La difficile catarsi di Monsł Travet




C. A.



Fatta l'Europa monetaria, in via di consolidamento le strutture tecnocratiche che dovranno amministrare l'euro, è tempo di passare dalla poesia alla prosa, dal mercato delle parole al mercato delle idee. I mass media finora hanno pestato l'acceleratore sui temi del fisco, dell'inflazione, della rigidità del mercato del lavoro, delle privatizzazioni, dell'impatto che una politica monetaria più rigida determina sui prezzi e sui consumi. Questo ampio dibattito attiene al "dopo euro" e più specificamente alle problematiche del rapporto Impresa-Mercato, Banca Centrale Europea, consessi nazionali. Ma rischia di restare monco se contestualmente non si dà spazio alla alfabetizzazione della Pubblica Amministrazione, al riconoscimento di un suo nuovo status, di un suo nuovo modo di porsi verso i cittadini d'Europa e le imprese a seguito del dialogo obbligatorio in euro.
Ovviamente un apparato burocratico si esprime secondo i compiti, le responsabilità e i ruoli che una classe politica gli assegna. Quindi una riforma globale della Pubblica Amministrazione non è solo una questione di leggi, decreti e regolamenti, di mobilità e decentramento, di semplificazione e snellimento procedurali. Certo è tutto questo, ma determinante e primario resta l'approccio culturale che definisce e delimita il concetto d'uso della Pubblica Amministrazione.
L'eurosistema impone un ripensamento globale a cui in primo luogo sono chiamati i professionisti della Politica, coloro che svolgono ruoli significativi in cabina di regia. Nello spazio euro non esistono più elezioni nazionali. Son tutte elezioni regionali il cui esito si riflette immediatamente sulle decisioni di Bruxelles e Francoforte. Se la classe politica acquista di ciò consapevolezza piena, se svolge proficuamente il suo ruolo propedeutico verso le scelte degli organi decisionali custodi e promotori dei modelli eurocentrici, il riordino della Pubblica Amministrazione potrà giovarsi di parametri di efficienza in sintonia con le attese dei cittadini e delle imprese. E' nella cabina di regia che si gioca la partita decisiva, tenendo conto che nell'eurosistema la moneta è unica ma le procedure di attuazione delle decisioni politiche si esprimono in undici lingue. Questa difficoltà formale è sotto gli occhi di tutti e rende certamente complesso ma non pregiudizievole il cammino verso obiettivi comuni. Dev'essere dominante il convincimento che non siamo soli e non possiamo più bastare a noi stessi. Una politica autarchica e statalista ha bisogno di certezze formali e garanzie di fedeltà partigiana. Ma il senso di marcia porta ora in direzione opposta e da qui nascono i veri macigni sulla via dell'aggiornamento reale. Se si esamina un secolo di vicende burocratiche è palpabile l'influenza che lo stile e gli interessi della politica hanno avuto sul diverso atteggiarsi della Pubblica Amministrazione.
Nel 1861 i travet "piemontesi" del Regno d'Italia erano tremila contro i tre milioni attuali. Parlavano prevalentemente francese ed erano i più efficienti e meglio preparati d'Europa, risultando dotati di specifiche competenze tecniche nei gradi più elevati.
Fu negli anni '20, soprattutto con i governi Salandra e Giolitti, che si produsse una brusca sterzata con l'introduzione nei centri decisionali di un ceto giuridico-forense che, utilizzando a cascata criteri formali di valutazione nel definire la conformità degli atti alla legge sostanziale, di fatto sancirono il declino del personale tecnico in forza alla vecchia Amministrazione. "E' un errore credere che un professore universitario sia idoneo a governare la direzione generale dell'istruzione superiore, un idraulico la direzione generale delle opere idrauliche e delle bonifiche…", scrive nel 1913 la Giunta generale del bilancio della Camera. Nasce in questo periodo il processo di meridionalizzazione della Pubblica Amministrazione che avrà un luminoso cammino. Il fascismo rafforza questa tendenza, riduce ancora gli spazi di autonomia decisionale e premia la fedeltà dei funzionari verso l'ortodossia politica. Nella successiva era repubblicana sono i partiti ad invadere l'amministrazione dello Stato. Utilizzando le regole già collaudate si preoccupano di conseguire proficui servizi clientelari attribuendo sempre scarsa autonomia e poche responsabilità. Solo il piemontese Luigi Einaudi, nel periodo della sua Presidenza, mostra sensibilità per i temi della riforma dello Stato ritenendo di avviare a soluzione il problema con l'abolizione dei prefetti. Col risultato che i "prefetti" amministrativi sono tuttora in sella e in più sono aumentati di molto i "prefetti" politici. Adesso si solleva da più parti con benevolo eufemismo la questione dell'inadeguatezza dei servizi amministrativi dello Stato con danni d'immagine e di profitto per gli interessi italiani in sede europea. E tornano d'attualità luoghi comuni e vecchie bandiere.
Con sempre maggiore convinzione si sostiene, ad esempio, che i dipendenti dello Stato sono troppi. Dati statistici ufficiali smentiscono questo giudizio generico e approssimato. Nel 1981 essi erano il 24,4% della forza lavoro contro il 34,4% della Gran Bretagna e il 32,6% della Francia. C'è poi da ripensare al fervore legislativo che negli ultimi anni ha dato luogo ad iniziative talvolta poco incisive. Si pensi alle tre leggi di riordino approvate negli anni '97-'98 (la 59/97 sul decentramento e sulla riforma dei ministeri; la 127/97 sulla semplificazione amministrativa; la 191/98 sul rafforzamento e snellimento delle procedure e del telelavoro).
La principale preoccupazione sembra essere quella del decentramento amministrativo il cui assetto operativo resta peraltro subordinato al varo di ulteriori decreti legislativi. Nella sostanza si è cercata una risposta "burocratica" a problemi che hanno nella formazione, nella dignità del ruolo e nella motivazione al lavoro i fattori principali del malessere.
La inadeguatezza del momento progettuale (che non dev'essere necessariamente legislativo; si potrebbe anche pensare all'impiego di un'Authority per la P.A. con delega a monitorare e intervenire sull'intero comparto dei servizi) risulta maggiormente se si porta l'attenzione sulle recenti circolari informative di coordinamento varate dal Tesoro. Le esigenze più avvertite riguardano l'adeguamento delle procedure informatiche in chiave euro, la formazione di nuovi funzionari presso la Scuola della P.A., l'accelerazione dei programmi di formazione per gli eurotutor, la valutazione del grado di preparazione degli enti locali in vista delle nuove procedure esecutive euro (per questo sono già al lavoro presso le Prefetture i Comitati provinciali euro).
Val la pena ricordare che dal 1° gennaio 1999 diventa operativo l'eurosistema e che contestualmente è previsto per la contabilità nazionale l'avvio di una nuova Tesoreria Centrale dello Stato presso la Banca d'Italia. Un passaggio organizzativo importante nel riassetto generale dei servizi dello Stato che dovrebbe dare nelle intenzioni più chiarezza e certezza all'analisi dei flussi di spesa.
Il collaudo istituzionale della Banca Centrale Europea e l'esercizio dei suoi poteri di politica monetaria richiedono analisi sofisticate sui flussi nazionali di entrata e di spesa che impegnano già da gennaio prossimo le varie Amministrazioni periferiche.
E' lo spirito euro che deve guidare ogni ipotesi progettuale di riforma dello Stato, in sede politica e amministrativa. Gli sforzi creativi vanno orientati verso la formazione di tecnocrati che sappiano tradurre le direttive comunitarie in prassi e costume di vita quotidiana. Tra l'altro l'Italia soffre di scarsa rappresentanza nell'Olimpo della tecnocrazia europea. Non certo nei piani alti di Bruxelles e Francoforte, ma nei ruoli intermedi degli executive, nella "cucina" in cui si abbozzano le decisioni.
Sono lontani i tempi in cui Böhm-Bawerk, uno dei massimi esponenti della "scuola austriaca" del marginalismo, optava per un incarico amministrativo presso il ministero delle Finanze sacrificando una cattedra a Vienna.
Da noi sembra prevalere una decadente cultura dannunziana. "Vado verso la vita", esclamò una volta D'Annunzio. E cambiò casacca politica. Il poeta non era certo un esempio di fedeltà, ma almeno non pretendeva testimonianze di fede.


Nota bibliografica
Agli addetti ai lavori si segnala un recente contributo di storia dell'Amministrazione Pubblica italiana. Guido Melis - "La burocrazia"- Il Mulino.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000