Quel frate in piena luce




Franco Barbieri



A ciascuno di noi, in un particolare momento della vita, è accaduto che sia venuta in soccorso, o sia stata di conforto, una delle diffusissime immagini sacre, comunemente chiamate "santini". Questi, oltre al potere evocativo e suggestivo delle immagini, posseggono la carica emotiva e mistica del sacro e del divino. La semplicità e l'immediatezza dei santini per ciò che rappresentano e per come lo rappresentano sono state motivo non trascurabile della loro diffusione tra il popolo dei semplici, anche per essersi coniugate con la dignità che derivava dagli originali da cui le immagini venivano tratte. Proprio la "qualità" degli originali ha contribuito alla diffusione di quelle immaginette, così come, spesso, la vastità e la diffusione del culto del santo rappresentato hanno reso possibile la creazione di originali più o meno validi. Ciò è un probabile motivo della differenza che si riscontra tra il culto di San Francesco d'Assisi e quello di San Francesco da Paola.
Il primo, infatti, è stato raffigurato dal pennello di Giotto in affreschi posti nel cuore del potere civile e religioso, dove cultura e misticismo arricchivano la vita e i costumi degli abitanti secondo modalità sconosciute a quelli della Calabria di allora come di quella di oggi.
Insieme ad altri motivi - alcuni più profondi, altri più suggestivi - il culto del Santo di Assisi è risultato e risulta più esteso e diffuso, così che Egli rimane il santo più conosciuto, tanto da essere invocato quale patrono d'Italia. Nato da facoltosi mercanti visse in pieno Medioevo nella sviluppata cittadina di Assisi dove trascorse metà della sua vita immerso, e con successo, nelle attività mondane e dove, una volta illuminato dalla Grazia, rimase ad espletare la sua opera a meno di un viaggio presso il Sultano d'Egitto. In Assisi morì appena quarantenne.
San Francesco da Paola, patrono della Calabria e protettore della gente di mare, si trovò nella transizione tra Medioevo e Rinascimento; ebbe i natali in un piccolo paese della Calabria, Fuscaldo - di cui Paola era un "casale" - da genitori che erano modesti agricoltori e, sin da adolescente, scelse la vita da eremita. Trascorse la sua vita operando per i poveri della sua terra sino a sessantaquattro anni per poi trasferirsi, su imposizione di Papa Sisto IV, in Francia, alla corte di Luigi XI, ove restò per altri venticinque anni e dove morì.
Nell'attuale secolo XX è apparsa la figura di Padre Pio da Pietrelcina - nato col nome di Francesco Forgione - che, nel solco degli stessi princìpi di povertà cristiana dei due Francesco, ha già ottenuto dalla fede popolare l'investitura a santo mentre, faticosamente, è iniziato e va avanti il rigoroso processo di canonizzazione.
Troppi avvenimenti nel nostro Paese, soprattutto in questo secolo, hanno determinato e formato una cultura del sospetto, alimentata peraltro dalla genetica diffidenza e dallo scetticismo, purtroppo confermati da tante esperienze negative. Anche Padre Pio ne è rimasto coinvolto al punto che è passata in secondo piano tutta una vita di sofferenze e di lotte, che, per una strana e misteriosa ragione, sono rimaste documentate nella vasta e duratura corrispondenza intercorsa tra il Padre e i suoi consiglieri e direttori spirituali, padre Agostino e padre Benedetto.


Non si può non riconoscere, perché è fin troppo ovvio, che la diffusione di notizie di eventi, specie se straordinari e miracolosi, è profondamente cambiata. La narrazione, e la trasmissione orale, che avveniva nelle piazze e nelle case, porta a porta, è stata sostituita dalle pagine dei giornali e dalla televisione. Le immagini, fisse o in movimento, sono ormai la testimonianza, apparentemente più diretta, di eventi e persone.
Nel caso particolare, Padre Pio, personaggio schivo e quasi geloso dell'apparizione della propria immagine, ha suscitato un interesse, che non raramente ha sfiorato la morbosità, nella massa dei credenti e non, così da indurre a ipotizzare che l'individuo comune sia come pressato dal bisogno di toccare con mano (ovvero con gli occhi) gli accadimenti straordinari, meravigliosi, misteriosi: in una parola, miracolosi.
Così le famose "stigmate" - che avevano segnato anche il poverello di Assisi e che Padre Pio tendeva a tenere celate con ogni mezzo - diventano l'obiettivo di tutti gli obiettivi. Nell'immaginario popolare di questo santo dei nostri tempi, resta, e prevale sulla parola, l'immagine della sua figura, del suo volto e, soprattutto, delle sue mani, che rappresentano una novità nell'agiografia, così come l'indescrivibile profumo emanato dal santo, elemento rivelatore della sua presenza.
Il principio della povertà - che viene detta non a caso francescana - accomuna i tre personaggi, tanto da ritenere Padre Pio il continuatore e successore di quelle radici popolari italiane del sentimento e del valore della santificazione. Tutti e tre, "rivoluzionari" nello spirito e nelle azioni, Padre Pio e i due Francesco rimangono fedeli, però, nell'obbedienza alla Chiesa di Roma, che, superando grandi difficoltà, ne ha compreso la forza divina e la presa popolare e, in quanto autoregolati e limitati dalle rispettive "regole", ne ha accettato lo spirito e la dottrina. San Francesco da Paola, l'emigrante in terra di Francia, che acquista stima e prestigio, in quanto portatore di antiche e sacre virtù, in quel contesto dimenticate, si trasfonde in Padre Pio, viaggiatore virtuale e miracoloso che approda nel nuovo mondo e conquista le anime.
La centralità geografica, politica e culturale di Assisi e la conoscenza diffusa della figura hanno fatto di San Francesco un patrimonio dell'identità nazionale. Invece, quello da Paola, è stato assunto a simbolo di identità regionale, nonostante che la sua notorietà sia diffusa in Francia, in Spagna e nelle Americhe.
Padre Pio (come Madre Teresa di Calcutta) assume valore di riferimento, partendo da un'azione locale e limitata - e nonostante ciò - per ogni essere umano che in tali personaggi, e nella loro altruistica attività, si identificano. Si è allargato l'ambito di conoscenza e di introiezione al passo con i mezzi della comunicazione.


Per poter comprendere queste personalità, è necessario assumere, in premessa, i valori propri del Cristianesimo: la contemplazione, che si esercita nella preghiera, la penitenza, che si manifesta nell'autorinuncia, e la fede. Tutti gli altri aspetti - dottrinari, sociali, comportamentali, etc. - sono conseguenti a quei valori. E', allora, limitativo, e certamente non esaustivo, fermarsi a considerazioni sulle loro qualità umane. Così, per esempio, Francesco da Paola è il santo della solidarietà, ma il motto del suo ordine, quello dei "Minimi", è charithas, intendendo carità cristiana. In breve, negare o ridurre la natura religiosa e mistica per far prevalere la dimensione, anche straordinaria, dell'umano non può giustificare e spiegare la loro vita e quanto di nuovo da essi prodotto e introdotto. Considerare la loro una risposta ai tempi e ai bisogni degli uomini del proprio tempo, non soddisfa le domande che si pongono in altri tempi e per altri bisogni. Il santo, se è veramente santo, non può essere preso in considerazione solo per il tempo della sua vita. Tant'è che la santità viene riconosciuta dopo il passaggio terreno, anche se durante la propria esistenza e con la propria esistenza Egli ne pone tutte le premesse.

E' sorprendente, e ancora una volta da rilevare, come il culto di tutti e tre sia diffuso nel mondo quando si consideri che la loro azione si è sviluppata in ambiti territoriali ristretti, con inizialmente pochi seguaci e collaboratori, nel rispetto della più rigorosa povertà. Noi italiani riconosciamo in essi i tipici caratteri della nostra identità: lo slancio mistico, molte volte anche poetico; l'aderenza alle cose che formano il quotidiano; la solidarietà, ambigua nella gente comune ed eroica nelle grandi figure; il desiderio di pensare grandi progetti, però con modesti mezzi; la capacità di tenere in equilibrio, e coesistenti, i valori dello spirito con le necessità materiali. Un'identità con caratteristiche fantastiche più che reali, ricca di condizionali nell'enunciazione di teorie, ma molto condizionata nella realtà. Così quando appare sulla scena il personaggio che, al contrario di quanto ci accade, riesce a incarnare i nostri sogni, allora l'identificazione è immediata. Questa consapevolezza e la ancora vivida attualità e contemporaneità delle vicende terrene di Padre Pio in alcuni suoi aspetti, oggetto di interessate interpretazioni, pesano su chi intende riflettere su di lui, ingenerando dubbi e incertezze per il fatto che l'argomento va affrontato, insieme, con semplicità e profondità. Ma la figura di Padre Pio, insieme a quelle dei santi di Assisi e di Paola, possiede una tale carica spirituale che rende difficile il sottrarsi al compito, il quale, però, nella consapevolezza del grado di difficoltà, richiede un atteggiamento umile e rispettoso.
La prima preoccupazione, che si presenta a chi desidera trattare della figura del Beato, è quella di porsi lontano dalle strumentali argomentazioni che si sono agitate per lungo tempo sulla sua figura, non solo di uomo ma anche di santo, e che hanno reso, e rendono, duro e difficile il processo di santificazione. A questa posizione critica nei confronti di Padre Pio hanno pure contribuito, forse anche inconsapevolmente, le poche immagini di Lui diffuse e pubblicate indiscriminatamente; si sono creati motivi sfociati nella polemica, in quanto fondati sulla materialità delle immagini in seguito caricate di significati e di interpretazioni particolari.
Ciò costringe, ancora una volta, a riaprire il discorso sul valore di obiettività dell'immagine fotografica e sul rapporto che lega il soggetto, o l'evento, con l'autore e poi il prodotto, presentato da un terzo protagonista - che chiameremo editore -, con il fruitore, che è l'autentico destinatario dell'operazione.
Ad una prima riflessione, nel caso ora affrontato, il soggetto - come pure gli eventi che attorno a lui ruotano - possiede una così potente carica di mistero che può manifestarsi solo quando la camera fotografica non è presente. Gli indizi, quindi, possono essere rilevati solo in occasione di rare apparizioni che, come si vedrà, sono grandemente controllate quasi da apparire immagini posate o costruite.
Nella foto 1 - ripresa dopo il 20 settembre 1918 (data della formazione delle stigmate) e prima delle decisioni restrittive assunte nel 1922 nei confronti del Padre -, la posa è evidente al punto che può essere considerata già un "santino", in quanto in essa sono rappresentati tutti gli elementi, caratteristici e celebrativi, fondamentali: l'esibizione manifesta delle stigmate, il saio, l'atteggiamento del volto barbuto ma "pulito", lo sguardo lontano ma penetrante; manca soltanto l'aureola ma è presente una luce dall'alto che fa risaltare la non folta capigliatura. Il muro scrostato di fondo che vuole suscitare la sensazione del chiuso mondo entro la cinta conventuale completa la "bella" fotografia mentre l'umanissimo e realistico orecchio le dà un sapore più autenticamente documentale. Si può, allora, comprendere, e la stessa esistenza di tale immagine la giustifica, la preoccupazione delle autorità ecclesiastiche riguardo al Frate già, peraltro, oggetto della venerazione di fedeli, che accorrevano per vederlo da varie parti della Puglia e d'Italia; la sua fama di taumaturgo, confessore e consolatore, capace di fare anche miracoli, era vasta e diffusa, ma un gran numero di pellegrini era attirato, soprattutto, dal potere delle stigmate.

Padre Pio era stabilmente a San Giovanni Rotondo dal luglio del 1918. Vi era pervenuto a seguito di un lacerante itinerario di sofferenze e di lotte, spirituali e fisiche, sostenute e descritte, come già accennato, nella vasta corrispondenza tenuta con i direttori spirituali padre Benedetto e padre Agostino. Sin da bambino - narrerà poi di un suo ricordo dell'età di cinque anni - gli si presentavano apparizioni, visioni, immagini di esseri mostruosi, terribili, minacciosi, allontanati da altrettanti personaggi splendenti e amici difensori. Con efficace sintesi, Marco Garzonio nel suo libro Padre Pio. Il caso può affermare: "Il combattimento sarà il motivo dominante della sua vita".
Fu all'età di quindici anni, nell'attesa e alla vigilia dell'entrata in convento, che i tormenti e le fantasie di adolescente si evidenziarono nella consapevolezza di un'esperienza che fu vissuta come distaccata, vista da lontano. In quell'esperienza, Egli dice, il soggetto, riguardato "con l'occhio dell'intelligenza", era la sua anima. E, come è naturale, quell'esperienza fu raccontata in terza persona.
Dell'itinerario doloroso e mistico del Frate incominciarono ad apparire alcuni segni, tra i quali la misteriosa malattia che l'afflisse manifestandosi con febbri continue, con dolori lancinanti al torace, con tosse insistente e frequenti svenimenti tanto da costringerlo, quando era ormai sacerdote, grazie ad una dispensa speciale accordatagli, a far ritorno a casa, laddove i confratelli si convinsero potesse ritrovare la salute.
Si era nel 1910. Si intensificò la corrispondenza del Frate con i suoi direttori spirituali mediante la quale tutti i travagli, i dubbi, le esperienze mistiche trovarono, nella dettagliata descrizione, quasi una sorta di momentanea liberazione.
Nel febbraio del 1916, malvolentieri e non per sua iniziativa, lasciò Pietrelcina e, accompagnato da padre Agostino, si recò a Foggia ospitato nel convento di Sant'Anna. Nel caldo e afoso luglio di quello stesso anno, il superiore del convento di Santa Maria delle Grazie, che era a San Giovanni Rotondo, venuto a Foggia per una predica, visto Padre Pio ancor più sofferente, lo convinse a seguirlo al proprio convento ritenendo quello il luogo con il clima più adatto a dargli un po' di sollievo e di conforto. Nell'autunno di quello stesso anno ritornò a San Giovanni Rotondo per trattenervisi per un periodo più lungo. Vi tornò poi il 18 marzo del 1918, dopo aver espletato, tra vari ricoveri e relative convalescenze, il servizio militare, per rimanervi definitivamente.


Era il 20 settembre quando, sopravvissuto ad un attacco di "spagnola" - l'influenza venuta dalla Cina che aveva mietuto in tutto il mondo milioni di vittime -, dal suo corpo sgorgò sangue. Marco Garzonio attribuisce al Frate, per questo evento, "uno stato di confusione" nel quale "sono come saltati in lui i confini tra individuo e storia, vocazione personale e destini dell'uomo, esperienza soggettiva e ideali, modelli per cui vivere". Per trentadue giorni rimase solo con l'evento miracoloso. Poi ne rese edotto il superiore provinciale e quindi il suo direttore spirituale, padre Benedetto, il quale, per primo, ne intuì la portata, che andava al di là dell'esperienza soggettiva e mistica di un povero frate.
Riguardando l'immagine del giovane piagato Padre Pio può sorgere spontanea la domanda: quanto traspare e si legge da quella fotografia di tutti i suoi tormenti, delle sue visioni e di quanto gli è accaduto? Solo i particolari delle mani e dello sguardo possono considerarsi flebili indizi per il motivo che la fotografia riesce a registrare ciò che cade sotto l'occhio della macchina, ciò che si rappresenta. In realtà, il mistero di quanto investì Padre Pio non ha avuto una rappresentazione e quindi non poté essere mostrato.
Ma quando Padre Pio doveva "apparire", per assecondare la venerazione e, forse, la curiosità di migliaia di pellegrini, allora si verificava la rappresentazione, anche se il Frate non lo voleva. Fu così che accolse, con la stessa serenità di animo e francescana obbedienza, sia il tempo in cui gli fu proibito di presentarsi in pubblico sia quello della restituita libertà.
Non cessò mai di accogliere, con un paterno e dolce sorriso, chi gli si accostava con animo contrito e sincero e purtuttavia non celava brusche reazioni in alcune occasioni. La massima parte delle fotografie, che lo ritraggono con la gente e tra la gente, lo mostrano, nella sua figura semplice, priva di qualunque apparenza speciale, ma sereno e sorridente, quasi dimentico di tutte le sue sofferenze, consapevole, nonostante il suo parlare ricco di inflessioni dialettali, dell'ispirazione che riusciva ad infondere in chi correva da lui e ricorreva a lui. Con sorpresa, in immagini lontane tra loro nel tempo, (foto 2 e 3), si scopre la stessa espressione del volto, come se, nonostante tutto, il suo sentimento nei confronti della gente non mutasse. Sono queste le più belle e serene immagini di Padre Pio, che possono spiegare la sensazione che prova il pellegrino nell'andare verso di lui come all'incontro con un Essere portatore dell'umano e del divino.

Durante la celebrazione della messa, al momento della consacrazione eucaristica, il suo volto trasmutava nell'estasi mistica (foto 4). Oggi le immagini, allora riprese - non ha importanza chi ne fosse l'autore -, restituiscono il silenzio e la luce, irreali, dell'incontro di Padre Pio con Dio, rendono il suo sguardo rapito e rivolto verso il Cielo come se sguardo e cielo fossero legati da un misterioso nastro di luce. In quel momento tutte le afflizioni, i dubbi, i tormenti e le paure del Frate sembravano annullarsi e, tramite lui, si annullavano anche in chi aveva il dono di essere spettatore.
Le rare immagini del Frate nell'intimità della propria solitudine sono forse le più toccanti poiché riflettono la sua autentica lontananza dalle cose del mondo; in esse si manifesta una sorte di timidezza e gelosa ritrosia ancor più esaltata dal saperle foto "rubate". Una delle più significative al riguardo (foto 5) mostra Padre Pio fare "capolino" dal vano della cella conventuale, vano che è incorniciato dalla parete bianca, ondulata e scabra per l'imperfezione dell'intonaco, messa ancor più in evidenza dalla luce radente. Questa stessa luce gli illumina parzialmente il viso sul quale disegna ombre suggestive e misteriose, e la mano destra che, coperta con il mezzo guanto di lana appena risalta sul saio nel contrasto del bianco e nero, suggerisce l'esistenza dei segni della Passione.
Le immagini più emblematiche (foto 6 e 7) riportano il viso sofferente con gli occhi sbarrati illuminati da qualcosa o qualcuno che solo essi vedono.
Padre Pio sembra allontanarsi da tutto. Anche da noi. Al nostro stupore si accompagna una lancinante sensazione di abbandono.
Per questo la gente si reca in pellegrinaggio a pregare sulla tomba che custodisce le sue spoglie. E i pellegrini, per avere la certezza di non essere stati abbandonati, riportano alle proprie case santini che lo rappresentano, cioè sue immagini fotografiche.


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