In nome del lavoro




Franco Modigliani



Noi non abbiamo difficoltà a riconoscere che le cosiddette condizioni di Maastricht in materia di finanza pubblica sono state utili nell'indurre i Paesi membri a porre sotto controllo i fabbisogni pubblici. Ma proprio in nome di queste necessarie politiche di bilancio diviene ingiustificabile una prolungata restrizione monetaria. Essa ha determinato una continua erosione degli investimenti privati e quindi della domanda aggregata, e una concomitante crescita della disoccupazione. Questa interpretazione è confermata dall'evidenza statistica: fra il 1973 e il 1997 la quota degli investimenti nel reddito nazionale dei Paesi dell'Unione europea si è ridotta di un terzo e vi è una precisa correlazione fra questa riduzione e la crescita della disoccupazione.
Lo stretto rapporto fra investimenti ed occupazione indica la strada per affrontare efficacemente il problema della disoccupazione. I Paesi Euro debbono impegnarsi in un vasto e rapido programma di rilancio degli investimenti privati e pubblici - e debbono farlo in maniera coordinata per evitare squilibri delle bilance commerciali - in tal modo riducendo la disoccupazione e favorendo recupero di produttività. I metodi per ottenere questo risultato sono ben noti, ma bisogna che i governi, la Commissione europea e la Banca centrale europea si assumano ciascuno per la propria parte la responsabilità di questi programmi. In particolare, è necessario ridefinire il "patto di stabilità", riferendo l'obbligo di pareggio del bilancio alla parte corrente, ma permettendo il finanziamento con il debito di programmi di investimento pubblico economicamente giustificati, previa, se si vuole, una qualche verifica delle autorità comunitarie.
Non vi è evidenza in questo momento di un rischio che la riduzione della disoccupazione possa comportare l'immediato riaccendersi dell'inflazione. Pensiamo tuttavia che sia opportuno coinvolgere in questo programma le parti sociali, mediante un accordo di concertazione del tipo di quello che l'Italia ha sperimentato con successo fin dal 1992. Ciò consentirebbe alle autorità monetarie di concentrarsi nello sforzo di raggiungere gli obiettivi di investimento fissati nel programma.
Dobbiamo dire con chiarezza che le idee che stiamo esponendo sono esattamente all'opposto di quella che potremmo chiamare l'ortodossia Euro, secondo la quale il solo obiettivo della Banca centrale europea dovrebbe essere quello di fare dell'Euro una valuta forte e prestigiosa. Tutti gli altri obiettivi, ivi incluso quello dell'occupazione, dovrebbero inchinarsi ad esso.
Abbiamo ragione di ritenere che la maggior parte degli economisti e molti uomini di governo siano d'accordo con la nostra impostazione, ma essi temono di scontrarsi con il potere dell'establishment ortodosso e si limitano a sperare che, avviato l'Euro, sia ora più facile indurre la Banca centrale europea a tener conto della disoccupazione. A sua volta, il partito dell'europrestigio è pienamente consapevole di questo scontro sotterraneo e teme che il partito del lavoro possa avere la meglio. Per questo non perde l'occasione per ribadire l'intangibilità dell'ortodossia, minacciando, in caso contrario, come hanno fatto or non sono molti mesi fa 155 economisti tedeschi, di mettere in crisi l'Euro.
A noi sembra invece necessario fronteggiare apertamente la questione. I Paesi dell'Euro sono riusciti a convergere sui parametri materiali di Maastricht. E' necessario ora che essi raggiungano una convergenza sugli indirizzi o - si potrebbe dire - sull'anima di Maastricht. Vogliono un Euro forte, il cui valore sia sostenuto da una politica monetaria restrittiva e da alti tassi di interesse, senza alcuna concessione all'emergenza della disoccupazione, oppure un Euro lungimirante, che dimostri di saper risolvere il problema della disoccupazione a beneficio dei propri cittadini e dell'andamento dell'economia mondiale? Vogliono occuparsi del prestigio dell'Euro, oppure della disoccupazione nell'Euro? Non risolvere questo dilemma significa minare l'Euro nelle sue stesse fondamenta.


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