Perché una ripresa debole




Ettore Manerba



Il tasso di crescita dell'economia italiana è stato sensibilmente inferiore rispetto alle speranze che si nutrivano un anno prima e che erano alla base della Finanziaria '98. I motivi, però, non sono se non in via secondaria ricollegabili alla grande crisi finanziaria mondiale, che ha ridotto ovunque le aspettative di espansione. La partecipazione dell'Italia all'Unione monetaria europea ha tenuto la speculazione alla finestra e ha consentito di non elevare difese valutarie protettive, come l'aumento dei tassi di interesse, che avrebbero frenato l'economia reale.
Allora, perché l'espansione vive di strappi cardiaci? Lo si può comprendere analizzando la tabella che presenta la variazione trimestrale del Pil (Prodotto interno lordo) scomposta tra consumi, investimenti, esportazioni e variazioni delle scorte: la debolezza dell'espansione produttiva italiana non sembra attribuibile a una causa unica, ma è piuttosto effetto della somma di più debolezze.
La prima debolezza risiede nei consumi delle famiglie, il cui contributo alla crescita del prodotto era di 1,7 punti percentuali nell'anno precedente, di un punto percentuale nel primo trimestre '98 e di appena 0,4 punti nel secondo. Passata la fase acuta della crisi economica italiana, durata dal 1992 al 1995, le famiglie hanno acquisito abitudini tenaci di austerità. Quella degli anni Novanta è stata una crisi strutturale, che ha radicalmente mutato i comportamenti di consumo rispetto agli anni Ottanta. "Meno effimero e più previdenza sembra essere il motto cui si impronta oggi lo stile di vita familiare. Nel '98, poi, la pressione fiscale sui redditi personali e su quelli delle piccole e medie imprese ha raggiunto il massimo, con l'introduzione dell'Irap: un'imposta che prima i lavoratori autonomi e le società di persone non pagavano e che ha coinvolto milioni di contribuenti.
La seconda, vistosa, debolezza è nella bilancia commerciale. A un'analisi superficiale non sembra proprio preoccupante, visto che il saldo commerciale complessivo con l'estero nei primi sette mesi dell'anno è positivo (+19 mila miliardi). Ma il fatto è che questo saldo è inferiore di un terzo a quello dell'anno precedente, che a sua volta era stato inferiore di un terzo rispetto a quello di un anno prima. Le esportazioni italiane mostrano da un paio di anni un tasso di crescita inferiore a quello del commercio mondiale, mentre la spesa per le importazioni galoppa, sebbene i prezzi internazionali delle materie prime siano stati spesso ai minimi storici.
La crisi asiatica ha accentuato questa dinamica. Nel periodo gennaio-luglio le esportazioni verso i NICs (i Paesi di nuova industrializzazione maggiormente colpiti dalla crisi) sono diminuite del 29 per cento rispetto allo stesso periodo del 1997, mentre dagli stessi Paesi le importazioni, favorite dalle ragioni di scambio radicalmente mutate, sono aumentate del 46 per cento.
Qualche preoccupazione desta anche la dinamica del commercio con i partners europei: pur risultando la loro ripresa congiunturale più rapida di quella italiana, le esportazioni nel primo semestre sono cresciute (+11 per cento) meno delle importazioni (+13 per cento), una tendenza molto diversa dal passato recente che sembra condurre a una conclusione importante: all'Italia fanno difetto i prodotti "giusti" per una competizione accentuata sui mercati internazionali. Per conseguenza, la dinamica dell'interscambio con l'estero frena invece che spingere la crescita del prodotto interno, il che rappresenta un fattore anomalo per il nostro Paese. A conti fatti, di qui è derivata nel secondo trimestre '98 una spinta negativa, pari a circa 0,6 punti percentuali.


La terza debolezza è costituita dagli investimenti, anch'essi deludenti nei primi sei mesi dell'anno: dato per scontato che la spesa pubblica non possa crescere, per evidenti ragioni di risanamento, e che, al massimo, nel secondo trimestre il contributo degli investimenti alla crescita del Pil (+1 per cento) si è clamorosamente ridotto rispetto al primo trimestre (+2,9 per cento) e rispetto allo stesso secondo semestre del '97 (+2,3 per cento). Il calo è in gran parte dovuto alla netta contrazione degli investimenti in scorte, logica reazione delle imprese a una domanda che stenta a crescere.
Nonostante queste tre debolezze, vogliamo mantenere un giudizio moderatamente ottimistico sulla congiuntura per il 1999, anno in cui, infatti, la pressione tributaria dovrebbe, sia pure marginalmente, ma costantemente, diminuire, malgrado la vaghezza della legge finanziaria. Questa, in realtà, non sembra brillare per innovazione negli assi di intervento (sparge un po' qua un po' là nuovi piccoli benefici d'antico stampo) ed è largamente criticabile nel rinvio dei problemi scottanti e strutturali (si pensi che le conclusioni della Commissione tecnica sulla riforma del Welfare sono rimaste senza alcun seguito politico). Vi sono, tuttavia, anche se troppo frammentate, misure di sostegno allo sviluppo economico corrispondenti a circa 1,2 punti percentuali del Pil. Sulla dinamica degli investimenti dovrebbero poi cominciare a farsi sentire sia l'effetto degli incentivi all'edilizia, sia l'effetto dell'ingresso nell'Euro che, dal prossimo gennaio, dovrebbe portare a un'ulteriore limatura di circa un punto (o poco più) dei tassi d'interesse.
Dunque: congiuntura in rosa, e sia pure in rosa pallido? Forse no, ma comunque meno nera di quanto la si immagina seguendo giornalmente lo sgretolarsi degli indici di Borsa, che la primavera di quest'anno aveva gonfiato a livelli eccessivi e difficili da sostenere sulla base dei "fondamentali" dell'economia mondiale. Al riparo dell'Euro ci aspettano buone prospettive, molto migliori rispetto a quelle di cui avremmo goduto restandone fuori, e questo non è un risultato da poco, né un risultato da mettere a rischio con una gestione avventurosa del varo della legge finanziaria. Delle riforme istituzionali mancate, una ci sembra infine particolarmente grave: una legge di bilancio che le Camere debbano approvare o rigettare in una votazione unica, non più terreno di scorribande di free riders e di ineleganti, oltre che dannosi, negoziati politici.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000