Burolandia




Lanfranco Carteny



E' stato scritto che è vero che il Codice penale è dei delinquenti, mentre quello di procedura penale è dei galantuomini, ma che questo non è sufficiente a giustificare la santificazione del formalismo che ha trasformato tutto il pubblico impiego in un luogo dove troppo spesso le procedure diventano un bene in sé. Con l'aggravante che il "core business" di questo "procedurificio" viene spacciato come una conquista di civiltà, gelosamente custodita da generazioni di sacerdoti o di mandarini pubblici. E' forse questo il primo dei bersagli che metaforicamente si vorrebbe colpire con le bombe intelligenti. Del resto, sono proprio le sedimentazioni procedurali ad avere bloccato i primi contratti d'area; è l'esorbitante numero di passaggi a ritardare l'avvio di opere infrastrutturali (ci vogliono 43 verifiche per dare corso alla realizzazione di un parcheggio cittadino). La pubblica amministrazione è un moloch che si autoalimenta: gestisce il potere, presidia la formazione delle leggi e appena può inserisce (oppure fa inserire) i codicilli che salvano la corporazione o aumentano il potere di veto o i privilegi di status o creano nuovi passaggi di controllo amministrativo e di negoziato politico-sindacale.
Troppo spesso il saper fare dell'amministrazione è stato il non permettere ad altri di fare (ed è significativo che ancora adesso qualche zelante sportellista non accetti, ad esempio, le autocertificazioni imposte dalla Bassanini). Col passare del tempo l'esercizio del diritto di interposizione burocratica si è trasformato in una perversa nuova cultura amministrativa. Che, avendo contezza dell'anomalia rispetto al contesto esterno
del mercato, ha fatto di tutto per arroccarsi a difesa de privilegio massimamente evitando l'osmosi con il privato.
E di privilegio si tratta se si pensa ad esempio a meccanismi come il "galleggiamento stipendiale" abolito dal governo Amato e riesumato di recente per i giudici del Consiglio di Stato: il diritto a vedersi adeguata automaticamente la busta-paga a quella del collega che, ultimo entrato, proveniente da altri luoghi di lavoro, abbia uno stipendio superiore. In qualsiasi impresa privata ciò porterebbe alla chiusura.
All'idea profonda dell'irresponsabilità del burocrate si è unito un modello produttivo di taylorismo pubblico che ha sminuzzato l'iter degli atti al solo fine di moltiplicare le occasioni di impiego. Ciò crea una sequenza di attuazioni più o meno beote di direttive superiori. Cercare i tanti episodi di assurdità è come sparare alla Croce rossa. Che dire, ad esempio, degli studi di settore per la lotta all'evasione fiscale dove il capitolo sui ristoranti ha un incipit diligente di questa fatta: si definisce ristorazione l'attività volta a soddisfare il bisogno primario di sfamarsi? E' iperbolicamente pleonastico, ma l'amministrazione spesso ragiona come quei discoli delle scuole inferiori più attenti alla lunghezza del tema che ai suoi contenuti.
Del resto, il pubblico impiego è stato "occupatore di ultima istanza" (secondo uno schema di keynesismo dopato o di blanda societizzazione), ma anche ammortizzatore sociale mascherato: ancora oggi nei ministeri si trovano i diversi clan di "paesani" di questo o di quel ministro. E ancora oggi si assiste a spettacolari maxi-concorsi per pochi posti con centinaia di migliaia di candidati. Grande serbatoio di consenso, la pubblica amministrazione si è via via riempita di sudditi fedeli, assai ben difesi tra l'altro da sindacati di mestiere o meno, (ultima performance: la sottrazione degli impiegati dalla valutazione di merito, dalle cosiddette pagelle che restano solo per la dirigenza).
Oggi si tenta di trasformare l'azione amministrativa da un continuum di controlli a una gestione per obiettivi successivi, ma ci si trova di fronte al paradosso di avere troppo personale in assoluto, ma poco per quello che occorrerebbe fare davvero. Lo sanno bene i ministri: il pubblico impiego dovrebbe subire una gigantesca dialisi, un veloce e pervasivo ricambio di sangue, ma il Paese si troverebbe al collasso, visto che parliamo di circa quattro milioni di addetti. Qualche cosa sta cambiando, se è vero che al Tesoro, ad esempio, per la prima volta con un'intensificazione del dialogo tra centro e periferia e tra diverse amministrazioni, si sarà in grado di presentare all'Unione europea un prospetto di progetti strategici di massima su cui far confluire i 120 mila miliardi del quadro comunitario di sostegno (finora si puntava all'aggiudicazione di una quota dei fondi e poi, con molta calma, si programmavano gli investimenti). Si è cercato di seguire la strada dell'agire per obiettivi e dell'identificare le responsabilità: sembra una novità interessante, siamo all'inizio, si vedrà, lo hanno fatto prima di noi Spagna, Portogallo, Irlanda, ma intanto in Italia la Uil sta gridando allo scandalo!
Come il celebre modello 740, anche questa amministrazione "lunare" dovrebbe poter contare meno sulla compiacenza di Tar e Consiglio di Stato che, nonostante sia già certo che nei prossimi trent'anni lavoreremo solo per smaltire l'arretrato accumulato finora, spesso suggellando con il crisma di ordinanze, sentenze e sospensive ciò che per i comuni mortali resta solo incomprensibile assurdità (basti citare il caso dei ladri reintegrati nel posto di lavoro, o dei super-assenteisti che dopo un lungo periodo di forfait rientrano nelle scrivanie con tanto di promozione).
Infine, i sindacati. Ce ne sono per tutti i gusti nel pubblico impiego, da quelli più "arrabbiati" di base, ai collaterali al potere politico. Rivendicano di tutto: dalla rapida restituzione di quaranta autobotti dei Vigili del fuoco finite in Albania, a piattaforme disseminate di trappole per i conti pubblici. Come quelle che hanno portato agli ultimi contratti, dove le compatibilità di bilancio non sono sembrate la prima preoccupazione dei firmatari.


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