Sud col freno in salita




Giovanni Costa



L'economia del Mezzogiorno in alcune aree è in modesta crescita, mentre in altre è in declino, oppure ristagna. Lo confermano le ricerche sui sistemi locali del lavoro, come quella portata a termine dall'Istat a partire dai dati del Censimento intermedio dell'industria e dei servizi (ultima rilevazione nel 1996) o quella affidata all'Unioncamere a Gianfranco Viesti, basata sulle rilevazioni del progetto Excelsior. Questi contributi analitici pongono agli osservatori almeno due domande: come rafforzare nelle regioni meridionali gli embrioni di sviluppo laddove siano già presenti e vitali; come estendere la crescita nelle cosiddette aree marginali.
Per abbozzare risposte plausibili, occorre sgombrare il campo da dispute e contrapposizioni artificiose che impediscono di orientare pragmaticamente gli interventi di politica economica. Indichiamo alcune di queste contrapposizioni sterili, che rischiano di portarci fuori strada, e cioè il presunto conflitto tra politiche di contesto e interventi specifici, mirati; la scelta tra incentivi automatici e incentivi discrezionali; il localismo opposto all'internazionalizzazione.
1) Agire sul contesto, oppure per obiettivi specifici? A nostro avviso, è un falso dilemma. Nel Mezzogiorno le imprese incontrano ostacoli alquanto diffusi sul territorio. E' compito dei poteri pubblici eliminare ovvero attenuare questo ostacolo mediante interventi che accrescano le economie esterne, che migliorino appunto il contesto territoriale nel quale gli imprenditori operano. Di questi interventi possono giovarsi tanto le imprese già presenti, attive, ovvero sopravvissute alla bufera di questi anni, quanto le imprese nascenti. Gli ostacoli che rendono il territorio, il contesto, ostile o poco amichevole, agli imprenditori, sono nel Sud molteplici e ben noti: mancano o sono deboli le infrastrutture, specie quelle a rete (un esempio: l'anno scorso le interruzioni di corrente elettrica sono durate al Sud in media più di due-tre volte che al Nord); i rapporti di lavoro sono regolamentati in maniera alquanto uniforme sul territorio nazionale e tengono dunque poco in considerazione i caratteri specifici dei mercati locali del lavoro; le amministrazioni pubbliche sono poco amichevoli verso le imprese gravandole di adempimenti lenti e costosi; la formazione scolastica e professionale è dappertutto carente; le regole della convivenza civile sono poco rispettate ed è carente l'enforcement delle leggi e dei contratti, anche perché sono carenti gli organici della magistratura, soprattutto di quella civile.
Rimuovere o attenuare questi vincoli è condizione necessaria (ma non sufficiente) per uno sviluppo diffuso in tutte le regioni meridionali. Gli interventi di bonifica e di rafforzamento del contesto territoriale vanno perciò accompagnati con misure dirette a risolvere anche problemi specifici di alcune aree. Questo è lo spirito della programmazione negoziata che vuole mobilitare risorse latenti di impresa, di lavoro, di capacità professionali, risorse che da sole non riescono ad esprimersi compiutamente.
In questa direzione andranno anche gli interventi di "Sviluppo Italia", che opererà come struttura di accompagnamento (non di sostituzione) delle amministrazioni pubbliche centrali e locali, come agenzia di ausilio alla progettazione per gli organismi di sviluppo territoriale, di sostegno alle imprese perché siano presenti su più larghi mercati.
2) Incentivi automatici, oppure incentivi discrezionali? E' un'altra alternativa poco realistica. Il Sud ha bisogno degli uni e degli altri. Gli incentivi automatici, come quelli della legge di maggiore successo ed efficacia (la legge n. 488 del 1992), servono e sono perciò richiesti dalle imprese ben strutturate, che possono ragionevolmente esibire parametri soddisfacenti per l'accesso a questi incentivi - come un adeguato rapporto tra capitale proprio e ammontare dei nuovi investimenti o una previsione fondata di aumento degli addetti. Ma le imprese nascenti o in via di affermazione possono meglio giovarsi di agevolazioni concesse dopo rigorose istruttorie sul business plan, sulle prospettive di crescita, sulla consistenza e professionalità degli aspiranti imprenditori, come mostrano le esperienze soddisfacenti compiute dalla Società Ig per l'imprenditorialità giovanile e dalla Spi. Queste società pubbliche hanno amministrato con successo sia incentivi finanziari (contributi in conto capitale e credito agevolato) sia incentivi reali (tutoraggio e formazione dei nuovi imprenditori; aree attrezzate per l'insediamento di imprese nascenti; consulenza gestione aziendale).
3) Localismo oppure internazionalizzazione? Circola nel Mezzogiorno una versione compiaciuta e perciò, a nostro avviso, riduttiva dello sviluppo locale, che ci appare inadeguata in questi tempi di mercati sempre più interdipendenti. Come è noto, il pendolo delle politiche di sviluppo da tempo ha abbandonato l'approccio detto top down (che dall'alto procede verso il basso), per scegliere l'approccio contrario, quello cosiddetto bottom up (che disegna gli interventi a livello locale e ne chiede poi il sostegno alle amministrazioni centrali). In questa oscillazione hanno pesato le cocenti delusioni dovute a una politica industriale dirigista che ha seminato il Sud delle spoglie di grandi imprese pubbliche decotte. Tuttavia, una cosa è valorizzare le energie locali, altro è chiuderle in un recinto bloccato. Quanti vorrebbero evitare oggi le suggestioni di apporti esterni risolutivi per lo sviluppo meridionale, di interventi miracolosi calati dall'alto, rischiano di gettar via il bambino con l'acqua sporca. Vogliamo dire che per il futuro dell'economia meridionale non va sottovalutato il contributo di capitali e di capacità imprenditoriali provenienti dal Nord d'Italia e dal resto del mondo. Non si tratta di ripercorrere le strade già battute. Si tratta invece di facilitare la cooperazione tra imprese locali e imprese esterne, di favorire insediamenti di imprese anche internazionali che non risultino estranei al tessuto produttivo locale. Si tratta insomma di agire per innesti piuttosto che per sovrapposizioni. Gli investimenti imprenditoriali che possono essere veicolati dall'esterno verso le regioni meridionali, se bene innestati nello sviluppo locale, possono dare buoni risultati: possono contribuire a diffondere nell'area meridionale conoscenze, metodi di gestione, tecnologie più avanzate; possono alimentare sub-forniture di committenti più esigenti, rivolte agli imprenditori meridionali; possono infittire il tessuto delle imprese locali; possono accrescere direttamente e indirettamente la capacità di esportazione del Mezzogiorno.
La combinazione locale/globale permette infine di evitare il rischio delle cosiddette strategie di inseguimento, secondo le quali una regione in via di sviluppo dovrebbe replicare con un ritardo temporale la specializzazione produttiva delle regioni più avanzate.
C'è un'immagine efficace, ripetuta fino a ieri soltanto dagli economisti asiatici, l'immagine dello stormo di anatre: le anatre più esperte guidano lo stormo, quelle più giovani lo chiudono, salvo prendere il posto delle capofila quando si saranno irrobustite, e intanto lo stormo si accresce in coda di nuove anatre emergenti. E' un'immagine suggestiva, ma trascura il fatto che non sempre le anatre giovani riescono a tenere il passo con quelle più esperte, specie quando lo stormo incappa in una bufera.


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