COMI, BODINI, PAGANO




Luigi Scorrano



Chi ha letto I quaderni di Malte Laurids Brigge di Rainer Maria Rilke ricorda forse una scena particolare. Il protagonista del libro - un romanzo/non romanzo - è a Parigi. Uno dei luoghi ch'egli frequenta è la Bibliothèque Nationale. Malte racconta la sua esperienza di lettore tra lettori silenziosi. Ma quel che maggiormente attira l'attenzione su questa pagina non è l'atmosfera ovattata, avvolta in un silenzio quasi sacrale, della sala di lettura di una grande biblioteca; non la rappresentazione di un rito celebrato da lettori/sacerdoti solitari, ma la scelta di Malte. Conviene tornare su un passo dei Quaderni; esso può fungere, e si vedrà perché, come giusta introduzione al volume di Bonea su Comi, Bodini e Pagano.
Dice Malte, nel libro di Rilke:

Io seggo qui e leggo un poeta. Ci sono molte persone nella sala, ma uno non se ne accorge. Sono nei libri. Talvolta si muovono nei fogli, come uomini che dormono e si rigirano tra un sogno e l'altro. Oh, ma come si sta bene fra uomini che leggono! Perché non sono sempre così? Puoi avvicinarti a uno e toccarlo leggermente: non si accorge di nulla. E se alzandoti urti un poco il vicino e ti scusi, accenna col capo verso di te e non ti vede, e i suoi capelli sono come i capelli di un dormiente. Quanto fa bene questo. E io seggo qui e ho un poeta. Com'è il destino! Ci sono forse nella sala trecento persone che leggono; ma è impossibile che ognuno di loro abbia un poeta. (Dio sa che cos'hanno.) Non ci sono trecento poeti. Ma vedi quale destino, io, forse il più miserabile tra questi lettori, straniero: io ho un poeta.
[ ... ] Non sapete che cosa sia un poeta? (1)

"Io sono qui e leggo un poeta." E' un segno di distinzione. Quasi una forma di privilegio. Nella sala, osserva Malte, ci sono forse trecento persone che leggono, "ma è impossibile che ognuno di loro abbia un poeta" perché "non ci sono trecento poeti." Trecento, un numero troppo grande! I poeti sono rari, ed ecco perché colui che legge un poeta si sente detentore di una sorta di privilegio.
"Non ci sono trecento poeti." Malte, per sua fortuna, non avrà mai fatto l'esperienza di chi, partecipe di una commissione di qualche concorso di poesia, si vede precipitare addosso una spaventosa cascata di versi dai quali la poesia è, molto spesso, assente.
Ma c'è un altro aspetto della situazione di Malte Laurids Brigge da prendere in considerazione. "Io seggo qui e leggo un poeta." Scartata l'ipotesi che possano esistere trecento poeti, il pensiero ritorna su quella affermazione dell'io privilegiato che legge un poeta: io: e qui sembra voler dire: io solo. Questo conferisce al privilegiato lettore di un poeta una condizione di aristocraticità, di separazione dagli altri trecento lettori che solo Dio sa che cosa leggano. Certo, non un poeta.
Non è un pensiero che s'insinui di traverso, ma è quasi una dichiarazione sfacciata: soltanto uno s'innalza sugli altri, e solo quell'uno può leggere un poeta. Il che conferma che leggere un poeta o, se si vuole, leggere poesia è operazione aristocratica, negata al volgo dei lettori, dei comuni lettori, che certamente leggono altro: Dio sa che cosa; ma non un poeta.
Dal punto di vista del lettore che si chiama Malte Laurids Brigge è possibile solo ad esseri privilegiati, a lettori aristocratici leggere un poeta. Questo accade non solo perché la poesia è un genere (o un prodotto) aristocratico, ma anche perché essa sembra presupporre nel lettore lo stesso livello di macerata esperienza che è, o sembra essere, intrinseco alla realizzazione stessa della poesia. Scrivere versi, infatti, non è sufficiente a far poesia. In un altro passo dello stesso libro di Rilke si legge:

Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino, ecc. (2)

Conclusione, provvisoria: se la poesia è il distillato raro e prezioso dell'esperienza di un'intera vita essa non può avere come destinatari se non spiriti eletti, esseri di rara sensibilità e competenza e i soli capaci -e si vorrebbe dire, degni - di avvicinarvisi, di celebrare il rito della lettura. E si potrà tener conto che, a sottolineare la "diversità" del lettore di poesia, Malte ricorda di essere "straniero": il lettore di poesia è "straniero" a fronte degli altri trecento lettori.
Da una convinzione diametralmente opposta è di sicuro partito Ennio Bonea nel momento in cui ha prima progettato e poi realizzato l'antologia che si intitola a tre poeti salentini: Comi, Bodini, Pagano.
Bonea è convinto, innanzitutto, che la poesia non è un privilegio: né del lettore, né - pare di poter dire -dell'autore, di colui che le dà vita (o, se si preferisce, di colui che la produce). Costruendo questa antologia, Bonea non si è rivolto, prima col pensiero, poi - di fatto - con il volume realizzato, ad un lettore privilegiato, aristocratico, solitario. Ha avuto in mente, se mai, un pubblico di non-lettori abituali, o di lettori potenziali da trasformare in un pubblico di lettori effettivi.
Un'antologia non è, in sé, qualcosa di eccezionale o di nuovo. Antologie se ne sono fabbricate da quando esiste la pratica letteraria. Il Novecento ne è pieno (e non si parla di quelle scolastiche, che hanno finalità pratica sul piano della didattica, ma delle antologie che si rivolgono ad un pubblico non limitato alla scuola ma più ampio). Un'antologia ulteriore era necessaria? Come si giustifica?
Due domande che costituiscono un punto di partenza. Questa antologia era necessaria e si giustifica perfettamente. Intanto si badi ai tre nomi in copertina, che sono quelli degli autori antologizzati: Comi, Bodini, Pagano. Sono tre poeti che compaiono raramente nelle antologie del Novecento. Non ci sono nei due "Meridiani" mondadoriani che della poesia italiana del Novecento sembrano voler fornire il quadro più significativo. Ci si riferisce ai due "meridiani" intitolati rispettivamente Poeti italiani del Novecento, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Milano, Mondadori, 1978; e Poeti italiani del secondo Novecento 1945-1995, a cura di Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi, Milano, Mondadori, 1996. Inutile andare a cercarvi i nomi di Comi, Bodini, Pagano; non ci sono.
Ora, non si vuole disputare sui criteri di scelta delle antologie, sui motivi delle inclusioni o delle esclusioni; si vuole semplicemente registrare un'assenza, prendere atto che nessuno di questi tre poeti è presente in queste antologie. E se è scontato che non ci sia Pagano, per la scarsissima circolazione che la sua poesia ha avuto e, oltretutto, in una stagione non recentissima, dell'assenza di Bodini, almeno, ci si dovrebbe dolere (come, più largamente, per la vistosa assenza, o per la scarsissima presenza di rappresentanti della poesia del Sud). Comi è presente, però, nell'antologia che Garzanti ha dedicato al Novecento nel 1980.
Si sono ricordate queste antologie pubblicate da grandi case editrici; altre se ne potrebbero chiamare in causa. Che cosa giustifica l'assenza di questi poeti, Comi Bodini Pagano, da quelle antologie? Sono forse, questi, poeti di non grande respiro, chiusi in un orizzonte molto angusto sia per quel che riguarda la loro capacità di dar voce, insieme all'esperienza personale, a quella dei propri contemporanei? Leggendoli si capisce che le cose non stanno proprio in questo modo; che questi poeti avevano (hanno) una loro cifra originale di interpretazione della realtà. E avevano alle spalle, direttamente sperimentata, una grande e fervida cultura europea. L'antologia di Bonea costituisce, dunque, nei loro confronti, un atto di giustizia letteraria.
Questi poeti occorre conoscerli, leggerli attentamente, cogliere nei loro versi quella parte di noi (di noi salentini vorrei dire, se questo non rischiasse di apparire limitante), quella parte di noi che essi hanno interpretato ed espresso anche per noi.
Si faccia attenzione alla struttura di questa antologia di Bonea. Ci si lasci guidare dal sottotitolo esplicativo: proposte di lettura. Semplici, ma significative, proposte. La scelta dei testi è quella che è sembrata più adatta, per il curatore, a dare un'idea abbastanza precisa della fisionomia poetica dei tre autori: una scelta personale, ma con uno sforzo di "oggettività". E poi, le proposte sono fatte soprattutto per dare spazio al lettore, per lasciargli la possibilità di una - in qualche modo - libera iniziativa.
Il lettore di Bonea, valga sottolineare questo, non è il Malte rilkiano, non è il lettore privilegiato che celebra il rito della lettura poetica chiuso nel bozzolo di luce della sua aristocratica separatezza, e del suo essere "straniero". Tutt'altro. Il lettore di Bonea, il lettore al quale Bonea pensa e del quale si preoccupa, è il lettore comune., un lettore non specialista. Ed ecco, dunque, proprio nelle pagine dedicate a Comi, emergere il profilo di questo destinatario e, con esso, il senso dell'intera operazione di Bonea.
Scrive, questi, prendendo al volo, perché gli fa buon gioco, una citazione di Carlo Bo, secondo il quale "Comi [ ... ] resta un poeta da scoprire per i lettori comuni":

Questo richiamo tardivo, ma autorevole, al lettore comune, è proprio la motivazione di questa breve antologia e di questa lunga premessa al mannello di poesie che non ho osato commentare, non solo perché seguace della raccomandazione di Leo Spitzer, il maestro della critica stilistica, di spiegare il poeta con se stesso, ma per il consiglio di leggere e rileggere un testo per trovare la chiave che il poeta ha posto nei suoi versi, e anche perché il lettore comune non sia limitato o fuorviato da un commento pregiudiziale. (3)

Questa buona intenzione di lasciare che il lettore comune se la sbrighi da sé leggendo e rileggendo non è attuata fino in fondo, neanche nelle pagine su Comi; ma del resto è naturale che nel discorso, anche attraverso la ricostruzione di una trama di storia della critica dei tre poeti, emergano sia delle interpretazioni, sia delle scelte di gusto dichiarate o più o meno direttamente messe in campo. Ma di questo più avanti.
Quando Bonea parla di Pagano, l'appello non è rivolto tanto ai lettori comuni quanto ai critici. Anche in questo caso, nel caso di Pagano si vuol dire, Bonea si appoggia a una dichiarazione autorevole di Mario Marti, che indicava dei precisi percorsi interpretativi; che indirizzava all'esame linguistico, stilistico e metrico della poesia di Pagano. Bonea osserva:

... ma perché questo lavoro possa essere compiuto, è necessario che il poeta Pagano sia letto. Ripeto letto e poi analizzato, se i critici che lo leggeranno lo riterranno meritevole di attenzione e di analisi; senza criminalizzarli per ... astensionismo. (4)

Per leggere Pagano, però, occorre che Pagano sia pubblicato (o ripubblicato) e Bonea si chiede: "Ma quale editore oserà l'azzardo di editare i circa ottomila versi di Pagano?" E aggiunge: "Ecco allora, una delle ragioni che mi hanno provocato a presentare questa ristretta scelta antologica" (p. 230). Si può osservare che un editore non deve necessariamente ripubblicare in un unico volume gli ottomila versi di Pagano: si potrebbe procedere per singole raccolte.
Dei tre poeti antologizzati, Bodini è quello di cui, anche criticamente, si è parlato di più. Ma quanto alla conoscenza della sua poesia le cose non vanno molto meglio che per gli altri due poeti. Se non è da tutti affrontare il notevole volume dell'Opera poetica di Comi pubblicato da Longo a Ravenna nel 1977 a cura di Donato Valli, poteva essere da molti, soprattutto nella diffusa "classe dei colti", procurarsi agevolmente se non altro il pregevolissimo "Oscar" Mondadori con tutte le poesie di Bodini: (5) tutto Bodini poeta a prezzo modico in una collezione popolare diffusissima. Questo non si è verificato; e l'Oscar mondadoriano, curato da Oreste Macrì con l'ammirevole competenza e passione che egli portava nel suo mestiere, ha conosciuto la sorte del macero; ed è, poi, risorto per attenzione della casa editrice Besa: e, si spera, con miglior fortuna.
Bonea mette in luce i dati contraddittori della "fortuna" di Bodini. La scuola nel Salento è stata la grande assente nell'opera di conoscenza del poeta: la scoperta tanti giovani l'hanno fatta approdando all'università:

Studenti universitari, ignari, per colpa dei loro professori di scuola media, della sua esistenza per la lettura imposta dagli esami da sostenere, lo hanno scoperto e ammirato; ma egli non è riletto, o addirittura letto dagli scotellariani "tre o quattro o cinque papi della nostra critica letteraria". (6)

Bodini è vittima non solo della relativa ignoranza dei professori di scuola media, ma anche di quanti sulla figura del poeta hanno costruito ciò che non sempre, o quasi mai, giova alla conoscenza o all'approfondimento della sua poesia. Osserva Bonea:

Ci sono nel Salento, scuole a lui intestate; sono frequenti convegni, celebrazioni, letture pubbliche, rappresentazioni teatrali che hanno per tema l'uomo e la sua poesia, ridotta talvolta a declamazione sociale, a pittoresca sintesi di vizi e costumi irrisi nella loro persistenza, perfino come magnificazione di un folklore rimasto solo nella memoria. (7)

Insomma, operazioni nel nome di Bodini che Finiscono per nuocere alla conoscenza o all'approfondimento della poesia bodiniana a riportare questa poesia in un angusto orizzonte localistico o aneddotico tale da stravolgerne fondamentalmente il senso.
Il quadro d'insieme non è molto confortante, ma non è nemmeno così sconfortante come potrebbe apparire dal semplice rilievo delle circostanze negative messe in luce nelle pagine di Bonea. Vi si registra un dibattito critico in corso, vi si dà conto di quanto si è fatto, vi si prospetta quel che si potrebbe fare. La denuncia delle inerzie vuole smuovere le acque ferme della disattenzione, ma la registrazione dei lavori realizzati o di quelli in corso rappresenta un'apertura di credito alla speranza di un cambiamento, al profilarsi di un'attenzione diversa verso questi uomini che con la loro opera letteraria hanno contribuito a dare alla fisionomia originale salentina tratti europei - e questo è un dato sul quale è giusto insistere per liberare la poesia di Comi Bodini Pagano da troppo facili sospetti di regionalismi e municipalismi angusti ed angustianti. La stessa antologia di Bonea porta un contributo speciale, di mediazione, alla conoscenza dei tre poeti. Speciale, perché persegue - e raggiunge - l'intento di darci dei ritratti a tutto tondo delle personalità poetiche esaminate; di mediazione, perché getta un ponte verso il lettore comune e lo incoraggia ad accostarsi senza timori reverenziali (e paralizzanti) a Comi, Bodini, Pagano, i quali, accostati con fiducia, presentano un volto niente affatto arcigno al lettore, pur senza essere poeti popolari in senso riduttivo o deteriore.
In questi ritratti a tutto tondo, Bonea ha proceduto fornendo la ricostruzione del profilo biografico, dell'iter poetico, del dibattito critico: tutto immerso nel clima culturale del passaggio tra primo e secondo Novecento (si terrà conto che Comi poeta esordisce nel 1912 e che la "seconda stagione" della sua poesia va dal 1946 al 1968; che Bodini, le cui raccolte poetiche cominciano ad apparire agli inizi degli anni Cinquanta [La luna dei Borboni, Milano, Edizioni della Meridiana, è del 1952], aveva però cominciato a scrivere negli anni trenta; che Pagano è, allo stato attuale delle conoscenze, poco sicuramente databile ai suoi esordi - gli anni Quaranta genericamente - e che le sue raccolte poetiche cominciano ad apparire solo nel 1958 con Calligrafia astronautica).
Della biografia dei tre autori, ricostruita per dati essenziali, appaiono privilegiati alcuni tratti caratterizzanti. Dei tre poeti, anche sul piano dell'esperienza esistenziale, deve, a Bonea, essere riuscito più imprendibile Girolamo Comi; o deve averlo sentito più lontano, per quel suo versante mistico che sembra appartenere ad un'esperienza fuori della storia e della realtà comune. Per questo Bonea è andato a cercare il profilo umano di Comi in un libro di testimonianze, di interviste, pubblicato qualche anno fa: Girolamo Comi uomo di ogni giorno, curato da Carmelo Indino ed Enrico Minerva e pubblicato nel 1990 dalle edizioni di "Nuovi Orientamenti Oggi" di Gallipoli.
Da quelle testimonianze, afferma Bonea, emerge un Comi "nella sua umanità autentica". Là Bonea vede un Comi che l'opera letteraria non rivela. Scrive, infatti:

Da queste interviste affiora una personalità che non emerge dagli scritti in prosa e in poesia, non solo, ma non si sospetta possa convivere, nella mistica razionale, che pure è una contraddizione. La sua è una umanità aperta all'altro, senza un classismo congenito ed inavvertito in un rampollo di aristocrazia campagnola; la fortuna finanziaria venutagli dalla famiglia, non lo rese superbo e distaccato dai paesani rozzi ed incolti, ma non per questo respinti o addirittura evitati. (8)

Questa apertura, questa disposizione umana avrà il suo esatto pendant quando Comi, ridotto in povertà, troverà sostegno, almeno in parte, proprio in quei paesani rozzi ed incolti che aveva accolto ed ascoltato sempre con sincera simpatia.
Può sembrare un raccontino edificante; e, certo, non bisogna calcare troppo la mano per evitare di scivolare, insensibilmente ma inesorabilmente, nell'agiografia. Tutto può servire per capire Comi uomo e poeta, ma occorre evitare il rischio di ridurne l'immagine a quella di un santino. Se mai, un rischio più evidente è visibile nel proporre un Comi "uno e due", un Comi bifronte, la cui poesia sia distaccata dalla vita o risulti troppo diversa dalla vita se confrontata con i gesti, le parole, le disposizioni, gli atteggiamenti, i tic, le piccole manie, i tratti di cordialità della vita quotidiana.
Dal puntuale tracciato biografico del Bodini di Bonea si può estrapolare il tratto riassuntivo più ricco di implicazioni esistenziali e letterarie. Scrive Bonea, ricordando la chiamata di Bodini all'Università degli Studi di Bari, artefice Mario Sansone, per assumere la cattedra di Letteratura spagnola:

Bodini aveva compreso, nella esperienza fatta da Firenze in poi, dopo aver acquisita e superata la lezione ermetica della poesia "pura", che il poeta, l'intellettuale non poteva essere indifferente, ermeticamente, alla realtà storico-sociale del proprio tempo; ma assorbì la lezione del neo-realismo senza impegnarsi nella militanza e, dopo l'esperienza degli anni ispano-salentini, orientò al gongorismo estetico e formale la istintiva tendenza al barocco e innestò, sulla naturale avversione per la poesia cantata, melodica, l'artifizio iperbolico e l'incuria per la coerenza logica nelle immagini scattate "automaticamente", come nei poeti spagnoli della "generazione del '27" ch'egli chiamò surrealisti. (9)

C'è, dentro, il percorso dell'uomo e dell'intellettuale Bodini: lontane, o superate, le accensioni futuristiche, doppiato l'ermetismo, rinverdiva una volontà di partecipazione alla vita che non era collocabile solo sul piano letterario; e se la poesia procedeva verso esiti sempre più complessi, pur nella apparente linearità del dettato, la realtà storica esigeva che si esplorassero le sue ragioni.
In un altro passo della biografia di Bodini, Bonea sintetizza un percorso che può lasciare incerti, teso com'è tra due estremi profondamente dissimili. Ma chi guardi bene, come Bonea ha fatto, ne coglie l'intima coerenza. E valga almeno riportare qualche altra osservazione:

L'itinerario della poesia bodiniana parte dalla civiltà contadina, con le raccolte La luna [dei Borboni] e Dopo la luna e si conclude con La civiltà industriale; un tragitto che potrebbe apparire incoerente.
Nel cammino, però, restò legato sempre alla concretezza del suo esistere e raccolse dalle situazioni-circo stanze contingenti, il dato da tradurre simbolicamente in segno artistico.
La sua esistenza, fino al primo "espatrio" (1937) si era poggiata sulla realtà contadina fatta di padroni e di schiavi, ambedue immobili; si distaccò da essa definitivamente nel 1960; ma la rivalutò, contrapposta alla civiltà industriale dai falsi aspetti del benessere consumistico, con la prospezione di un futuro privo di ogni valore. (10)

E', questo di Bodini, un ritratto diverso, e quasi contrapposto, anche se nulla di esplicito affiora in questo senso, a quello di un Comi, per ritrovare l'umanità del quale bisogna, in un certo senso, uscire dall'opera letteraria. Qui la partecipazione alla vita comune non è frutto di innata cordialità, di spontanea simpatia per il mondo degli umili; qui, la partecipazione è senso di necessità di un impegno, volontà di intervento diretto sulla realtà e di una pungente osservazione critica della realtà stessa (come, ad esempio, dicono al lettore le pagine "civili" raccolte da Fabio Grassi nel volume I fiori e le spade pubblicato a Lecce da Milella nel 1984).
Si è voluto accennare soltanto, con qualche rapido prelievo, a passaggi significativi del saggio di Bonea, ricchissimo di indicazioni e di puntualizzazioni; né ci si sofferma su tutto partitamente perché ilo lettore "potenziale", il "lettore comune" di cui s'è detto prima e al quale si rivolge questo libro, non pensi d'aver saputo tutto senza leggere il libro.
Le linee della biografia di Pagano potrebbero essere, nelle pagine di Bonea, quelle maggiormente adatte ad attirare l'interesse, o la curiosità, del lettore.
Estroso, esuberante, non privo di un certo gusto provinciale della posa o della stranezza, non alieno da atteggiamenti teatrali (un po' da teatro Grand-Guignol: orrido ed orripilante), ma anche pronto a rovesciare il tragico in farsesco. Una mutabilità di atteggiamenti e una esasperazione degli stessi al cui fondo c'era, forse, la necessità di una decisa autoaffermazione da realizzare anche in forme di esagerazione, di rottura. Per questo è rimasto nella memoria di coloro che furono suoi amici di gioventù un profilo più schiacciato su plateali dati esteriori che non sulle qualità profonde del poeta. Scrive Bonea, riassumendo dati e testimonianze:

Questo brano [un brano di Francesco Lala riportato prima] sulla prima giovinezza di Pagano riflette gli entusiasmi passeggeri e intermittenti che lo esaltavano, la forma tragica o umoristica o farsesca, della sua colloquialità: dati esteriori del suo temperamento, coi suoi chiassosi, non di rado rissosi, rapporti, in qualunque discussione: politica, letteraria, teatrale, perfino di banale argomento. (11)

C'è, e forse è solo un'impressione, una serie di tratti che sono, sì, del carattere di Pagano, ma che sono anche il retaggio di una dimensione di "paese": e, certo, tipi alla Pagano, con quei tratti esteriori, tutti hanno potuto conoscerne; solo che in quelli che si son conosciuti non si sa, poi, quanti poeti sia stato possibile scoprire. Anche la renitenza di Pagano a staccarsi dal luogo natale è un tratto che si può riferire a quella "paesanità" certa solo del luogo in cui consiste e in cui il desiderio o il sogno di un mondo più grande e diverso combatte con l'oscuro timore di dover misurarsi in prove troppo impegnative, non valutabili con i consueti parametri, e quindi da evitare.
Bastino, per Comi Bodini Pagano, gli sprazzi biografici che si son ricavati dalle pagine di Bonea per cogliere almeno qualche dato importante del carattere dei tre poeti. Il lettore, poi, troverà nel libro il continuato tessuto della narrazione e delle osservazioni, l'intreccio dei grandi sogni e delle piccole passioni quotidiane; e anche il fervoroso, nonostante arretratezze e ritardi, muoversi della provincia alla costruzione di una sua immagine novecentesca. E dentro questo fervore c'è la volontà del Salento, dei salentini, di sfuggire all'isolamento, di rompere le barriere della perifericità, di aprire le finestre all'aria nuova che circola a partire dai primi anni del secondo dopoguerra. Il quadro che si ritrova in queste pagine, Bonea, con altra angolazione ed ampiezza, lo ha tracciato nel bilancio critico che apre i suoi volumi di Subregione culturale. Il Salento: (12) volumi che costituiscono una sorta di passaggio obbligato, insieme a studi di Valli e di altri, ma questi di Bonea con un carattere che altri non hanno, di ampia apertura, per chi voglia sapere con sicurezza e ricchezza d'informazione quale sia stata la vicenda culturale del Salento dal secondo dopoguerra ad oggi.
Dei poeti da lui proposti, Comi Bodini Pagano, Bonea non si limita a tracciare un profilo biografico. Intende fornire il profilo critico, pur studiandosi di tener fede all'impegno assunto verso il "lettore comune" di non "interferire" con un proprio commento, con un proprio punto di vista.
Ma c'è un "lettore comune"? ed era possibile al lettore attrezzato Bonea tirarsi completamente fuori dall'impegno di esprimere una sua valutazione critica sull'opera poetica degli autori proposti?
Dichiaratamente guardingo nei confronti di Comi, Bonea lo è molto meno rispetto agli altri due poeti. Anche ad illustrazione di questo aspetto ci si limiterà a degli esempi. Si legga un commento critico a Canto per Eva di Comi:

Non si può parlare di un volume coerente con l'immagine di un poeta mistico; ma felice l'incoerenza che mostra un Comi forse meno Comi [sottolineo il prudente forse], che dà al lettore una poesia forse meno "difficile" [ancora un prudente forse e l'aggettivo difficile tra virgolette], perché più umana ed aderente alla sensibilità contemporanea. In particolare Piccolo idillio ci pone dinanzi [ ... ] una umanità presente e quotidiana ed un Comi che non abbandona l'aureo filone del suo orfismo misticizzante, ma diventa un attuale poeta dell'amore, non certo neostilnovistico ...(13)

E, poco più avanti:

Più concettuale la poesia di Canto per Era, ma sempre, [ ... ] c'è desiderio di dare sfogo all'umanità nella espressione poetica ...(14)

Come si vede, Bonea si compromette - e sarebbe strano se non l'avesse fatto! Chiunque affronti un discorso critico deve "compromettersi" o, come ora è di moda dire, deve "mettersi in gioco"! -; non ci dà un commento "pregiudiziale" che rischi di limitare o fuorviare il lettore comune, ma ci dà una sua linea-guida che il lettore "comune", o il lettore tout court, può sottendere alla propria lettura.
Se mai, il lettore può essere più o meno d'accordo con questa linea-guida. Può riuscire difficile, ad esempio, sottoscrivere le affermazioni di Bonea contenute nei passi citati poco sopra, ma solo perché sembrano profilarvisi delle limitazioni rispetto a quello che la poesia può o non può esprimere, e che sia il tasso di "umanità", inteso però attraverso il filtro di una maggiore o minore "risposta" alla "sensibilità contemporanea" a decidere se la poesia sia stata o meno realizzata.. Nel caso specifico di Comi (e Bonea, chi legge le sue pagine può avvedersene facilmente, lo fa con giusta attenzione) bisogna tener conto della "storia" del poeta, della sua formazione culturale, di quello spazio "misticheggiante", se non si vuole proprio "mistico" di una certa poesia tra Otto e Novecento alla quale Comi è fortemente legato (basterà pensare a uno scrittore come Paul Claudel ma anche a certa letteratura misteriosofica, e poi ai teologi e ai mistici alle cui opere Comi si è abbeverato). E, si vuol dire, non è meno "umano'", come esperienza, il misticismo; meno comune, certamente. Appartiene anch'esso all'umanità del poeta anche se, nel mondo contemporaneo, e, se si vuole, di una contemporaneità fin troppo ritagliata su certi aspetti di vita di questi nostri anni, il misticismo o. più concretamente, l'esperienza mistica può sembrare l'incredibile relitto giunto fino a noi da età sepolte. L'umanità, tutti sappiamo, ha una sorprendente ricchezza di espressioni; se mai siamo stati noi ad impoverirla un poco ritenendola riconoscibile solo in ciò che appartiene ad una comune quotidianità.
Ora sceverare un "Comi meno Comi" che, però, sarebbe più umano, sembra che comporti il rischio non solo di dimidiare una ricca e complessa personalità poetica, ma di sottrarre a Comi una sua cifra caratterizzante e necessaria alla sua poesia tanto quanto la riconosciuta umanità.
Per quanto riguarda Bodini, l'attenzione dell'antologista, senza trascurare i dati, anche tecnici, della costruzione poetica, si appunta su quello che è l'operativo riferimento di fondo sul quale s'impernia saldamente e ruota l'impegno letterario del poeta della Luna (lei Borboni. Scrive Bonea:

Con la "scorciatoia" della poesia che è struggente inchiesta / sulla verità dell'essere, Bodini esprime il concetto che l'uomo, sui campi o nelle officine, è sempre oppresso: dal potere (i Borboni) o dal numero (il denaro di zio Paperone), con l'aggravante, oggi, della bellezza perduta. [ ... ].
Referente e destinatario del "messaggio" bodiniano, era la società meridionale nella sua struttura dicotomica: gli egemoni e i subordinati; due mondi opposti che convivono a due livelli: le case di calce da cui escono gli uomini come numeri dai dadi, i palazzi con gli stemmi dei nobili; ambedue legati alla terra-madre con i suoi ritmi (il tabacco è a seccare), le sue ipoteche (le pietre), la sua legge (lo sfruttamento). (15)

Se questo è il terreno ideologico sul quale sorge, la poesia di Bodini vi corrisponde sul piano formale: poesia nutrita di riflessione non di stimoli emotivi; poesia non descrittiva; che rifugge da una troppo arresa cantabilità; incompresa e sgradita proprio nella sua terra, in quella terra per la quale egli fondamentalmente scriveva.

La sua poesia ha orrore dell'ovvio, non cede alla musicalità, ha la costante della scontentezza che l'ironia fa precipitare in pessimismo, con rari squarci di sereno interiore. [ ... ] Lo scontento è a piani diversi: personale (insoddisfazione di sé e della propria esistenza), politico (per l'inerzia dei salentini di fronte alle situazioni storiche), sociale (per l'ingiustizia impunita). Non poteva incontrare il favore dei ceti umili ai quali non si rivolgeva né lo leggevano; neanche della borghesia, anche colta, che era il precipuo destinatario. (16)

E, sul piano del giudizio storico che si è esercitato su Bodini, Bonea aggiunge:

Quel che mi pare abbia nuociuto a Bodini èla caratterizzazione di poeta del Sud ...(17)

In poche battute efficaci Bonea delinea lo strano destino di questo intellettuale salentino, in polemica aperta con la propria terra. Si ricorderanno, almeno, alcuni versi, come quelli che dicono: "Qui non vorrei morire dove vivere / mi tocca, mio paese, / così sgradito da doverti amare ... ". Bodini, nella trama della sua poesia, riversa il senso amaro di un'incomprensione che si vorrebbe superare, ma al cui superamento si oppongono troppi ostacoli. Una situazione di cui soffre solo chi è avvertito e consapevole, e tanto più s'accanisce nel tentativo di ridare una coscienza ai troppi che trovano più agevoli da battere le vie dei facili successi e degli infiniti accomodamenti. In questo "scarto" è forse il senso "civile" della poesia di Bodini; in questa disposizione morale il terreno sul quale accostarlo ad altre robuste voci della poesia novecentesca.
Il "terzo uomo" della triade poetica antologizzata da Bonea (ma la "triade" non faccia pensare ad obsoleti raggruppamenti della nostra storia letteraria in versione scolastica: Dante Petrarca Boccaccio, Carducci Pascoli D'Annunzio ed altre amene compagnie!), il terzo è Pagano, il meno noto dei tre, degli altri due non meno problematico.
A conforto, ed a comprensione - non si vuol dire a commento - della scelta di poesie di Pagano, Bonea offre un limpido percorso, che si può rifare. Dà quello che è il versante "ideologico" della poesia di Pagano: "una convinzione materialistica, una laica concezione dell'esistere ed una contraddittoria avvertenza religiosa di Dio" (Ivi, p. 223). Annota anche:

L'interiorità nella quale Pagano raramente lascia entrare il lettore della sua poesia, [una difficoltà ulteriore per il "lettore comune"!], contrasta con la sua estroversione, scoperta - e talvolta ostentata, del suo rapporto col mondo, verso il quale sembra aprirsi ed invece si rivela diffidente e chiuso in un pessimismo non disperato ma senza scampo, che lo fa pensare sempre alla morte [ ... ].
Nella sua poesia, e più nella sua psicologia tormentata e discordante, convivono la joie de vivre e il pensiero immanente della morte ...(18)

Le schegge critiche presentate, qui, attraverso le citazioni possono mostrare, pur separate dall'insieme al quale appartengono, la ricchezza di prospettive che la lettura dei tre poeti comporta. Attraverso di esse ci si è potuti rendere conto che i poeti antologizzati da Bonea non sono poeti "facili". Al lettore, anche al "lettore comune" sul quale Bonea ha insistito soprattutto nelle pagine su Comi, essi richiedono, sì, impegno, ma anche una carica di simpatia. Basta non rifiutarli se un primo approccio dovesse risultare non proprio pacifico.
Nei loro versi (e, per Bodini e Pagano, nelle loro traduzioni che sono vere ri-creazioni dei poeti tradotti) c'è non solo lo sfaccettato blocco della loro vicenda interiore ma anche la rete di rapporti e la volontà di colloquio che la loro poesia, come ogni poesia, instaura. Una rete di rapporti, finora, a maglie troppo larghe; e una volontà di colloquio fin troppo mortificata.
Ci sono tanti poeti (tre in un secolo, se guardiamo solo a Comi Bodini Pagano come ad immagini-guida) in una terra così esigua, in un così esiguo spazio di tempo? La domanda, con la sua antologia Bonea la pone non al "lettore privilegiato" Malte Laurids Brigge, il quale esclude che possano esserci trecento poeti (sottintendendo che non ci sono in tutto il mondo e in tutta la storia della poesia); la pone a quel "lettore comune" al quale ha indirizzato le sue proposte di lettura. Né è dubbio che i tre nomi, che spiccano sulla copertina dell'elegante collana mat dell'editore Piero Manni, siano quelli di tre autentici poeti.
Di questi egli ha messo in luce anche i contrasti, gli intimi conflitti che affiorano dai loro versi. Ha registrato, a volte, le apparenti contraddizioni, la possibile 'disarmonia'. A conforto suo, per quest'ultimo rilievo, e a proposito del poeta in cui maggiormente nota una sorta di contraddizione, Girolamo Comi, forse non sarà fuor di proposito - e per concludere con una nota sorridente - ricordare l'epigramma che Luciano Fòlgore dettò quando nel 1954 Girolamo Comi vinse il Premio Chianciano per la poesia con il volume Spirito d'armonia.
L'epigramma è questo:

Fra tanti illustri nomi
fu Girolamo Comi
che ottenne più consensi
per i suoi versi densi
d'ogni contrasto umano
d'ogni antitesi pia
e intitolati (strano!)
"Spirito d'armonia".
(19)


NOTE
1) R, M. RILKE, I quaderni di Malte Laurids Brigge, Introduzione, traduzione e note di Furio Jesi, Milano, Garzanti, 1974, pp. 28-31, passim.
2) Ivi, p. 14.
3) Ivi, p. 34.
4) Ivi, p. 229.
5) V. BODINI, Tutte le poesie (1932-1970), a c. di O. Macrì, Milano, Mondadori, 1983.
6) E.BONEA, Comi, Bodini, Pagano, cit., p.118.
7) Ivi, p. 117.
8) Ivi, p. 15.
9) Ivi, p. 97.
10) Ivi, p. 114.
11) Ivi, p. 200.
12) E. BONEA, Subregione culturale. Il Salento, Lecce, Milella, 1978; ID., Subregione culturale. Il Salento, vol. II. La "svolta", Lecce, Milella, 1993 (è da questo volume che appare l'indicazione numerale: II; segno, forse, di un progetto che è andato modificandosi e crescendo in itinere); ID. Subregione culturale. Il Salento, vol. III. Le tessere del mosaico, Milella, Lecce, 1996 (il terzo volume è in due tomi).
13) Comi, Bodini, Pagano, cit., p. 28.
14) Ivi, p. 29.
15) Ivi, p. 115.
16) Ivi, p. 116.
17) Ivi.
18) Ivi, pp. 224-225, passim.
19) L'epigramma si legge in D. PROVENZAL, Dizionario della maldicenza, Milano, Casa Editrice Ceschina, 1965, p 76.


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