Morire per Maastricht




a.b.



Le immagini che ancora oggi si sovrappongono sono queste: ai primi di maggio al Campidoglio si celebrava - con euforia persino smodata - la nascita dell'Euro, mentre da alcune aree della Campania partivano pressanti appelli alla cosiddetta Protezione Civile perché intervenisse preventivamente in territori minacciati da prevedibilissime slavine causate da piogge "normali", e non "eccezionali": come puntualmente avvenne, a Protezione latitante, con decine di persone travolte dalla marea di fango e paesi ridotti a Pompei di fine secondo millennio. Il Sud sprofondava, nello stesso momento in cui emergeva l'Europa della Moneta Unica. Come ogni cosa al mondo, hanno un destino i popoli. Ma nessun altro, più di quello meridionale, ha avuto storicamente la predittività negata. Chi ricorda che Cassandra, dopo la caduta di Troia, riparò sulle rive dell'Ofanto?
Non è semplice scrivere la storia del presente. Credo, anzi, che non sia neppure possibile. Manca la giusta distanza dai fatti, manca la prova decisiva che può essere fornita soltanto dai risultati di quei fatti. Maggio '98 è troppo vicino. E in quel maggio ci sono stati due crepuscoli: d'alba, con molto chiarore; di tramonto, con altrettanto ottenebramento. Si sono ascoltate parole razionali, ma anche grandi clamori, "un chiasso che abolisce il linguaggio articolato e lo dissolve nel rombo". Una Moneta Unica ha preso corpo, dopo una gran fatica, fra pacate prese d'atto e insulsi auto-compiacimenti, mentre un grido silenzioso, il grido degli agonizzanti, saliva dalla più grande periferia europea. Non percepito (neanche così tardi!) da chi avrebbe dovuto inventare una politica per assorbire la domanda di politica, di rinnovato contratto sociale che quel grido dopotutto racchiudeva.
Eppure, a ripercorrere la cronaca di quei giorni, un monito era giunto, consapevole e isolato, nientemeno che dal Quirinale. Certi industriali hanno preso i soldi e sono scappati, aveva detto il Capo dello Stato, memore anche delle sue origini calabro-piemontesi: un modo di dire pane al pane, sintetizzando il disastro di un Sud che si dibatte nell'abbandono, soffocato da disoccupazione e sottoccupazione, e che per troppi anni è stato terra senza legge di scorribande economiche per predoni calati dal Nord. "Predoni in doppio petto", (ma quante volte li abbiamo definiti proprio così anche su queste pagine?), scesi nelle aree meridionali con l'esibita magnanimità di chi si atteggia a benefattore e vuole, invece, solo rubare; scorridori per saccheggi quasi autorizzati a depredare mezza penisola, dove ancora si ergono spoglie e macerie della "speranza delusa": fabbriche inutili e inutilizzate che sono monumento alla cattiva amministrazione e alla cattiva coscienza. Di qui, la maggior degenerazione del tessuto sociale di regioni endemicamente povere. "Ci sono imprenditori del Nord che dallo Stato hanno avuto tutto, sono scesi nel Mezzogiorno e non hanno fatto nulla", ha precisato Scalfaro nell'ex "capitale morale" e attuale capitale della parte più ricca del Paese, Milano. E' stata una pesante ipotesi di reato nei confronti di quei costruttori di ferraglie nel deserto. E non basta, per noi, anche oggi, per disattivare la virulenza della denuncia, aggiungere che si trattava di un "discorso da esaminare". Lanciata lì, alla vigilia dell'Euro e della catastrofe campana, l'accusa doveva amplificare e moltiplicare i suoi rimbalzi. Il dito puntato contro le ingegnerie industrial-finanziarie da misfatti non può esaurire la sua lunga onda d'urto, di indignazione e di condanna, neanche se candidi amministratori delegati di grandi e medie imprese del Nord e presidenti di associazioni industriali si chiamano fuori, escludendo di essere tra gli imputati morali dello scempio. Né poteva sentir dire tutto questo, senza sentirsi in colpa, il mondo politico, responsabile di un assistenzialismo forse indispensabile ai tempi di Saraceno, ma che via via con larghe complicità era degenerato grazie "ad applicazioni veramente patologiche", come ha ribadito il Capo dello Stato: acqua dentro la quale hanno liberamente nuotato grandi e piccoli malfattori d'ogni tipo e di tutte le latitudini.
Che cosa accadrà, che sarà del Sud dopo l'avvento dell'Euro? Galli Della Loggia scrive che, in sostanza, la politica dei singoli Paesi e i suoi rappresentanti perderanno il controllo effettivo che fino a poco fa avevano avuto del bilancio pubblico, delle entrate e soprattutto delle spese della propria nazione. Sarà la Bce, saranno un gruppo di esperti, e non più le rispettive classi politiche nazionali, ad essere i padroni delle risorse di ogni singolo Paese. Molte grandi battaglie della democrazia politica sono state battaglie intorno alle finanze pubbliche, alla ripartizione sociale dei carichi fiscali e dei benefici della spesa. La nascita dell'Euro si colloca da questo punto di vista esattamente all'opposto di questa tradizione democratica, cui potrebbe essere prestato, come slogan, il motto famoso della Rivoluzione americana no taxation without representation (niente tasse senza rappresentanti eletti). Quello dell'Ue sembra invece essere proprio: "Le tasse sì, ma senza elezione dei rappresentanti".
A questo punto, incalza Angelo Panebianco, l'Italia deve passare dalla poesia alla prosa. Perché c'è un aspetto che dev'essere sollevato e che potrà essere risolto solo se trasformato in una grande emergenza nazionale. E' la questione dell'inadeguatezza - palese eufemismo - di gran parte del personale sia politico sia amministrativo che l'Italia impiega in Europa. Per decenni, noi abbiamo inviato nelle diverse sedi in cui si fa la quotidiana politica europea, fatte alcune doverose eccezioni, personale di quart'ordine, scadente, tecnicamente impreparato e politicamente non motivato, con danni gravi sia per la nostra immagine che per i nostri interessi nazionali. Ciò che ci manca, e che quasi tutti gli altri Paesi, tolti forse solo il Portogallo e la Grecia, ormai possiedono, è una tecno-burocrazia degna di questo nome, capace di agire con efficienza e autorevolezza per conto dell'Italia in Europa. Questo è il riflesso della disastrosa condizione in cui versa la nostra amministrazione pubblica, soprattutto nei quadri dirigenti. Chiede Panebianco: lo stesso Parlamento europeo non è stato forse fin qui, ad esempio, il luogo usato da molti partiti italiani per collocarvi politici di seconda o terza fila? Il punto è che ora tutto questo deve finire. Poiché in Europa la competizione non potrà che aumentare a mano a mano che l'integrazione procederà, competenza e autorevolezza di coloro che in Europa ci rappresenteranno saranno le risorse principali su cui dovremo contare.
C'è chi ha messo in rilievo il fatto che da noi non ha vinto l'eurottimismo, ma l'eurofideismo, con una Moneta Unica diventata idolo per chi dovrebbe sapere che tutti gli idoli del Novecento sono stati un dio che ha fallito. Il fatto è che l'Ue è sempre stata predicata (dalla stampa, dai politici) come un messaggio di salvezza, che indeboliva l'idea nazionale, diluendola in quella continentale, a differenza di quanto è accaduto altrove, soprattutto in Germania e in Francia.
Dunque, occorre fare un bilancio dell'Euro, cosa che agli italiani è stata rigorosamente interdetta, in nome del silenzio e della disinformazione sulle ragioni diverse e sui rischi che la Moneta Unica comporta. Caso, questo, unico in Europa. Oggi si nota che la maggioranza dei tedeschi e degli olandesi vede l'espansione all'Est, e non l'unione politica, come prossima grande sfida europea. Il mondo teutonico e quello scandinavo non guardano più all'Ovest e al Sud. L'Euro rientra in una politica pensata prima dell'unificazione tedesca. Dalla caduta del Muro il dopoguerra europeo è finito, e anche la Germania del dopoguerra è finita. Perciò le grandi periferie d'Europa non sono più il Mezzogiorno d'Italia o l'Estremadura spagnola o il Borinage belga. Sono all'Est europeo, geograficamente incluse da Amburgo a Istanbul, passando per Budapest, Varsavia, Sofia, Praga, Bratislava e Bucarest. L'Ue va, naturalmente, dove la porta il profitto. Si dirà che tutto questo non è politicamente razionale. Ma si sa ormai che il razionale non è necessario. E sull'abbrivo del puro progetto economico può fare di nuovo apparizione - ovunque, ma in Italia soprattutto, essendoci non più indizi, ma prove provate - il gusto della chiusura mentale, dei territori sigillati, del ceppo etnico, insieme con la paura del troppo aperto, del troppo diverso, del troppo cosmopolita, del troppo esposto. Può valere ancora una volta la passione del risentimento, dell'apocalisse sociale e politica, dell'uomo rigenerato e protetto da un nuovo più vincolante ordine "morale": un ordine che ristabilisca frontiere attorno a un territorio di cui si paventano l'impoverimento o il dissolvimento nell'economia interna o nell'economia-mondo.
Tutti questi fenomeni e i loro effetti da noi non sono semplicemente la parte oscura dell'Euro; sono fenomeni primari, con una loro autonoma carica distruttiva: al modo in cui Moosbrugger, il criminale che inquieta il protagonista nel romanzo di Musil, è il veleno segreto destinato a corrodere la Grande Azione Parallela escogitata dai tecnocrati dell'Impero absburgico per festeggiare il giubileo di una Patria già in procinto di disgregarsi.
Molti, anche nel Sud d'Italia, hanno smesso di avere quest'ultima coscienza del tragico, a proposito del loro abbandono prossimo venturo. La frana mentale è diffusa. In troppe menti patologiche di una società che da secoli convive con la crisi, dopo i successivi naufragi della politica meridionalistica, è forte adesso il risentimento nei confronti di chi vuol limitare libertà troppo difficili, escludere l'"altro", restaurare l'idea di un territorio inaccessibile, depurato dall'emigrato non integrato, dall'emigrante refrattario all'etica della separazione.
Abbiamo urlato a lungo per questo, come per i morti da povertà e da strappi cardiaci del territorio del Sud. Ma ora sono mutati paesaggi e orizzonti. Troppo tardi, forse, ci si è accorti che i tempi erano brevi e che le risorse erano andate in gran parte perdute. Gli sguardi rivolti all'Est sono sguardi distolti dall'archeologia industriale, agricola e terziaria del Mezzogiorno. Caduto il Muro, sorto l'Euro governato da Francoforte, altri saranno i laboratori da realizzare, in più vasti campi abitati da popoli che dopo mezzo secolo di governi illiberali presentano il conto di una domanda di politica e di economia democratiche risolutrici.
E in una democrazia così smisurata, qual è prevedibile negli anni che ci sono di fronte, gli urli non sono ritenuti pericolosi. Sono considerati fenomeni sociologici, frutto di sottoculture riemergenti ma inutilizzabili, infruttuose. Sono fatti incompiuti, e in quanto tali non inamovibili. Il Signor Cogito, in una poesia del polacco Zbigniew Herbert, è perplesso di fronte a simili riemergenze: riflette sull'estetica del fracasso, che sostituisce Omero col terremoto, Orazio con una slavina di pietre: "La difficoltà sta nel fatto che il grido sfugge alla forma, è più povero della voce... è vistosamente scuro per l'impossibilità di articolare".
Se si escludono le parole, i vaghi propositi e le ancor più vaghe promesse, nella società post-fordista dell'Europa occidentale c'è - se non fastidio - quantomeno incuria verso il maggior problema comunitario, quello della disoccupazione, che con i suoi 18 milioni di esponenti della forza-lavoro a spasso sfiora una percentuale media dell'11%, con punte del 30% nel Sud d'Italia, e in alcune aree della Grecia, della Spagna e del Portogallo. E ciò, nel momento in cui l'esperienza insegna che l'appello alla flessibilità come risposta al problema è sostanzialmente futile, se non è accompagnato da misure parallele di stimolo della domanda aggregata. E l'affermazione che la disoccupazione è un problema esclusivamente nazionale di ciascuno dei Paesi membri non solo è sbagliata, ma ha anche un sapore ironico dal momento che, entrando nell'Euro, i Paesi partecipanti rinunciano di fatto a qualsiasi possibilità di condurre un'autonoma politica della domanda: infatti, i cambi fissi e la totale mobilità dei capitali impediranno alle banche centrali di agire sui tassi d'interesse, mentre i limiti di bilancio previsti dal "patto di stabilità" annullano ogni possibilità di politiche fiscali.
Si chiede il Premio Nobel Franco Modigliani: come mai tutto questo silenzio sull'argomento? E risponde: "Temiamo che esso rifletta uno stato d'animo di rassegnazione, diffuso in Europa [...] che induce a considerare la disoccupazione come una specie di calamità dovuta a cause totalmente fuori dal controllo dei governi, da sopportare per paura di peggiorare le cose. Noi non vediamo invece ragione alcuna per questo stato d'animo rassegnato". Negli Stati Uniti, infatti, la disoccupazione odierna è più o meno uguale a quella dell'inizio degli anni Settanta. Lo stesso avviene in altri Paesi industriali, fra cui alcuni Paesi non-Euro, come la Norvegia (4%), la Svizzera (5,5%) e la stessa Inghilterra (6%). In sostanza, l'area della disoccupazione a due cifre coincide largamente con quella dei Paesi Euro. Ribadisce Modigliani: "Questo porta a concludere che non si tratti di una semplice coincidenza, ma della conseguenza delle politiche monetarie restrittive guidate dalla Banca centrale tedesca e delle politiche di bilancio altrettanto restrittive seguite in questi anni per rientrare nei parametri di Maastricht".
Politiche che proseguiranno a lungo, in Italia in particolare, se è vero, come è vero, che il rientro dal debito pubblico è previsto in diciannove anni, salvo ulteriori dilazioni.
Modigliani chiarisce di suggerire una politica esattamente opposta rispetto a quella indicata dall'Euro. E qui è la tenaglia che rischia di strangolare definitivamente il Sud: dopo tutte le ruberie che hanno consumato i bucanieri del Nord e del Sud, dopo tutti gli sperperi registrati negli anni del grande scialo spacciato per politica meridionalistica, dopo i costi che continuiamo a sostenere in arretratezza, in emergenze, in vittime, che fare? Modigliani un'idea ce l'ha, e la propone nell'editoriale che segue. Spetta alle istituzioni italiane (Regioni, Stato) e comunitarie (gli Undici) dare una risposta al rombo, o urlo ultimo, forse neanche uscito dalla gola, salito dalle latebre dell'eterno Sud.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000