Cosa blocca il Sud e quanto costa il Nord




Sergio Modigliani



Il primo a porsi le domande è stato Paolo Savona: il Sud è stato abbandonato alla sua (triste) sorte dal Nord? Quali colpe ha il Sud per il suo attuale stato di cose? A queste stesse domande aveva cercato di rispondere, in un convegno, la Società italiana degli economisti. E il risultato era stato che, pur con tutti i difetti di semplificazione insiti in ogni sintesi, è chiaro che il Nord ritiene da tempo che sia venuto meno il vincolo di solidarietà con il Sud, per colpa del pessimo uso fatto delle risorse ad esso destinate nel dopoguerra, per l'ampliamento internazionale dei mercati, per la necessità del Nord di predisporsi per tempo alla concorrenza europea e globale.
Gli argomenti a sostegno di questa tesi sono di tipo socio-politico o più strettamente economico. Si continua ad affermare, infatti, che, a motivo dei fenomeni di criminalità e di clientelismo, il Sud si è mostrato incapace di gestire le risorse secondo una moderna logica di mercato. Si continua ad insistere inoltre che, a motivo dello scarso impegno produttivistico posto da imprenditori e lavoratori, il Sud rappresenta tuttora un'area di non convenienza agli investimenti e, quindi, di sottosviluppo. Pur con molta cautela e altrettanta onestà scientifica, su questa seconda tesi ribattono ormai da anni gli studiosi della Banca d'Italia e non pochi osservatori italiani e stranieri. Fra l'altro, va osservato che la nascita di piccole e medie imprese in Italia ha ormai nel Sud un ritmo di gran lunga superiore rispetto al Nord, anche se le distanze quantitative sono ancora siderali.
Sostiene Savona: "Non credo di potermi cimentare proficuamente sui temi socio-politici con le poche conoscenze teoriche di cui dispongo. Né voglio spingermi fino ad accreditare la teoria del "complotto" del Nord verso il Sud che in passato ho sempre respinto ma che, oggi, [...] mi convince sempre più. Miopia e egoismo contraddistinguono l'analisi del problema dello sviluppo economico e civile nel Mezzogiorno da parte dei gruppi dirigenti del Paese".
La reazione sul piano sociologico e politico di "rifiuto del problema" di questi gruppi è incoerente con i fondamenti della vita civile e democratica. Quando Abramo Lincoln abolì la schiavitù del Sud e il Sud si rivoltò contro l'editto, il Nord si sottopose a sacrifici indicibili sul piano umano ed economico pur di mantenere l'unità della Federazione e ribadire il principio civile dell'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Da noi invece - in fondo per molto meno - si abbandona il Sud a se stesso.
Sull'esistenza di vizi nell'analisi economica del "meccanismo di sottosviluppo" del Sud andiamo da anni attirando l'attenzione della pubblica opinione. In particolare insistiamo sul problema dei divari di produttività. Se la più bassa produttività del Sud fosse dovuta a incapacità degli investitori a far fruttare il capitale, il problema meridionale coinciderebbe con un difetto di imprenditorialità. Se invece fosse dovuta a scarso impegno dei lavoratori, il problema coinciderebbe con un difetto di comportamento socio-sindacale. Se infine fosse prevalentemente dovuta all'accertata carenza di infrastrutture (metà, rispetto al Nord), il problema meridionale coinciderebbe con un difetto di politica economica. Con ciò non escludiamo l'esistenza di difetti di imprenditorialità o di impegno di lavoro, ma non possiamo assegnare oggettivamente ad essi un peso determinante nel sottosviluppo del Mezzogiorno.
Decidere a che cosa si dovrebbe far risalire i divari di produttività non è elemento di poco conto nelle scelte di politica meridionalistica. Nel primo caso la "colpa" sarebbe delle popolazioni del Sud, nel secondo dello Stato. Ciò significa che, nella prima ipotesi, l'onere dello sviluppo ricadrebbe sulle politiche aziendali e sul sistema socio-economico; sarebbe cioè un problema principalmente del Sud. Nella seconda, sulla politica economica e sul sistema socio-politico, ossia sarebbe un problema da affidare principalmente alle cure dello Stato italiano.
Mentre attendiamo di chiarire tra noi questo aspetto centrale del problema, il problema-Sud langue, e l'opinione pubblica (non quella meridionale) continua ad esser convinta che il Sud sia assistito in quote abnormi, e che il Nord continui a "pagare per il Sud". Ma le cose stanno proprio così?
Per l'ordine e per la sicurezza, ma soprattutto per la sanità, per l'assistenza e per la previdenza, esiste tra Nord e Sud uno squilibrio mai, prima, messo in luce. A capovolgere il luogo comune del Sud superassistito, che non paga le tasse e che divora la spesa pubblica, assegnando al Nord il primato di tale spesa, è uno studio dell'Eurispes sugli effetti delle politiche d'intervento a favore delle regioni meridionali, dal quale emerge che, anche quanto a carico tributario, il Mezzogiorno paga il dovuto, e forse persino di più, visto che ha un reddito pro-capite pari soltanto ai due terzi del resto d'Italia.
Per dare una valutazione più corretta della pressione tributaria, afferma l'indagine Eurispes, non ci si deve fermare alle imposte dirette (maggiori del 2,2 per cento nelle regioni nord-occidentali), che, essendo progressive, finiscono per essere più alte nelle regioni più ricche. Occorre, invece, tener conto dell'effettiva natura economica del problema dell'incidenza reale del carico fiscale, calcolando anche le imposte che si nascondono nei prezzi: e, in questo caso, tra imposte indirette e oneri sociali, il contributo del Mezzogiorno risulta pari al 42,7 per cento del proprio Pil, contro il 40,9 per cento del Centro-Nord (41,3 per cento la media italiana). "C'è quindi da chiedersi - afferma il rapporto - se questa proporzionalità non sia in contrasto con il principio costituzionale secondo cui il sistema tributario è informato a criteri di progressività".
Che dire poi della distribuzione della spesa pubblica tra le varie regioni? Normalmente, a riprova dell'assistenzialismo accordato al Sud dalla pubblica amministrazione si cita la percentuale sul Pil dei consumi collettivi (14,5 per cento al Nord, 24,6 per cento al Sud). Ma anche in questo caso, si sottolinea, si utilizzano in modo errato i dati statistici, perché non si tiene conto del fatto che nel Meridione la proporzione è più alta perché è più basso il denominatore, vale a dire il prodotto del settore privato (agricoltura, industria, servizi vendibili).
La considerazione da fare a proposito della distribuzione dei consumi collettivi, invece, - afferma sempre Eurispes - è di altro tipo, e cioè che l'erogazione di molti servizi pubblici non può che essere fornita in proporzione alla popolazione, che è pari al 36,4 per cento nel Mezzogiorno e del 63,6 per cento nel Centro-Nord. E qui vien fuori la sorpresa: cioè, che la quota parte di consumi pubblici assorbita dal Sud è alquanto inferiore al suo posto demografico.
Eurispes cita quindi alcuni casi: per ogni 1.000 lire pro-capite di spesa pubblica destinate ai residenti del Centro-Nord, la quota del Sud è stata soltanto di 844 lire. "Per un primo gruppo di funzioni essenziali (servizi generali, difesa, ordine e sicurezza), i valori pro-capite risultano pressoché simili".
Per quanto riguarda l'istruzione, invece, il maggior valore pro-capite fatto registrare al Sud dipende dalla diversa struttura demografica, con un Sud dove i giovani sono più numerosi. E lo stesso motivo porta poi, probabilmente, alle differenze di rilievo, e a scapito del Mezzogiorno, che si registrano per le spese destinate alla protezione sociale, con scarti a favore del Nord del 13 per cento nella sanità, del 18 per cento nell'assistenza e del 32 per cento nella previdenza. Un ultimo gruppo di funzioni (abitazione, territorio, servizi economici e collettivi) presenta anch'esso un notevole scarto a sfavore delle regioni meridionali.


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