Il sapere come ricchezza




Lester Thurow
Premio Nobel per l'Economia



Apulia Dopo quella della macchina a vapore, che ha creato l'industria di massa spostando la gente dalle campagne alle città, e dopo l'elettrificazione, unita all'utilizzo della ricerca e sviluppo in modo sistematico nell'industria (punto di forza dei tedeschi), ora siamo alla terza rivoluzione industriale, che non è quella dell'informazione, come alcuni sostengono, semplificando, ma della conoscenza, legata ai computer (hardware e software), all'elettronica, alla robotica, alle biotecnologie.
E che si tratti di vera e propria rivoluzione lo confermano due esempi: il primo è che nel 2010 metà dei grandi magazzini avranno chiuso, piegati dal commercio elettronico. Il secondo è una curiosità, ma molto indicativa: nel 1996 Bill Gates ha superato in termini di ricchezza il Sultano del Brunei.
E questa è una data molto importante. Esemplifica il fatto che nel nuovo ordine economico la terra, il capitale, i palazzi, le risorse naturali contano poco rispetto agli aspetti immateriali della conoscenza. Negli Stati Uniti nel 1970 metà delle grandi fortune era ereditata, un quarto era nel settore immobiliare e un quarto era legata al settore petrolifero. Ora tutte le grandi fortune sono legate all'economia della conoscenza e gli sceicchi contano sempre meno.
L'economia della conoscenza conta enormemente. Perché al suo esterno modifica anche l'evoluzione delle industrie tradizionali. Inoltre interagisce al proprio interno: il progetto Genoma, nella genetica, doveva essere pronto nel 2006; ora è quasi giunto in porto grazie a strumenti di screening elettronici sempre più potenti. Non solo, ma settori come le biotecnologie, per effetto della loro accelerazione, modificano i nostri atteggiamenti nel senso più profondo.
E pongono anche problemi alla radice della nostra etica cristiana, perché oggi c'è la possibilità di raddrizzare qualcosa che Dio ha creato in modo imperfetto. Si possono correggere handicap fisici. Si tratta di cose che vanno bene a tutti, perché non è questione solo di curare chi è malato, ma di migliorare chi è già sano. E' vero che per molti si tratta di tremende questioni sul piano morale. Ci troviamo di fronte alla necessità di ripensare la natura della nostra natura umana, perché ormai parte di essa è finita sotto il nostro controllo.
In tutto questo, l'Europa ha tanti vantaggi: un forte tasso di risparmio, forti investimenti, ottime infrastrutture, manodopera qualificata. Se però uno vuole mettere in piedi una nuova azienda, diciamo in Germania, deve garantire ai dipendenti nove settimane di vacanze pagate. Ciò è scoraggiante. In America non esistono vacanze pagate. Torniamo al tema delle biotecnologie e dei cibi geneticamente modificati, oggetto di una dura campagna denigratoria in Gran Bretagna. Bene, si tratta di ipocrisie, perché fin dall'antichità l'uomo ha interferito nella genetica, sia vegetale, con gli incroci e con gli innesti, sia animale, con le razze equine e canine, per fare due esempi. Ora c'è un grande terrore. Pare di veder ripetere la paura dei mostri marini che imperversava nel Medioevo.
Intanto l'America va avanti in questo settore, con quindici anni di vantaggio, e in Gran Bretagna, dove esiste la più grande industria europea di biotecnologie, le aziende che non saltano sono costrette ad andare negli Stati Uniti. Perché nel Regno Unito non hanno permessi o non trovano consumatori disposti a rischiare.
E intraprendere vuol dire proprio rischiare. Come le esplorazioni dell'antichità. Per scoprire nuove terre vi era una percentuale altissima di marinai che perivano.
E' una questione di atteggiamenti, e a proposito posso fare tre esempi. Posto che su dieci aziende avviate nove falliscono, è fondamentale l'atteggiamento che la società ha nei confronti dei perdenti. In Giappone chi fallisce si suicida, e, se non ha il coraggio di farlo, non troverà mai più un lavoro o dei crediti. In Francia, per citare l'Europa, non ci si suicida, ma lo stesso il mancato imprenditore faticherà a iniziare un nuovo lavoro. In America, la stessa persona godrà della stima della società perché ci ha provato, ha imparato e dunque avrà più esperienza per ricominciare. L'America è una nazione di immigrati che dà opportunità a tutti. Pensiamo solo agli italiani del Sud, che nella loro patria erano ai margini della società, mentre negli Usa hanno avuto un grandissimo successo. In Argentina, dove si sono trasferiti molti immigrati dell'Italia del Nord, oppure persone più benestanti, è successo poco o nulla.
L'imprenditorialità in Italia è forte, ma esiste un mercato del lavoro poco flessibile, come esiste un mercato industriale poco flessibile. Nessuna industria è leader tecnologico in un settore. Devono esserci maggiori possibilità di ristrutturare per le grandi industrie. Quelle piccole restano tali per evitare di entrare nel mirino del governo e delle conseguenti pastoie burocratiche. La conseguenza è che le piccole imprese non diventano grandi in tempi rapidi, come dovrebbero. Colossi come Microsoft o Intel sono stati creati in un ventennio. Molti altri grandi gruppi si sono imposti in un arco di cinque-sei anni.
Eppure, nessuno nel mondo anglosassone avrà la preparazione che dà una maturità in Germania, in Francia o in Italia. Poi però si va al college, e poi ancora ci si specializza. E arrivano le dolenti note. Dove, in Europa, si può prendere un buon Phd in microbiologia? Si può obiettare che non tutto va bene anche negli Usa. Ed è vero, perché il sistema americano educa bene solo la fascia alta. Il Giappone è forse il migliore educatore della fascia più bassa della società. L'Europa ha anch'essa buoni risultati. In America la fascia alta del 15-20 per cento è molto istruita e ha vissuto un decennio da leoni. Il 60 per cento della fascia più bassa ha visto tra il '90 e il '97 un deterioramento dei salari reali del 5 per cento.
La nuova rivoluzione, quella del sapere, crea dunque disuguaglianze. Si tratta di un sommovimento profondamente inegualitario. Le altre due rivoluzioni hanno teso infatti a livellare la società. Perfino a livello di nazioni si è assistito a una crescente convergenza, come ad esempio tra il Sud e il Nord d'Europa. Ora tutto cambia, a livello di Paesi, di imprese e di persone. Dei primi abbiamo parlato. Quanto alle aziende, è in corso una grande trasformazione. Nelle industrie tradizionali vi è questo dilemma: o si è attori globali o si è di nicchia. In mezzo ci sono pochi posti a sedere. Nelle banche, ad esempio, o si è colossi come Goldman Sachs o ci si accomoda in una nicchia super-specializzata nel settore dei fondi o dei derivati. Nell'auto è peggio: si può solo essere globali, e c'è posto solo per sei gruppi. La corsa alla concentrazione prosegue implacabile.
Per quel che riguarda le persone, c'è il rischio che la crescita delle disuguaglianze porti a situazioni calde o "rivoluzionarie". Ma il problema non è economico, bensì politico. E in democrazia, fortunatamente, ognuno pesa per un voto. Nella nuova economia, i governi hanno il compito di rieducare, riqualificare, istruire la manodopera per reinserirla. In Europa su questo fronte ci sono più vantaggi che in America. C'è chi sostiene che intanto il malumore potrebbe aumentare in modo intollerabile. Il che è, nello stesso tempo, vero e non vero.
Marx parlava dell'esercito di riserva dei disoccupati di cui godeva il capitalismo. Oggi io parlerei dell'esercito di riserva dei semi-occupati. Prendiamo gli Stati Uniti. Il settore dei servizi è un serbatoio formidabile di lavori a basso livello, alcuni dei quali pagati meno del sussidio di disoccupazione in Francia. Ma dà lavoro. Inoltre, le donne sono entrate sul mercato con lavori part-time e arrotondano lo stipendio dei mariti, per cui, alla fine, il nucleo familiare guadagna come, se non più di prima. L'alta tecnologia comprime i prezzi, ma lo stesso accade nel mondo dei servizi, che è ormai sempre più vasto e comprende categorie che vanno - ai due estremi - dal banchiere d'affari al lavavetri. Capita in America che se manca mano d'opera in un certo settore, invece di alzare i salari finisce per calare la qualità del servizio...
Certo, si tratta di una fase di transizione, di cambiamento. Che porta anche miglioramenti alla qualità della vita. Le biotecnologie cureranno il cancro. L'alta tecnologia ha portato i telefonini, i videoregistratori, i computer, ormai alla portata di molti. E' vero che si creano disparità. Bill Gates ha una fortuna che equivale alla somma annua dei redditi dei 110 milioni di americani della fascia bassa della società. Non si possono però avere tutte e due le cose. Si tratta, va ribadito, di una fase di transizione, che crea ogni rivoluzione industriale. Se durerà venti-trent'anni, come le altre, abbiamo ancora un decennio di fronte.
E di fronte abbiamo anche il leggendario Internet. Cambia la vita. Guai a chi non è preparato. Guai a chi non sa, o non vuol sapere...


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