I limiti del thatcherismo in brache rosse




Claudio Alemanno



Nell'Unione europea la Politica che decide oggi si tinge di rosa.
Curioso destino quello delle socialdemocrazie europee, spinte dalla congiuntura e dall'austerità dei pubblici bilanci a stilare ricette conservatrici. "La novità è che non ci sono più tabù. Sul tavolo ci sono nuove idee e gli amici americani le discutono con noi". E' una dichiarazione di Dominique Strauss-Khan, ministro delle Finanze francese al World Economic Forum di Davos. Completata con un De profundis per il "pensiero unico liberista".
Ma le cose stanno proprio così? Intanto l'economia americana cresce mentre quella europea rallenta. Il nocciolo duro è rappresentato in Europa da una forte presenza burocratica, dai mercati finanziari guidati da poche regole mal governate e dai mercati del lavoro afflitti da onerosa frammentarietà (più unificati i primi dalle leggi economiche, meno i secondi affidati alla sensibilità delle leggi statali e alla buona volontà dei sindacati).
Le parole d'ordine in uso non sono nuove: privatizzazione delle aziende pubbliche, liberalizzazione del capitale di Stato, fragilità del mercato azionario, rigidità del mercato del lavoro, armonizzazione fiscale, stabilità istituzionale, più flessibilità complessiva del sistema per accrescere la competitività delle imprese. Cose note anche prima che i governi attuali andassero al potere e prima che l'euro e le autorità monetarie europee dessero di questi temi più drammatica visibilità.
Un rompicapo per le socialdemocrazie che hanno più confidenza a redistribuire che a creare ricchezza. Ora sanno di non poter governare le aritmie del ciclo economico con la sola variabile monetaria, non più ciecamente devota ai voleri del Principe.
Il problema può anche essere di cultura e sensibilità politica ma a monte appare come un macigno difficile da scalzare la carenza obiettiva di poteri istituzionali che rende fragile e incoerente il processo decisionale dell'Unione politica. I gruppi dirigenti cercano l'investitura americana, ma di fronte al dialogo intraeuropeo, se non ispirato da interessi domestici, vivono con molte riserve mentali e con il sospetto continuo di intrattenere "liaisons dangereuses". Non a caso Santer, Presidente della Commissione europea, ha disegnato per il suo successore un profilo di Primo Ministro.
Un quadro dei fattori "critici" messi in evidenza dal processo di unione monetaria rende palpabile il vuoto politico e la necessità a breve di una nuova architettura istituzionale.
Macroeconomia e bilanci pubblici - Al di là del clamore che suscitano le pagelle sui singoli Stati ed alcuni giudizi di buona o cattiva condotta, la "patata bollente" dei bilanci pubblici non è più tanto bollente. Nell'ottica della politica europea, avendo conseguito l'obiettivo della stabilità monetaria, l'analisi di bilancio resta prevalentemente circoscritta a fatti tecnici come l'esame comparato delle metodologie di calcolo delle contabilità nazionali (per l'Istat, ad esempio, il Pil italiano già contiene le stime relative all'economia sommersa, di diverso avviso sono invece i tedeschi). Ci sono inoltre variabili divenute comuni grazie all'euro e che di fatto neutralizzano l'impatto sulle manovre di bilancio. Si pensi ai tassi d'interesse e ai tassi di cambio che per anni hanno alimentato e deciso il dialogo tra ministri finanziari e Banche centrali. Il dibattito sul bilancio vive ora in prevalenza di ragionamenti domestici. Oltre a tenere d'occhio il rapporto Pil/debito pubblico per possibili correzioni sollecitate dal Piano di stabilità occorrerà valutare i "rendimenti" dei grandi aggregati di spesa, qualificando ciascuno di essi in ragione delle diverse necessità di riordino dei servizi.
Mercati finanziari - I ragionamenti in questo settore si fanno sempre più sofisticati. Devono analizzare il processo perpetuo di auto-proiezione delle imprese verso il futuro e la creazione perpetua di strumenti finanziari innovativi (mai tanti come ora) che in una sorta di identità tridimensionale trasferiscono il risparmio dalle famiglie alle imprese. Torna di attualità una famosa affermazione di Paul Samuelson, Nobel per l'economia: "Scommetto direttamente in Borsa solo il denaro che sono disposto a perdere". Il consiglio è diretto soprattutto al popolo dei Bot, che ora cerca vie alternative per riconvertire il portafoglio.
Un tempo il tasso di sconto costituiva un'ancora certa, un indicatore importante per diagnosticare lo stato di salute del sistema. Offriva ai mercati l'opinione della Banca centrale sull'andamento dei prezzi e dell'economia reale. Con l'euro questo dato ha perso molto del suo significato. Mentre l'analisi sull'andamento delle Borse segue e insegue input nuovi e sofisticati provenienti dal mondo finanziario, gli elementi tradizionali di giudizio forniti dall'economia reale (bilanci delle società, rendimenti azionari e tassi d'investimento) sembrano passare in secondo piano. La Eatherlink, società americana, prevede per il 1999 un bilancio in perdita, ma il suo titolo è aumentato in Borsa del 330% (solo un esempio tra tanti).
Di fronte a questa tendenza i più accreditati analisti si mostrano preoccupati perché le variabili tecniche di tipo esclusivamente speculativo espongono il sistema al noto rischio delle "bolle", con incidenza nefasta per l'intero villaggio globale.
Gli effetti della globalizzazione ci riguardano tutti da vicino (la New York University School of Law ha già nel piano di studi un corso di Diritto della globalizzazione). Un recente rapporto R-P CNEL Multinazionale 1998 segnala il grado di internazionalità dell'economia italiana. Sono 2.000 le imprese estere partecipate in aziende italiane mentre sono circa 1.800 le imprese italiane associate ad investitori stranieri. C'è un flusso massiccio di investimenti in entrata e in uscita dall'Italia e fenomeni analoghi sono riscontrabili negli altri Paesi europei. C'è poi il vasto fenomeno delle concentrazioni presente in Europa e lungo le due sponde dell'Atlantico. Muovendo ingenti capitali finanziari pongono problemi nuovi per la stabilizzazione dei mercati ed aprono spazi nuovi di riflessione per la tutela della concorrenza (le pratiche monopolistiche tendono a crescere con l'accentuarsi della globalizzazione).
Assistiamo a segnali di grande dinamismo che vengono dalla Finanza, dalla Borsa e dalle Imprese. Ma questo nuovo attivismo finanziario sollecita anche nuove regole europee per la trasparenza dei mercati e delle attività d'impresa. Regole "federali" o ampiamente coordinate in sede comunitaria.
Tutto ciò in prospettiva assume maggiore rilevanza se si considera che il mercato azionario europeo, ad eccezione di quello inglese, è scarsamente collegato al tessuto industriale. In Italia il rapporto tra la capitalizzazione delle aziende quotate e il Pil è pari a circa il 44% contro il 63% della Francia, il 67% della Spagna, il 123% degli Stati Uniti, il 155% della Gran Bretagna.
Una specifica anomalia della Borsa italiana merita poi di essere evidenziata. Su un campione di 17 nuove aziende quotate ben 14 risultano essere sotto il prezzo di emissione. E questo accade mentre il mercato si muove nel segno del "Toro". In Italia quindi sembrerebbe poco conveniente l'investimento in nuove società quotate. In realtà questo fenomeno suggerisce una maggiore "cultura dell'equità" a coloro che decidono di quotarsi. La furbizia non paga, occorre assicurare alla performance del titolo una sufficiente rappresentazione della realtà aziendale e della crescita reddituale. Valutazioni pre-collocamento troppo elevate logorano per lungo tempo l'immagine del titolo nel listino producendo all'azienda più danni che vantaggi.
Questo problema merita di essere attentamente considerato dalle piccole e medie imprese che intendono aderire al nuovo mercato azionario messo a loro disposizione dalla Borsa italiana e che avrà regolare collegamento con il circuito europeo già esistente.
A questi segnali di novità che dovrebbero fare più ricco e rappresentativo il listino italiano corrispondono altri segnali di dinamismo che percorrono le maggiori Borse europee, in buona parte collegati al vorticoso giro delle privatizzazioni e liberalizzazioni in corso d'opera.
Ma al tentativo pregevole di liberare dalle tossine stataliste le società pubbliche non può non corrispondere un riordino dei poteri pubblici di controllo. Per assicurare correttezza e trasparenza alle operazioni, non certo per "guidare" il Mercato.
In Italia si chiedono da tempo più poteri per la Consob con l'unico orgoglio di predicare nel deserto. Recentemente la Sce americana ha impiegato solo 5 giorni per porre sotto sequestro i conti su cui erano transitate alcune operazioni relative al titolo Elsag Bailey, quotato a Wall Street. Per un fondato sospetto di "insider trading" (quotazione alterata del titolo per impiego fraudolento di informazioni riservate). La nostra Consob non ha poteri analoghi e questa ipotesi di reato, pur nota alla nostra legislazione, non è mai uscita fuori dal recinto delle ipotesi. Certamente la tradizione anglosassone presenta attenzione e rigore maggiori sul versante della tutela del risparmio impiegato in Borsa.
Ma la forte accelerazione degli scambi che transitano ora sulle piazze europee richiede maggiore attenzione da parte di tutti i governi, un'azione di tutela concentrata ed un'autorevole "visibilità" dei poteri e degli organi preposti al controllo del mercato.
Analogo discorso vale per la riforma del diritto societario. In Italia è al lavoro una Commissione che deve continuare il buon lavoro già compiuto con la cosiddetta legge Draghi (Tu 24.2.1998, n. 58). La riforma organica dovrebbe interessare anche le cooperative, le associazioni, le fondazioni e le imprese non profit. Inoltre dovrebbe investire l'intera problematica societaria adeguandola alla realtà dell'euro sotto il profilo penale, civile e processuale (sono annunciate procedure più rapide e giudici specializzati).
Resta aperto il problema della necessaria sintonia che occorre trovare con le discipline degli altri Paesi europei. Il tema infatti si inserisce nel vasto dibattito su legalità e impresa che attualmente attraversa l'intera Europa nell'intento di graduare soluzioni e sanzioni in una visione "europea" che concili rigore e trasparenza amministrativi con la tutela della capacità operativa dell'impresa. E' implicita la forte valenza politica degli argomenti trattati.
Mercati del lavoro - La formula magica sembra risiedere nella parola "flessibilità", ovvero in minori oneri e maggiore autonomia per le imprese. Ciò dovrebbe produrre più ricchezza e dunque più lavoro. La formula c'è, ma la magia non si vede.
L'Europa registra oggi 18 milioni di disoccupati, 5 milioni di giovani in cerca di prima occupazione e un flusso massiccio di immigrati disperati.
Una prima contraddizione salta agli occhi quando a fronte di un'economia integrata nel segno dell'euro continuano ad operare mercati del lavoro altamente disaggregati per costi, salari, regolamentazioni contrattuali e discipline di formazione.
Logica vuole che a carenze strutturali si contrappongano riforme strutturali. Invece si muovono tutti in ordine sparso facendo a gara nel trovare ipotesi di lavoro kafkiane come il ricorso alle 35 ore presentato come importante volano promotore di nuova occupazione. Sulle 35 ore c'è una legge recente in Francia e un accordo sindacale concluso nel gruppo Peugeot-Citroën. I francesi lo chiamano il "lodo della pipì", perché l'azienda ha ottenuto che i minuti trascorsi in gabinetto vengano considerati tempo libero e quindi non remunerati (così le ore settimanali scendono da 38,30 a 36,40; la differenza si recupera su ferie e riposi). Un escamotage "onirico" che fa crescere solo la farina del diavolo. E mentre l'Europa sfoggia queste riforme di alto significato strutturale, Clinton annuncia che il sistema pensionistico americano potrà investire in azioni. In questo modo si dà sostegno alla Borsa e si ancora più saldamente l'utile della gestione previdenziale al mondo produttivo (l'operazione interessa tra i 650 e i 1.200 miliardi di dollari e dovrebbero trarne vantaggio anche le Borse europee).
In Europa siamo certamente al crocevia di nuove direzioni di marcia. Ma l'incognita politica e istituzionale ha valenza storica. Coloro che tanto hanno contribuito ad introdurre lacci e lacciuoli nel sistema hanno ora cultura e sensibilità sufficienti per creare l'habitat normativo per abolirli?
Una riflessione di Giuseppe Pontiggia è illuminante: "I futurologi inventano il futuro ma anche gli innamorati del passato".
Chi ha più filo per tessere, tessa. Per costruire l'Europa federata, ora immersa nell'indifferenza e nel silenzio, non basta aprire l'ombrello della moneta unica ed aspettare che spiova.


Nota bibliografica
Sui mutamenti prodotti dai mega-flussi finanziari si segnalano alcuni pregevoli studi:
- Tonino Perna, Fair trade. La sfida etica al mercato mondiale, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.
- Jagdish Bhagwati, A steam of windows, Mit Press, Cambridge Mass., 1998.
- Jerry Mander-Edward Goldsmith, Glocalismo. L'alternativa strategica alla globalizzazione, Arianna, Casalecchio di Reno, 1998.


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