, poi diventa facile l'accettazione e scivola senza te ne accorgi. Questione d'abitudine e di rinvenire un'interpretazione (rimane questo il punto) anche per la morte, che sia bastantemente lubrificata e maneggevole. Quasicché non si tratti nel caso eminentemente di contenuti.
Affanna sempre più di non poter passare. Però è stata una carognata. Uno al quale aveva concesso tanta fiducia.
La strada lunga buia stipata di folla. Lo guardano senza interesse, non gli si oppongono, massa indifferente e impenetrabile per natura, non per ostilità o altro. O forse dipende da quel punteruolo conficcato nella mandibola, che la salda alle mascelle e lui può solo chiedere a denti stretti, ché se potesse spalancare la bocca allora sì il grido spezzerebbe la folla per fargli ritrovare la sua strada ferrata, il binario d'acciaio splendente sotto la luna, e ripercorrere diretto a quella stazione il cammino del treno-gambe-mani-spalle, il fischio stonato attraverso la campagna rossa dell'autunno, un richiamo di tordi e lo sparo che sfiocca i rami di ulivo.
Non si ricava nulla da questo silenzio pietroso diffuso solennemente nella camera dopo che l'Infermiera Magra s'è avvicinata al letto e rapida ha sollevato il lenzuolo, gli ha immerso l'ago nel ventre, l'ha ricoperto e sussurrato: - Fra poco dormirà.
31 agosto, il ponte restò indenne nonostante ripetuti tentativi dei bombardieri. Era scritto: dovevano essere mine testadimorto a farlo saltare. Ponte bianco e largo donde la città vecchia scompariva in coltre lattiginosa, i soli campanili foravano quella lanugine e contenevano suono lontano in risposta al passaggio dei treni. Adesso il Viaggiatore conta sui rotocalchi i carri armati genuflessi o piegati di fianco, morti o insistenti nell'atto d'una preghiera, i cannoni si delineano lunghissimi e sottili, serpenti novelli usciti dal nido di Mosè. Bisogna aguzzare l'occhio per decifrare sulla sabbia i soldati dispersi che agitano appena una mano e non proiettano più ombre tanto essi svaporano nel deserto.
Dice: - Ma questa innumerabile fila d'affamati della Giordania e d'assetati del Sinai...
Dice ancora: - Ma questo Jeova omicidiale è lo stesso che vendemmiava sangue e pioveva fuoco o trasformava in sale... Eppure sopra l'acqua del Giordano una voce s'intese: "Tu sei il mio Figlio diletto...".
Guarda i paesi dai tetti rossi lucidi di pioggia scorrere oltre i finestrini e grondare fin dentro lo scompartimento i loro interni quotidiani. Si fa appena in tempo ad accorgersi di travalicare da una ad altra stagione che è già ora di smuovere le recenti dottrine quali i Maestri credettero renderci in dono ma poi nulla se n'è ricavato. Difatti in specie della guerra sembra ognuno voglia fare personale esperienza, tuttavia si procede abbastanza sicuri verso il cosmo quasicché non altro urgesse. Ma in seno alle organizzazioni internazionali l'uomo, oh diciamolo apertamente, è ancora e soprattutto l'UOMO a lettere maiuscolissime!
Bene. Sta lì quello piccolo, l'Omino, allunga il collo per affacciarsi a contemplare quel cielo che gli dicono sia davvero CIELO, quale annunciato dalle scritte enormi. Ma egli, sebbene allunghi il collo a giraffa sino a parare il principe mostruoso cui la Bella doveva dare un bacio perché cessasse d'essere mostro e tornasse bello e di gentile aspetto, divenuto lunghissimo collo in cima del quale un grosso paio d'occhiali s'affissa tenace, cioè dietro quel paio un par d'occhi scrutano tentando perforare le nebbie ondeggianti sulla città, non vede, grida, non vede quanto gli avete promesso, bugiardi, impostori che vi prendete gioco d'un povero Omino.
- Per l'appunto, - sorride il Direttore n. 1 - lui non è l'uomo che intendiamo noi, perfetto e di molto successo.
Indica al Direttore n. 2 galleggiare sopra l'onda di nebbia bastone e tuba dell'Omino, perduti nello sforzo superiore a tutti i suoi occhiali.
- Converrai, egregio socio e collega, che un essere simile mai potrà levarsi a godere la beatitudine immensa che noi promettiamo.
- Una graduazione valori è pur necessaria, lo ammetto. Tuttavia esito siffatto temo possa riuscire controproducente.
- Per un bastone e una tuba? - fa sorridente il n. 1.
Dorme infatti, ma in quella forma del dormire piena d'immagini ch'è un altro modo di vivere più vero del vivere, per lui almeno Ex-ragazzo di professione poi che la sua vita è rimasta ancorata alle esperienze di allora quando la buona fanciulla, la Bella, baciava il principe cangiato dalla strega in mostro dal collo lunghissimo, alto a guardare le stelle, ma nessuno sa che lui di quel collo si serve solo per osservare le stelle, cammina e mormora amore alla costellazione più remota e perduta, ma tutti lo credono un mostro malvagio che ad afferrare le prede gli sia cresciuto quel collo (in cima una piccola testa di bestia dagli occhi umidi e mansueti e la gente non si chiede come quella testa, quelle fauci senza zanne possano stringere una preda) finché la Bella prova pietà e quando il collo mostruoso s'incurva verso di lei depone sulle labbra ferine un bacio a segno del suo affetto pietoso e allora il miracolo sopravviene d'un inatteso ritorno all'Uomo. Così prosegue l'Ex sui binari silenziosi, vede il vecchio fanale verde, i treni andare fatti sempre di mani spalle gambe dove all'orizzonte non più grida né gesti né parole, solo strisciare angoscioso di lumache nude: egli prende sale a larghe manciate, ne cosparge i dorsi, sfriggono schiumano si disfanno, resta una poltiglia grigia, una bava di squallida distruzione.
Si porta le mani al petto per strapparsi quella cattiveria ma ha radici così profonde che si abbarbicano nelle viscere e a furia di strappare dilacera le viscere stesse, le sue calde sanguinose merdose.
Peccato che il Giovane-polizza non sia in grado di condividere questo sogno, anzi se ne mostri piuttosto schifato tanto da storcere il naso alla veduta di cotali viscere che putendo forte non consentono alcun avvicinamento nemmeno a carattere puramente morale per asserire che una fraternità è se non altro possibile sulla base di passate e pur diverse sofferenze, come pareva accertato se non fosse intervenuto l'incidente del tentato amoreggiamento.
Nel frattempo il Casellante alza la lanterna e sottolinea con quest'unico mezzo il passaggio treni che peraltro non riveste carattere d'ordinaria amministrazione da quando nove ore prima il diretto OP 472 ha deragliato a tre chilometri dal casello e tutto il movimento ha subìto improvviso arresto e poi frettoloso balzo in avanti per recuperare il tempo perduto e ristabilire l'osservanza del preciso "Orario Ferrovie Stato".
Un solo morto per sfortuna, fa scarsamente notizia in questo secolo d'immani carneficine e non concede molto alla gloria del Casellante il quale, assistito dall'Aiuto e dal cane, avrebbe potuto adoperarsi con fatica indefessa, spirito d'iniziativa e altruismo impareggiabile al soccorso feriti ed estrazione morti. I feriti invero erano facilmente individuabili alla voce lamentosa e passo zoppicante con cui si movevano lungo la strada ferrata, ognuno per conto proprio, anzi con un certo fastidio se qualcuno li avvicinava per informarsi circa il loro stato e peggio nome e cognome. Feriti di poco rilievo: risultava con evidenza né si poteva aggravarli visto non se ne davano per intesi, tanto da sussistere qualche dubbio anche intorno alla voce lamentevole e allo zoppicamento. Ma giacché l'iniziativa umana è ricca sempre di risorse il Casellante s'attacca al morto deciso non mollarlo a costo d'inenarrabili sotterfugi. Il morto non sapevasi bene per qual causa fosse morto: lo scompartimento di velluto verde dove se ne stava comodamente adagiato trovavasi in vagone-coda che con i due precedenti non era coivolto nel deragliamento. Il Casellante sentenzia trattarsi d'infarto - per la paura, non ci vuole molto a capirlo - e agita una mano fuori del finestrino affinché non si dica lui non ha chiamato aiuto, corre subito con l'altra a sfilargli portafoglio orologio catenina d'oro. Il morto se ne sta da par suo in serena contemplazione del vuoto incolore; a un tratto incontratone lo sguardo il Casellante si sente in dovere d'abbassare quelle palpebre e compie l'atto con dita rapide. Il morto ora ha un aspetto meno compromettente, il cane dell'Aiuto arriva trafelato e lo annusa a lungo senza trovar nulla da eccepire. L'eccezione viene dai parenti del morto giunti con altro diretto meno trafelati del cane ma più banalmente commossi e per l'occasione lagnosi che non d'altri bensì soltanto del loro congiunto la sorte s'era preso giuoco: una grossa turlupinatura tanto più che al caro estinto fino le scarpe dai piedi avevano sgraffignato sicché, affidandosi al buon fiuto dei poliziotti, conveniva sporgere regolare denunzia. E' il momento in cui il Casellante alza la lanterna, vede i treni scivolare velocissimi e lasciarsi inghiottire dalla notte, rumina un tranquillante pensiero e se lo stende ben netto davanti: dopo tutto si tratta di compiere sempre il proprio dovere che è questo per un Casellante degno del nome, di controllare i binari affinché i treni transitino ordinatamente ciascuno in regola col rispettivo orario. Tanto vero responsabilità a suo carico non ne sono emerse com'era giusto non emergessero. La sua scrupolosità non teme confronti.
La Madre è dello stesso avviso, contempla dalla finestra il Casellante dentro mista di tenerezza e venerazione, poi infila la vestaglia, siede in poltrona, sguardo sempre alla finestra, rompono il buio silenzio nel vano-finestra i fischi dei treni, il loro impetuoso rombo d'acciaio, la Madre annoda la cinta della vestaglia, disfa riannoda.
- Non è possibile continuare - brontola la Ragazza. - Cosa inventeremo ai figli? Che abbiamo vissuto nei sottoboschi e ci siamo adattati a tutte le torture? o che abbiamo unicamente annodato un laccio perché ci scorresse intorno al collo?
- Probabilmente racconteremo d'aver visto passare molti treni e d'aver creduto in quei treni o quanto meno in qualcuno di essi. I vagoni hanno numerosi finestrini, dai quali si vede il mondo, tu corri sul treno e il mondo corre con te e tu conosci il mondo cioé le cose del mondo, perché intorno agli uomini il discorso cambia: non si finisce mai di conoscerli e quand'anche tu ne abbia conosciuto ben bene uno, ti riserba sempre qualche sorpresa - dice la Madre.
La Ragazza guarda la Madre, alla Madre affiora tra le labbra un sorriso fatuo e negli occhi un'indicibile solitudine. Disfa il fiocco della vestaglia rossa a minute bolle bianche che scende fino ai piedi nudi, la vestaglia le si apre davanti mostrando la sottoveste, riannoda e ascolta nel vano-finestra (ritiratosi il Casellante, spento il fanale verde, perdutosi sulla pianura il fragore dell'ultimo treno) la caduta delle stelle d'agosto, durandole in cuore questa sensazione d'agosto anche se definire il mese le riesce impossibile né forse è ancora luglio e neppure estate ma nel suo cuore i mesi procedono a balzelloni e ogni tanto un mese fa un salto più lungo e gli altri rimangono indietro e poi rotolano improvvisamente tutti insieme e sprofondano come pietre in un pozzo aprendo cerchi ampi e sonori.
- Studiamo dunque altro slogan formidabile quale potrebb'essere "Questo cielo immenso. Camminiamoci dentro", conio nuovissimo, grido cui nessuno riesca a sottrarsi, vento furioso che le più alte cime, la concorrenza più ostinata più percuota. Questa per uomini della nostra tempra è, né altro potrebbe, una vacanza-lavoro, e siano le nostre colazioni-lavoro e le danze e le cene danze e cene-lavoro e i bagni bagni-lavoro e gli amori amori-lavoro.
Così dice e si placa il Direttore n. 2 eiaculando efficienza e foga programmatrice. Sul dondolo cuscinato marocchino oscilla e sorbisce whisky-gelo in bicchiere rugiadoso, avambraccio levato con disinvolta eleganza, sorriso soddisfatto esattamente com'è dato ammirare nel manifesto policromo di cui ritiene doveroso apparire lui stesso incarnazione. Donne lo circondano ricinte al pube alla chioma ai capezzoli d'iridescenti nastri gommati, il sole disquama le onde, il fotocronista armeggia pronto a fissare in copertina l'ombelico più provocante cioè il più sapientemente evidenziato dai nastri.
Ma ecco urla la Ragazza lei l'hanno rovinata coi nastri gommati eiaculando non solo efficienza e foga programmatrice bensì sperma dal cupo sottofondo dei loro tenebrosi sottoboschi in giochi irriferibili Direttori n. 1 e n. 2 agganciati sopra di lei ch'è impossibile distinguerli, groppo unico, nodo insolubile, groviglio di serpi, se non forse a caratterizzare il n. 1 sta un affanno più insistente, più rantoloso, concluso da un sibilo all'angolo della bocca dove si aggruma - e lei soltanto quella vede - schiuma bianchiccia filosa. Non può più ora nemmeno coltivare la sensazione remota d'un anello, il segno lasciato dall'uomo d'una carezza lenta, ascoltare la crescita in sé d'una vita che tutto tutto... Scoppia in singhiozzi serrati senza lacrime scossa da un tremito per il corpo bianco, lieve una volta, oggi gravato da questa sua pancia pelletesa di muto tamburo e bersaglio circolare: centro l'ombelico, vale mille punti, chi fa centro-ombelico guadagna mille punti. Ficcarsi nel lurido baraccone-tirassegno durante le feste paesane; i soldati passeggiano sottobraccio alle servotte, leccano e offrono gelati verdepistacchio, ambiscono provare l'alto grado d'addestramento raggiunto o piuttosto la propria abilità personale onde sotto gli occhi estatici delle servotte impugnano i fucili; la donna abbondantemente bistrata che ammicca e forma delle braccia due larghe anse poggiate sui polsi all'ampio bacino continua a martellare con voce virile l'invito e staccando le braccia le adopra a piegare le canne, a caricarle a piumini, e infine rauca (adesso intorno s'è radunata folla) annuncia il numero sensazionale, il Bersaglio Vivente, strappa d'un colpo la tenda ed ecco fra prorompente stupore apparire nudo il pancione, l'ombelico al centro un poco brunito, sopra impressovi 1000 e in cerchi concentrici gli altri punti, 700, 500, 300 e il più esterno e maggiore (occupa si può dire l'intera pancia) bersaglio facilissimo da 100 punti. Strappino le altre tendine perché ognuno veda e constati inoppugnabilmente, quella pancia non è finta ma parte integrante, inamovibile - pur se alienabile e di fatto già del tutto alienata - di corpo umano vivente. E a riprova la donna occhipinta strappa con violenza e scopre viso busto gambe della Ragazza. Se vogliono possono anche entrare nel recinto, accostarsi, toccare come di fatto si accostano toccano seni cosce pancione, dal pancione risalgono ai seni scendono alle cosce, seni pancione cosce d'unico corpo, niente trucchi, niente imbrogli, 1000 punti per chi centra e in premio una bottiglia di sciampagna vera marca fransé o, se preferisce, una damigiana di rosso locale che manco il vuoto sei tenuto a restituire. Il soldato imbraccia il fucile, lo solleva a filo dell'occhio destro, il fucile ha certo un difetto, per questo devi mirare un poco più alto del 700 se vuoi fare ombelico (quanto mai può valere un ombelico di donna con quel che si porta e cresce dentro?), sennonché la servotta, che ha dato larghi colpi di lingua al suo pistacchio, sbarra gli occhi, caccia un grido che non si può, non si può, mentre il Feto sbuca alla luce, spaventosamente ingigantito recide coi denti il cordone e avanza brandendo la sonda fotografica come una lunga frusta...
La Ragazza di soprassalto si sveglia, ha gran voglia di caffè or ora tostato.
Nel sonno della Madre c'è un treno azzurro in corsa fra bosco e scogliera.
Alza gli occhi verso il cornicione, lo sguardo striscia sull'arco d'ingresso; non l'aveva mai notato, da un lato e dall'altro sopra lisce lesene capitelli ionici color burro, intatti dai soli di almeno duecent'anni quando la casa fu edificata, il Giovane-polizza 530261 dimesso dall'ospedale (l'Infermiera Magra gli aveva concesso di sfiorarle con la mano una guancia, poi era corsa al richiamo dell'Ex, e dal Giovane anche l'Ex rappacificato accetta un abbraccio, non volevano, si capisce, non volevano offendersi, amare la stessa donna d'amore così disperato come solo poteva l'Ex, così incidentalmente lui, non costituisce dopotutto motivo d'inimicizia inesauribile, il dolore, le fitte atroci di quel canoro nella mascella, il cammino faticoso verso la fine, il Giovane la fine aveva sentita imminente nell'imboscata, nell'urto spaventato del sangue alle tempie e alla gola, tiepido colare dalla fronte sull'occhio, tutto questo e il comune bisogno di soccorso poneva e innalzava un'impalcatura d'amicizia, promesse dunque d'arrivederci e quanto meno scriversi), che torna in famiglia, alla madre al padre alle sorelle; il portone cigola quand'egli lo spinge e con lui il vento entra nel cortile, scuote la iucca, solleva mulinelli di carte; nessuno ad attenderlo né del resto possono immaginare il suo arrivo; lo stupisce un'avanzata vecchiaia di muri rugosi e macchiati di musco. L'uscio di casa è aperto, sul pavimento al primo passo raccoglie una lettera datata 1849:
"Mio caro Onore.
Le febbre non sono come prima, oggi il medico mi ha dato anima che col tempo si potrà rimettere. Ora si sono posti due vessicanti e si stanno dando tanti cosi per farla sudare; il costipo peraltro con questa tramuntana e i dolori nelle giunture più si risentono, ma la febbre quest'oggi è meno degli altri giorni finora; poi Iddio sa se riceve le preghiere di quattro figli ed io che potete figurarvi come sto. Speriamo che questa notte abbiamo i sudori come jeri di notte perché se seguitano si potrà ristabbelire. Colomba vi bacia la mano, i ragazzi tutti ed io facciamo l'istesso. Vi ringrazio dell'incomodo presovi, e sono
Vostro Genaro".
Procede per le stanze vuote, "mamma! papà!" chiama e le sorelle per nome ad una ad una. Colomba sorride guarita, detta:
"Mio caro Padre.
Dopo di avervi notiziato lo stato di nostra buona salute di tutta la famiglia, mi sono ardita rimettervi un panajo con un poco di carne a quattro divisioni, cioè il sanguinaccio di sopra lo darete metà a Maria Antonia Fagnignera e metà alla Natalizia, il primo pato di sopra di carne ve lo mangerete voi per amor mio, il secondo pato lo darete a Luigi nostro Ricevitore e l'ultimo lo darete alle Zie. Vi priego scusarmi la poca quantità poiché è stato molto piccolo. Più a voi, caro Gnore, vi rimetto una tazza di manteca, che ve ne farete un crostino di unita alle piccole ragazze di Nicola. Vi priego domenica rimettermi il panaro e la tazza che non sono miei. Mi farete fare un piacere da Zia Assunta di domandare a Maria Antonia Fagnignera se ha terminata quella robba a spica, che me ne mandi tre braccia abbisognandomi per fare una giacca a Carmeluccio, se poi non ancora Mariantonia l'ha terminata si occuperà Zia Assunta a trovare da qualche altra persona tre braccia di robba torchina a spica, e che me la rimetta domenica. Tutti noi vi auguriamo un buon Carnovale, resto col baciarvi la mano e sono
15 Feb.jo 1849
Vostra aff.ma
Figlia Colomba".
"Papà!" chiama; "mamma!", delle sorelle grida i nomi uno dopo l'altro dentro le camere vuote, poi nel giardino inselvatichito: la terra arida spande odore acido di prugne sfatte. Ripercorre il cortile, imbocca l'arco della stalla invasa d'ombra umida e ronzio d'insetti, d'impulso si mette a chiamare Colomba.
- Colomba! - grida nelle sale deserte. - Colomba! Colomba! (Colomba ride dietro le pareti, ride dietro l'impronta opaca lasciata sull'intonaco dai mobili) ti darò tre braccia di roba torchina! - grida.
Ma Colomba ride sempre e il suo riso screpola i muri, apre lunghe lesioni nelle volte bianche a crociera, cadono pezzi di calcinaccio, forse la casa crolla, si rompe questa vecchia casa di Colomba dove non è rimasto più nessuno nell'anno di grazia 1967 lontano ormai poco meno dell'anno di grazia 1849. Allore corre fuori, siede a terra in cortile, tasta nel portafogli la sua polizza d'assicurazione vita. A cosa serve?
Dentro l'antica casa che crolla papà mamma sorelle aspettano tutti insieme con Colomba.
Il Casellante ride e in più dice: - A me di quella polizza tocca un quarto.
E l'Aiuto: - A me un altro quarto.
E la Madre: - Un quarto anche a me.
E Colomba ancora ride: l'ultimo quarto tocca a lei.
- E a me cosa dunque? - chiede il Giovane.
- A te? - ride Colomba e al suo risponde il ridere degli altri.
Girare il bottone, un piccolo facile movimento così difficile da compiere. I cani furiosi, a lampi scanditi, sempre più inevitabilmente vicini, la gamba presa dalla siepe, strapparla, arrampicarsi per la scarpata. Affanna sul pietrisco, sfinito si trascina; ma dove se appostati dietro gli alberi lo attendono per chiamare forte il suo nome? Sapere che gli si getteranno addosso, quanti ignora, certo molti per le sue forze. In fondo non si tratta che girare un bottone per vedere le foreste distrutte dal napalm, gli alberi contorti e nudi, la terra rossa vaiolosa pelata, questa fame che dura e consuma, non erbe non raccolto non riso, questa tortura questa peste questo pertinace silenzio dei semi e dei frutti che cade dal cielo col rombo dei bimotori.
Volavano a quota 2000, da tale altezza presumevano colpire il ponte il 31 agosto... e poi ancora nei giorni successivi, raccontava l'Ex. Com'è pensabile simile idiozia? Difatti rimase soltanto un'idiozia per allora che gli strumenti di bordo non erano perfezionati al punto d'oggi che ti centrano perfino un ombelico da distanze chilometriche. Volavano nel cielo puro, sembravano a guardarli da terra scaglie luccicanti, appena un oscillare e i raggi solari rimbalzano da una fusoliera all'altra, gioco di specchietti impugnati da fanciulli o larga manciata di stagnole buttate al vento e stranamente disposte in bell'ordine. Ma ad opera di quel cuneo che scivola e non scalfisce l'azzurro scoppia a un tratto l'inferno d'alte colonne di fumo nero boati crolli ferite squarci aperti nel corpo tenero della città, dentro le case dove gli uomini siedono a mensa, bloccati nell'atto d'alzare un bicchiere, ingoiare un boccone, pronunciare una parola, folgorati dalle vampate o fissati in un controluce senza confini.
Queste cose raccontava l'Ex ma le ricordava anche il Viaggiatore: 31 agosto, ore tredici. Il ponte restò al suo posto nonostante quell'iradidio. Dalla pineta vedono le bombe precipitare a grappoli, le case fendersi e scomparire, essere al di qua non elimina il tremore se mai un'altra ondata... Si capisce che mirano al ponte, ma il ponte resiste intangibile e intatto mentre tutta la città crolla.
Ora crolla la casa di Colomba. L'ultimo lungo chiamare del Giovane rompe gl'indugi ed è un ammucchiarsi rovinoso di tufi, ma non cessa il riso di lei. Ride Colomba affacciandosi frammezzo alle macerie e annuncia: -A te una capsula-frigorifero. Ti conserverai per l'eternità, messo in scatola, imballato e spedito se hai voglia di viaggiare, sicuro come mai dei fatti tuoi e destinato ai posteri.
- Come si farà ad andare avanti? - insiste la Ragazza.
E la Madre: - Con un briciolo di senno e due di demenza. Del resto chi ha detto sia proprio necessario andare avanti? Ci si ferma alla prima stazione. E' il caso di sottolineare che esistono perfino coloro i quali, come me, non sono mai partiti?
Ma la Ragazza s'è già sottratta alle parole sbattendo l'uscio di casa. In queste insofferenze ostinate nei riguardi della Madre trova sfogo il suo rifiuto giornaliero di luoghi e tempi senza tuttavia riuscire a soffocare (anzi se ne macera e strugge) un'esperienza insostituibile la cui distruzione, sul piano stesso della memoria, -causa l'accumulo di violenze d'ogni sorta - significherebbe progressivo spersonalizzarsi e annichilamento. Sta dunque immobile dinanzi al fanale verde-rosso, acceso ora dell'uno ora dell'altro colore, per saggiare la possibilità d'una tacita scomparsa senza traccia nel vento degli elettrotreni quantunque simile soluzione non la porti ad altro che sorridere di sé riconoscendo la sua estrema miseria di creatura incapace di qualsiasi soluzione tranne quella indegna d'ogni misericordia di riproporsi a livello di tutti gli eventuali sottoboschi che la sorte o il suo volere le presentino nei chiarori sublunari o nella luce del semaforo rosso-verde. Per ciò vale la pena d'attendere la marcia notturna del Casellante lungo la strada ferrata sperando non si trascini dietro l'Aiuto, se mai distanziato almeno d'un quarto d'ora per quel tanto di pudore rimastole e tenendo conto che il cane ha scarse facoltà testimoniali.
Soltanto ossa rivestite di pelle e poca carne. Questa triste pietà per la Madre di riconoscerla quella che è in momenti verticali accesi della sua presenza, il volto lassù fisso nel vano-finestra all'improvviso illuminato. Scruta il buio per rinvenirvi la traccia d'un treno, il cestino da viaggio, l'acqua dei gabinetti, il biglietto strappato, e trova la Ragazza sotto il semaforo il volto della Madre disfatto di rughe e capelli scarmigliati. La Ragazza lo guarda, parole non è il caso né saprebbe né una lacrima né un cenno, qualcosa dentro si fonde per quella fantasia faticosa, il suo malinconico sublimarsi nei treni, tutto farebbe tranne un abbraccio, un morire piuttosto in fondo all'anima, una compassione per eccesso di sé buttata allo sbaraglio finanche d'un amplesso fortuito pur di dimenticarsi e riacquistare il sentimento della propria innocenza. Si tocca le dita, rinnovare la storia dell'anello, la carezza alla caviglia, al polpaccio, camminare e la ferrovia diventa percorrendola l'unica probabilità di comunicazione. Non con l'uomo dell'anello; con la Madre, chi l'avrebbe supposto? Neppure il peso del ventre può fermarla, il Feto rassegnato ai sobbalzi violenti, agli urti del cuore e del sangue estremamente emotivo, alle ricerche della sonda fotografica, ai sottoboschi dei cani che inseguono questa cagna accanita di sua madre.
I testadimorto stavano col fucile imbracciato all'angolo della casa dietro cumuli di macerie. L'Ex non li vedeva né poteva immaginare tanto la città appariva deserta, cacciata tutta la popolazione dai bombardamenti e più dalle ordinanze dei succedentisi comandanti la piazza. Aquile argentee sulle giubbe e sui berretti e l'inconfondibile lucido scattar di stivali: passavano alti ed eleganti, gentili perfino salvo un digrignare improvviso di cagnacci da preda. Dunque stavano a fucile imbracciato. Pensò, quando se li vide innanzi, a un gioco di tirassegno, quasi lo stesso incubo della Ragazza tranne che quest'avventura dell'Ex accadde molti anni prima, la Ragazza forse neanche nata, e lui che della Ragazza non sapeva né tuttoggi sa nulla pensava cose quali pressappoco a lei sarebbe toccato patire nel grembo d'un anno non meno malefico e incosciente. Avvenne di sentirsi piccione o lampadina o piattello o tordo al passo o in ogni modo un rassegnato bersaglio con un centro vasto quanto tutta la pancia o tutta la testa. I vetri cadevano a pezzi dentro le case disabitate al minimo fiato d'aria o al rullo della battaglia vicina, cielo cinereo sopra il ponte bianco incrollabile sulle tre luci degli archi. Fece un balzo a sinistra infilando l'ingresso d'un grande edificio a molti piani. Ma i passi non vennero degli inseguitori né crepito intimatorio o intimidatorio, soltanto glo-glo d'acqua affiorante da un tubo sconquassato e distorto.
- Bene, - dice - eravamo abbastanza felici in questa città fino a ieri.
Le strade sono invase da larghi pantani, c'è puzza di carogne. In fondo importante è campare. Sorride, avanza lungo la spianata erbosa, giunge in capo al sentiero, casualmente si volta e solo adesso legge il cartello: Attenzione! Campo minato.
Ce l'ha fatta, spicca due saltelli, è di là, nel fitto della pineta, la mitraglia un suono lontano, innocuo del tutto. Forse non sarà vietato essere ancora abbastanza felici in questa città balneare. Onde grigie alla riva, onde grigie all'orizzonte e volo basso di aerei neri da trasporto. La bionda afferma questi aerei le fanno pativa e si lascia affondare la mano nella scollatura fino al seno. Le fanno molta pauva ma si capisce la guevva sta pev finive. Allora questi uccellacci non passevanno sulle teste mai più o almeno non ci savà pevicolo pev la vita e pev l'amove.
Si commuove questa stupida bionda senza erre e si lascia affondare la mano sotto le mutande. Strilla però e si divincola e scappa quando un aereo sembra scivolare addosso a loro dritto in picchiata. Lui grida che mare spiaggia cielo grigi li rendono invisibili, la chiama, le ordina di non fuggire, tanto non serve, tanto nessuno li vede, non badano a loro questi maledetti a caccia di neri apparecchi da trasporto, tanto è peggio, tanto non... La bionda barcolla, accenna un lieve inchino con la testa piegata in avanti, poi raddrizzata d'un tratto piomba sul fianco, aprendosi nel mezzo della sua schiena un largo ventaglio rosso.
- Bene, - ripete l'Ex - eravamo abbastanza felici in questa città.
- Lo saremo ancora. - La voce dell'Infermiera Magra gli cade al centro della fronte, proprio alla radice dei capelli, creandogli intorno immobile silenzio dopo grida e raffiche.
- Non lo saremo più. La nostra giovinezza è passata, questo è tutto.
Le pareti dell'ospedale non hanno altro suono voce grido allarme: questo è tutto.
Ma affinché la popolazione passiva abbia sottocchio e le si imprima nella memoria e in sua passività porti il senso di quella volontà superiore direttiva che ogni cosa predispone, coordina e a un fine indirizza il bene pubblico e ovvio vantaggio economico, nell'ospedale il cartello avverte: Per voi un cielo di misericordia! Sappiate guadagnarvelo.
Egli è però tetragono agli allettamenti metafisici e pubblicitari. Continua a sostenere che erano abbastanza felici in quella città un tempo.
- Dove - chiede il Casellante rivolto all'Aiuto - troveremo il significato di questo camminare su e giù lungo le rotaie? Le rotaie di solito sono sufficientemente a posto e in fondo se i treni deragliano non dipende da noi. In genere colpevoli risultano i macchinisti. Cedono ai colpi di sonno o si ubriacano. Gran brutto affare! Mai briaco in vita mia, sempre lucido e desto. D'altra parte il vino poco mi piace. Donne, quelle sì purché non mi procurino noie e perdite di tempo. Ma sopra tutto e tutti mi piacciono i denari.
L'Aiuto lo scruta. Per fare cosa? L'intera giornata camminare lungo le rotaie. Cosa? Lungo le rotaie l'intera giornata. Poi riflette e conclude: - Camminare e avere soldi. Certo, è un altro camminare. Dormire e avere soldi. Certo, è un altro dormire. E così mangiare, bere, fare l'amore. Anzi è essenziale a questo mangiare, bere e in spezial modo fare l'amore questo portentoso avere soldi.
Il Casellante si congratula: - Bravo, ci sei arrivato! Eppure mi sembrava ci fossi arrivato da un pezzo quando si trattò d'accampare diritti, in vero non riconoscibili se non nell'ambito d'una pura e semplice testimonianza, sulla polizza-assicurazione vita del Mezzomorto da me rinvenuto e con carità fraterna assistito fino a renderlo, almeno spero, a morte più tranquilla e meglio controllabile onde a lui ne vengano pace e gloria eterne e a me quanto egli stesso promise pur ignorando il mio nome: difficoltà senza dubbio non insuperabile stanti i miei connotati facili a segnalare e d'ancor più facile individuazione per via di sto profondo spacco in mezzo alla fronte prodotto dal culo di bottiglia che il casellante mio predecessore volle sbattermi addosso per suo ricordo dopo che maneggiando una lama quasi del tutto consentita dalla legge l'avevo indotto a pensionarsi per infortunio su lavoro.
L'Aiuto: - Per via di quel culo di bottiglia soltanto voi siete individuabile e, a parte ogni altra considerazione suggerita dalle circostanze, sono d'accordo che a voi tocchi quanto deve toccare.
- Mi compiaccio per la tua ragionevolezza. E ora, con l'animo in pace, possiamo continuare a compiere il nostro dovere, che non diversamente dal solito coincide con l'ispezione rotaie.
- Agli ordini. Ognuno deve compiere il proprio dovere. Noi ora quello di camminare e ispezionare, ispezionare e camminare. Come il cane: zampettare e abbaiare. E anche altro naturalmente: dormire, bere, fare l'amore. Certo però con i soldi è un'altra cosa. - Altra cosa? - interviene la Madre acquattata dietro un cespuglio. - Altra cosa sarebbe fare cacca in faccia ai Direttori n. 1 e n. 2 e a tutti i vari direttori contraddistinti da tutti i numeri possibili. Confidano nel timbro autoritario della voce e qualora non se la trovino sufficientemente carica ricorrono ad altoparlanti, sigari ed ogni mezzo per ottenere l'effetto. Ma poi se li preghi di fermare i treni non vogliono. Mi sarei accontentata che rallentassero. Passano troppo in fretta. Un po' più lenti mi sarebbe bastato, non altro. Più lenti. Vi sembra esagerato? Per vederli, neppure toccarli, appena vederli. Perché a me piace distendermi nell'erba la notte e guardare le stelle. Ma sono altissime e assai lontane, la loro bellezza è ferma, immutabile mentre quella dei treni, purché non corrano a velocità eccessiva e si lascino guardare un poco, è una bellezza attiva, movimentata e varia. Non credo esista nulla meglio dei treni. Appena un minimo di buona volontà avrei gradito dai signori Direttori.
Questi treni che passano troppo veloci sfiorano gli alberi e portano via le foglie, sfiorano le case e le fanno tremare. La Madre ricorda la favola letta sui giornali: "Il vecchio uomo negro percorre la breve strada che gli uomini bianchi gli hanno concessa nella sua terra. Il vecchio uomo negro predicava l'UOMO e che non si deve compiere violenza né all'UOMO né ad alcun altro essere. Era un vecchio uomo negro dalla testa ormai completamente canuta, dagli occhi ormai consumati a causa del lungo studio. Ma lungo studio e capelli bianchi non contano, era un uomo negro, anzi - dicevano - un negro e non aveva diritto di parlare. Quando si è negri bisogna tacere affinché gli uomini bianchi venuti ad abitare in Africa non siano disturbati. Il vecchio uomo negro sorride e spreme dai suoi occhi ancora una goccia di luce per riconoscere la faccia dell'UOMO. Sorride che non si deve commettere violenza. E cammina nel silenzioso angolo della sua segregazione dove inatteso lacera l'aria il fischio d'una locomotiva dietro cui corre un precipitoso tuono di vagoni. Non basta una goccia di luce per scorgere dove venga e dove vada questo lunghissimo fragore. Il vecchio uomo negro procede senza vedere finché il lunghissimo fragore diventa buio infinito sopra il suo vecchio corpo negro".
La Madre pensa che questi treni sono bellissimi e terribili. Si stende sull'erba e alza lo sguardo al cielo.
Il Casellante: - E' una madre singolarmente fornita di capacità contemplativa.
L'Aiuto: - Una madre ricca di risorse. Ma noi non possiamo ignorarne lo stato d'estremo deperimento se non vogliamo renderci complici d'una sua non improbabile dipartita.
- D'accordo, abbiamo la zuppa del cane. Si divide a metà e buona notte, ci togliamo uno scrupolo dalla coscienza.
Questa Madre Fisicamente così somigliante a Colomba. Che è solo un mucchietto d'ossa. Sta in piedi sostenuta dal bastone, osserva la nipote che monda fichidindia. E a un tratto si spezza contro il grido esterrefatto della nipote. Le sue ossa di vetro! Si moveva pianino pianino entro la casa appoggiandosi per ogni passo ad un mobile. Ma non serve, s'è spezzata proprio stando ferma. L'hanno raccolta con cura e d'un volo stesa sul letto. Ha pelle gialla di vecchia gallina spennata e un coterone sporgente a guisa di coda. Non le dà requie sul letto per lei durissimo anche se morbido di piume. Il tarallo ci vuole di gomma gonfiato a dovere per questo grosso coterone. Il suo un piccolo viso d'ossa puntute e una grigia corona di capelli intorno alla testa. Ad accrescere sue bellezze un porro sul naso. E tristo spettacolo quando le fanno il clistere, dato che a quell'età, in quelle condizioni, gamba gessata, funzioni malcerte, le viscere bisogna tenerle pulite.
Comunque si andava abituando finché una sera sbalordisce tutti e preoccupa che lì non vuole stare. Zoppa, sciancata ma non più in ospedale. A casa, insiste, nella sua vecchia casa.
La sogguardano dai letti vicini, non fiatano, tanto si sa, ai novantanni come ai due una certa tolleranza è dovuta.
Non solo per il lungo studio, ma anche per il grande amore. Per questo dunque le percosse dei poliziotti bianchi hanno fatto quasi perdere la vista al vecchio uomo negro.
- Bisogna dirlo come stanno le cose, per esattezza e dovere di coscienza, in parte anche per espiazione, noi che siamo bianchi - afferma il Viaggiatore.
Lo scompartimento zeppo d'emigranti che tornano al Sud, sulle reticelle valigie che scoppiano legate con lo spago. Uno addenta un panino, si guarda intorno: - Noi che siamo bianchi, quasi sia uomini civili.
Un altro stappa una canadese: - Perché? non lo siamo vuoi dire?
Il primo: - Siamo combinati male, malissimo. lo non dico nulla, solo questo dico.
Il Viaggiatore: - Forse non bastano più il grande amore e il lungo studio. Ci moviamo su binari sbagliati, è prevedibile che non si arriverà mai a destinazione. Li avete visti morire di sete? e anche di percosse, di fame, di bombe, di droghe, schiantati magari sulla cima d'un monte al colmo d'uno sforzo atletico? Se non li avete visti, fateci meglio caso. Così vi convincerete perché a una predica iniziata non si sa mai quando si potrà porre fine. Altrimenti come faremo a incontrare i nostri morti con viso imperturbato e occhi bene aperti?
Ora di quella magritudine novantennale resta a vivere appena un soffio. Questa Colomba dall'ala spezzata, gomitoletto d'ossa nel lettuccio di ferro in cui s'annida la sua pervicace vecchiaia d'un tratto sconfitta e volta a strana loquacità senza saliva. Forse intende salvarsi per mezzo della parola e s'aggrappa al tarallo di gomma gonfiato e deposto bene in vista. Ma adesso non è possibile il tarallo, più tardi. Non ride nell'anno di grazia 1867, ma riserba il suo riso ad un secolo dopo nella casa paterna che crolla quando il pronipote profanatore non sa quel che si faccia, tutto avendo vuotato, gettato al vento, distrutto: fino il catafalco di sughero, il più monumentale catafalco mai visto nella provincia per uffizio funebre, ricostruito in miniatura e conservato sotto campana, fin quello, con la defunta in cera vestita esattamente come l'originale, aveva dato alle fiamme.
Poi il Giovane-pronipote s'accorge che è un settembre chiaro di luce e dolce, soltanto a sera un pò sfocato causa qualche sfilaccio di nebbia impigliato agli eucalipti, che non si riesce nonostante la forza dei fari a strappare. D'altra parte i colori miti, questo ottundimento del raziocinio e quasi disperato affisarsi in una realtà transeunte non facilitano il vivere: se ne scopre sconvolto tanto più per la metamorfosi visibile negli spazi di cielo e nei paraggi di Colomba. Come se dipendesse da lui e non da una norma sempre riscontrabile nell'avventura umana. Non lo aiuta riandare al tempo dell'Infermiera Magra, dell'Ex, del Casellante con seguito trafelato per essere di nuovo capace d'accogliere in sé, privo d'orrore, quest'antica stagione di luci dalle finestre, robinie sempreverdi, balaustri corrosi nella villa a giardino italiano. Una villa chiamata col nome d'una morta e sul cancello SI AFFITTA, unicamente invito ad entrare, non hanno nessuna intenzione i proprietari della villa dove la morta aveva adornato di stucchi i salotti e stanze vicine che essi contemplano in lunghi silenzi di vacanze. Ma con tutto questo i ricorsi del tempo sembrano chiusi: ci si accorge un bel giorno che esistono spacchi incolmabili né si possono tentare ricostruzioni se non a rischio vedersele frantumare tra mani.
Queste cose il Giovane-polizza capisce benissimo, da molto le capisce, meglio ancora dopo la permanenza sia pure breve in ospedale. Perciò si ostina a guardare attraverso l'arco d'ingresso nel cortile dove la casa crolla lentamente, pietra dopo pietra ad ogni sussulto di Colomba che muore. Avvolta in scialle nero ora appare più gialla proprio per via di quel nero dell'abito e intorno al volto: non pareva prima nel letto candido, ora sì mentre la portano all'ospedale. E lì nonna la chiamano, se la passano in braccio da un reparto all'altro tanto è leggera, volita e sbatte, pipistrello sperduto che non ritrova le pareti della sua casa, finché sulla barella percorre corridoi d'inenarrabile calvario, poi la spingono obliqua sopra la breccia del parco, scossa qua-là quasi rischia cadere. Gialla entro nero scialle sotto un sole incastrato in cielo alto d'ottobre milleotto... Di quella morte così precipitosa ora fa vendetta ridendo e puntando quel riso sonoro contro le pietre al pari d'un piccone.
Naturalmente di tutto ciò nessuno tiene conto perché accade in una latitudine segreta dove franare di muri e vecchi mobili neppure si avverte tanto il cortile, anno 1967, è circondato da silenzio e buio.
E nella camera accanto, mortuaria n. 2, dentro una cassettina già chiusa ma non ancora inchiodata (i chiodi dritti e scuri infilati a bucare appena lo spessore del coperchio), sopra il tavolo lucido nero - intorno sedili metallici macchiati di ruggine e panche laccate verdechiaro, ma spenta la lampada, fuori del resto splende così tiepida e luminosa e godibile l'aria d'ottobre (autunno carico, intenso di meridionalità) né pende come nella n. 1 il crocefisso alto su Colomba racchiusa nel sudario - hanno deposto il Feto nato morto che già da alcune ore era morto nel ventre della Ragazza sicché sembra di nessun sottobosco debba rimanere traccia da quando s'è piegata sulla sponda del letto spasimando che l'aiutino, che questo flusso sanguinoso che le riga le cosce non sia il sangue definitivo della crocifissione, di quei sottoboschi, nastri adesivi, lento affondare di carne nella terra... Nato morto quasi per riluttanza istintiva a venire al mondo dove peraltro si era in più modi annunciato questo Feto morto al pari d'un qualunque feto abortito da donna.
Il Viaggiatore si sente ancora in grado d'angolare i ragionamenti secondo una prospettiva arricchita d'ogni possibile paradosso onde la vita è piena dato che da qualche tempo a questa parte, cioè dalla comparsa dell'uomo, non tutto fila liscio; ma non può non ammettere d'aver perduto mordente. Osserva i compagni di viaggio addormentati, le grosse valigie attorcigliate di spaghi, la lampada notturna che spande colorito bluastro su mani e volti. Poter ascoltare il ronzio quieto che fanno dormendo e sentire il rumore del verme che scava la terra per sprofondarvi come essi sprofondano nel sonno e, senza saperlo, si concedono un anticipo. Anche il Viaggiatore non regge più alla stanchezza, quando nel cielo, al cui buio viluppo per almeno un'ora e mezzo il treno in corsa aveva tentato sfuggire, compare la scritta UN CIELO DI, che proprio non si capisce quale sorta di cielo sia o aspiri ad essere questo cielo muto sopra l'ondata ritornante delle colline. Ecco, UN CIELO DI COLLINE potrebbe essere, dove salire e scendere a precipizio o invece adagio per non farsi male.
- Il risultato è un'enorme sfasatura fra progresso tecnico-scientifico, con relativa diffusione benessere, e valori umani ideali morali ecc. ecc. ridotti quelli che sono. Lo sappiamo bene, questa è lagna assai antica, geremiade a lunga secolare gittata.
A questo punto il Direttore n. 1 spegne l'apparecchio, la figura del conferenziere accenna un inchino, s'accartoccia e dissolve nel video al cui centro per alcuni istanti continua a splendere un occhiolino.
- Non hanno altro da dire. Sempre discorsi generici e scarsamente costruttivi. Non sanno penetrare l'essenza delle cose. Ci vogliamo noi, non tutti s'intende, i più in gamba. Noi abbiamo penetrato l'essenza del sottobosco, del nastro gommato, dell'uomo, della società e del cielo. Anche il cielo. Possiamo trasformarlo a piacimento in cielo fragoroso o di silenzio oppure in cielo di colline. Passeggeremo sulle colline del cielo e vedremo trascorrere, portati da banchi nebbia, tube bastoni panciotti di tutti gli omini del mondo.
Si sfila le scarpe ed esegue esercizi ginnici sulla moquette.
- Uno-due, sorrida - invita il fotografo - e la eterniamo nell'atto d'un'abitudine salutare. Chi meglio di Lei può fornire esempio a figli e posteri?
- Daremo più d'un esempio, sebbene non sia facile. Ma se qualcuno pone mente e mira con intelletto sgombro, tutti sanno cosa vuol dire simile discorso e a quali esiti conducano certe affermazioni di principio. Noi del resto non pretendiamo possedere il monopolio ma a buon diritto ci consideriamo fra gli antesignani d'una concezione avveniristica della vita. Loro giornalisti sanno e sanno i fotoreporter che scattano tante magnifiche foto da empirne pagine su pagine dei rotocalchi, certo sanno (e non fa d'uopo ripeterlo) il nostro sommesso e diuturno faticare, ma affinché l'industria produca quanto è nelle aspirazioni sacrosante della Nazione, Loro m'intendono, noi si fa il tutto per tutto: non per noi ma per il benessere della società e grandezza della Patria, anche se a noi ne venga legittimo profitto qual è lecito attendersi da parte di chi lavora sempre sul rischio. Perché poi, Loro m'intendono, noi siamo perfettamente articolati e possiamo agire in profondità, voglio dire al di dentro delle cose in quanto le conosciamo e abbiamo consapevolezza degli stimoli che ad altri possono derivarne. Argomento complesso, mi rendo conto, che richiederebbe ben maggiore tempo e spazio. Comunque ritengo di aver posto in termini abbastanza chiari la questione. Si tratta in fondo di conservare propria autonomia e ricorrere solo in extremis ad interventi diversa estrazione.
La conferenza- stampa porta per le lunghe. Qualcuno comincia a guardare la luna fuori ben equilibrata nella sua rotondità in mezzo al cielo, alta sopra i treni che passano ripassano si rincorrono, ma non esiste nulla di certo.
La Madre tuttavia insegue mentalmente una sua certezza per quanto non manchi di lati oscuri. Sta lì immota, un osso a prima vista, un lungo osso silenzioso, a volte capace soltanto di monosillabi. Non sempre così, anzi una loquacia carica di spaventi e attese.
- Ascoltiamo correre il treno - dice - e possiamo anche ascoltar correre la luna. Essa passa sui treni e nei treni dormono e sognano gli uomini. Non è forse un evento meraviglioso?
- Assolutamente meraviglioso - sorride la Ragazza. - Sulla cassettina hanno inchiodato una croce e noi stiamo a osservarla come si osserva la luna che pure da tanti millenni sta dove sta.
La luna passa simile a un soffio, sbianca le tende, le arcate del ponte.
Bisognava allora farlo saltare per non compromettere la situazione. Difatti una pena di meno avremmo avuto nel cuore, che poi è un piccolo cuore incapace di freni e considerazioni ordinate. E ora che il chiarore lunare riverbera su lui in un angolo di scompartimento dove il Figlio di fronte si è lungo disteso, il Viaggiatore si chiede onde gli sia cresciuto questo po' po' di Figlio che neanche se n'è accorto al pari dell'incredibile scorrere d'una giornata, quando ti volti è subito sera. L'ha detto qualcuno, come l'avessero detto tutti. Insomma un indefinito torrente d'anni e d'attese per la vita che doveva venire, poi non è venuta.
- Siamo stanchi di tanto sospirare - dice uno nel buio, il chiarore già spento lunare, un'ombra di nubi veloci a velare la corsa dei treni notturni, sibilanti sui ponti, davanti le case, all'incontro tenue dei pali.
Eppure mi ritrovavo in principio così sicuro, ilare quasi ed anzi soprattutto ironico. Non è possibile più essere un viaggiatore maiuscolo, parlare di capsule ibernanti, suggerirle. Che cosa è cambiato? se non questo Figlio cresciuto a cui abituarsi è molto difficile.
Guarda il mare bruno nell'ora incerta, la traccia voluta per gioco, il paripasso del loro cammino, della Ragazza e chi altro? il Casellante o forse l'Aiuto? che del resto egli ignora del tutto non meno quanto ignori la Ragazza. Ebbene corrono, lei stranamente ride, s'alza in punta di piedi per non lasciar segno ma poi ricominciare più in là. Insieme stampano orme dopo orme, in ogni direzione ma sperdute sempre nella vasta solitudine. Ride la Ragazza a quel gioco da lei voluto. Sulla spiaggia deserta viene con la sera odore amaro di pini. Talvolta accade anche d'incrociare il grido risonante dall'alto delle colline, il richiamo lamentoso dei pastori che sospingono i greggi verso la Bella Addormentata.
- Non si sveglia più, lo sappiamo - afferma la Ragazza. - E' veramente addormentata. Come il piccolo bambino sotto la lunga croce del coperchio. Si potrebbe perfino piangere se non fosse questo riso che mi spalanca la bocca.
- Oltre tutto ci guadagnava sopra - sogghigna il Casellante.
E l'Aiuto: - Quella storia della sonda fotografica?
- Quella storia.
- Un'indagine indubbiamente d'alto interesse scientifico e guadagno sicuro.
- Appunto, secondo detta l'interesse personale, salvo che non era prevedibile così repentina tramutazione in cadavere d'un esserino ancora da nascere.
- Non è mica vero che parlasse o meglio trasmettesse il pensiero fin da dentro all'alvo materno?
- E' fortemente azzardato, in questa nostra situazione, rispondere cosa sia vero e cosa non sia, ma se proprio ci tieni rammenta che per noi unica verità vera sono le Ferrovie dello Stato.
Detto questo, il Casellante prende da terra la lanterna e a passi lunghi s'avvia verso la notte.
- Si trova sempre una favola all'inizio della nostra vita -, afferma l'Ex - finché giunge il momento che non ce ne accorgiamo più. Prestissimo giunge e contro nostra stessa volontà ed ogni logica, mentre le favole contengono una loro ferrea eppure piacevole logica. Non riusciremo proprio a salvarci se non proveremo di nuovo gusto alle favole.
- Ormai è fuori pericolo, ma non s'affatichi, - ammonisce l'Infermiere Magra - tanto più che non c'è nulla di serio in ciò che dice.
L'Ex scoppia a ridere, la sua ombra rasenta i muri mentre si reca al gabinetto adesso che finalmente può. Il lumino spento davanti alla nicchia del corridoio, la fatica di camminare, respirare profondo, accogliere suoni odori colori. Le porte bianche, le finestre verdi di alberi attraverso i vetri, lo scarico scrosciante dell'acqua, i corridoi interminabili dove anche lui - cammina cammina, ma è diventato così lungo, così difficoltoso cammino per lui tanto debole, un'insistita fatica né si scorge luce nel bosco, neppure un lumicino lontano lontano - ha visto (o forse creduto solo per via di ciò che gli hanno raccontato) passare la vecchia chiusa entro un'onda di scialli neri, di nere sottane, che pregava, no no in questo modo, di metterle un altro guanciale sotto la nuca perché qui al centro, lo stomaco forse, no non lo stomaco, è il cuore un grosso e pesante macigno, non resiste a quella posizione, le infilino almeno qualcosa sotto perché questo cuore non le blocchi il respiro, da tenere un poco sollevata la testa, poter tirare senza troppo affanno quest'ultimo fiato, oh la vecchia Colomba che moriva una seconda volta e ormai per sempre (dopo l'antica prozia questa seconda vicenda segna un confine invalicabile di generazioni) l'aveva veduta anche lui, gialla, a bocca aperta, la mandibola abbandonata, e tuttavia si palpava il polso. In vero attraverso la cortina scesagli sugli occhi aveva intravisto quel transito della moribonda in barella con dietro qualcuno, senza avvedersi rispetto a questi che si trattava di persona già di sua conoscenza.
Così Colomba è giunta all'atto finale nella cameretta donde, a quanto sembra, si accede all'eterno.
Soltanto l'Infermiera Magra l'ha riconosciuto meravigliandosi: Perché qui?
E lui le ficca in mano un biglietto da diecimila: - Me la vesta lei la povera morta, la prego.
Ha gli occhi bianchi il Giovane 530261, allucinati, impossibile sempre, oggi come allora, girare quel bottone, non ti placa più neanche bere, i cani nel lampo di luce intermittente latrano e mostrano le zanne, la gamba la stessa pena, quanti gli salteranno addosso non può prevederlo, s'è aperto in lui un largo incavo silenzioso nel quale si fondono passato e presente, il dolore tutt'un blocco, i tormenti non distinti né distinguibili, suoi e di altri, quasi precipitare indietro, ripercorrere il medesimo calvario, gridare e sentire la propria voce sbattere contro le pareti e amplificarsi e convincersi che solo adesso la casa di Colomba è veramente vuota, adesso, davanti al lettino d'ospedale in cui la vecchia ha piegato il volto sulla guancia sinistra. La casa ormai potrebbe perfino sparire, scrollata da quelle risa dilaganti da Colomba alla prozia a lui, il Giovane, all'Ex nei corridoi che cerca e non trova una candela per illuminare facce da riconoscere, più nessuno riconoscibile, quindi dal buio incoraggiato a declamare: - Vanno i pastori in coda delle greggi / per i lunghi declivi umidi e molli. / Passano accanto ai muri dove foschi / stanno i cipressi...
Cammina camminano verso la Bella Addormentata. Sarebbe questione di rimettersi sulla stessa strada? Non facciamoci stupide illusioni. Oggi altra è la regola.

(3 - continua)


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