Se ripartono i treni della speranza




Manlio Stanic



Se ne parla insistentemente e se ne scrive con crescente frequenza, eppure se ne sa ancora troppo poco. Ci riferiamo ai flussi migratori Sud-Nord che sarebbero ripresi all'interno del nostro Paese, dopo decenni (almeno tre) di letargo e che hanno già fatto gridare alcuni al nuovo spopolamento del Mezzogiorno e altri a un moderno dinamismo del nostro mercato del lavoro.
A dire il vero, gli 88 mila emigrati delle proiezioni Svimez si sono rivelati alla luce dei dati consuntivi non più di 70 mila; e non basta certamente un'osservazione al di sopra della norma (gli anni precedenti erano in linea con i flussi della seconda metà degli anni Ottanta) per concludere che si è su un trend di flussi migratori crescenti. Soprattutto i dati disponibili, provenienti da fonti amministrative, non sono in grado di darci molte informazioni utili, prima fra tutte la destinazione dei flussi. Mancano, inoltre, dati sulle caratteristiche (età, istruzione, posizione sul mercato del lavoro, nazionalità) di coloro che cambiano residenza. Per quel che ne sappiamo, gli emigranti della Campania potrebbero essersi trasferiti in Abruzzo, unica regione meridionale con flussi migratori interni positivi. Oppure potrebbero essere immigrati da altri Paesi che, dopo aver preso una residenza temporanea in una regione del Sud, decidono di trasferirsi al Centro-Nord. L'esperienza internazionale ci dice che queste fasce di popolazione (persone di recente insediamento appartenenti a minoranze etniche) sono anche quelle più mobili.
E' comunque un bene che di mobilità regionale si parli perché, da una parte, si contribuisce a rompere un tabù e, dall'altra, si prende atto di cambiamenti importanti in corso all'interno del nostro mercato del lavoro.
Ancora prima della mobilità effettiva (sulla quale è ancora troppo presto per trarre conclusioni) sembra essere cambiata negli ultimi anni la propensione alla mobilità della forza-lavoro, specialmente di quella meridionale.
Il fatto più significativo che emerge dalle indagini più recenti è l'incremento della percentuale di persone disposte a cambiare residenza per trovare lavoro soprattutto al Centro-Sud, mentre al Nord la propensione alla mobilità è in aumento soltanto fra i più giovani. Si tratta, per lo più, di persone con livelli d'istruzione secondari o universitari e di un'età inferiore ai trent'anni. Questo aumento della propensione alla mobilità nel Mezzogiorno è confermato dalle rilevazioni recentemente compiute da Aris Accornero, a partire da un campione di iscritti al collocamento. I dati provenienti dalle forze-lavoro sono, comunque, maggiormente rappresentativi e, soprattutto, permettono di raggiungere anche disoccupati non iscritti al collocamento (che sono mediamente più istruiti degli iscritti).
Come spiegare questa tendenza? Fra le diverse possibili interpretazioni, due ci sembrano particolarmente promettenti. Prima di tutto, la maggiore propensione alla mobilità potrebbe essere indotta dalla riduzione del volume di trasferimenti sociali al Sud, avvenuta soprattutto dopo l'inasprimento delle condizioni di accesso alle pensioni di invalidità, che hanno rappresentato per una lunga epoca nello stesso tempo una manna per la sopravvivenza nel Sud, ma anche lo strumento micidiale che ha impedito il decollo dell'iniziativa individuale nelle regioni meridionali. In secondo luogo, i datori di lavoro settentrionali sembrano, oggi, molto più che ieri, alla ricerca di manodopera proveniente da altre regioni. Ciò si spiega non solo con le carenze di manodopera in alcune aree soprattutto del Nord-Est, ma anche con la diffusione dei contratti a tempo determinato nel Settentrione. La possibilità di assumere a termine rende maggiormente appetibile la manodopera proveniente da altre località, tradizionalmente discriminata nelle assunzioni a tempo indeterminato perché è "più difficile acquisire informazioni" su "chi viene da fuori". Non sembrano invece, almeno per il momento, profilarsi mutamenti di rilievo tale nel mercato delle abitazioni da giustificare l'aumento della propensione alla mobilità territoriale. In particolare, la percentuale di individui che risiedono in un appartamento di proprietà - un fatto che, in genere, tende a scoraggiare il cambiamento di residenza - non solo non si è ridotta, ma è addirittura aumentata al Sud nel corso dell'ultimo decennio (questo, almeno, è ciò che si desume dai dati dell'inchiesta sulle famiglie condotta dalla Banca d'Italia). Non c'è nulla di allarmante in questi dati. Nell'Europa dell'Unione monetaria e delle politiche della concorrenza, in un'Europa in cui non è più possibile non solo compiere svalutazioni competitive, ma anche garantire sconti sul costo del lavoro estesi all'intero Mezzogiorno, la mobilità territoriale diventa essenziale per permettere un riassorbimento (o almeno impedire un aumento) dei macroscopici divari nei tassi di disoccupazione fra Nord e Sud. Sin qui la reazione dei mercati del lavoro regionale di fronte all'aprirsi di crisi a scala locale (del tipo: chiusura delle grandi imprese) si è tradotta soprattutto in flussi di uscita dalle forze di lavoro. A riprova di ciò, il fatto che le aree del Sud con i più alti tassi di disoccupazione sono anche quelle con le più alte percentuali di popolazione in età lavorativa non soltanto non-occupate, ma anche non alla ricerca attiva di lavoro. Questa è la ragione per cui i divari nei tassi di disoccupazione persistono e non si riducono neanche negli anni in cui al Sud l'occupazione ha una dinamica maggiormente positiva del Centro-Nord: in questo caso aumenta l'offerta di lavoro in parallelo con l'occupazione, mantenendo i tassi di disoccupazione nel Mezzogiorno pressoché invariati.
Come rapportarsi ai mutamenti in atto nell'offerta di lavoro? Facendo sì che chi è disposto a muoversi, possa farlo con cognizione di causa, trovando un lavoro il più possibile corrispondente alle proprie qualifiche e aspirazioni. In questo modo la mobilità potrebbe alimentare flussi di ritorno di lavoratori che abbiano acquisito conoscenze e redditi importanti per lo sviluppo delle regioni meridionali.
Data la scarsa circolazione di informazioni sui posti vacanti nel nostro Paese, è fondamentale che il servizio pubblico dell'impiego promuova l'incontro fra domanda e offerta di lavoro anche quando queste sono collocate in regioni diverse, permettendo che ai giovani del Sud che vogliono compiere un'esperienza lavorativa al Nord vengano offerte le migliori opportunità disponibili. Questa volontà di promuovere la mobilità territoriale è stata peraltro sancita dal Piano nazionale per l'occupazione predisposto recentemente dal governo e sottoposto al vaglio della Commissione europea, che lo ha accolto favorevolmente. Nel piano si parla di incoraggiare gemellaggi fra servizi dell'impiego del Nord e del Mezzogiorno nel promuovere esperienze di lavoro e di un coordinamento da parte del ministero competente dei diversi schemi di incentivazione alla mobilità predisposti dalle regioni settentrionali.


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