Questo
secolo, e con esso il secondo millennio della storia della civiltà
europea, si conclude con un'emergenza, con una grande crisi dell'occupazione
e del lavoro all'interno della società moderna. Finisce con un
problema che le generazioni precedenti non avevano mai avuto e ritenevano
di aver risolto: il problema di un livello di disoccupazione molto alto,
tendenzialmente crescente, che colpisce in modo particolare i giovani
e si caratterizza per la sua lunga durata. Si è quindi in presenza
di una dimensione emotiva di preoccupazione e di ansia per una società
che non sa creare lavoro a sufficienza.
Gli esperti parlano di "workless growth", di crescita senza
lavoro, almeno nella realtà comunitaria. L'aumentata produttività
legata all'innovazione tecnologica stenta a creare nuova occupazione,
ma elimina nello stesso tempo molti vecchi lavori. E il nostro secolo
tramonta con il rischio di mancare l'obiettivo di dare a tutti un lavoro,
di creare nuova occupazione per consentire che la soppressione dei vecchi
mestieri ripetitivi (ad opera dell'innovazione tecnologica e dell'automazione)
sia accompagnata da nuovi bacini di impiego e da nuove occasioni di
lavoro.
"Jobless
society": la fine della cultura del posto fisso
Nel nostro sistema economico che cambia rapidamente e diventa sempre
più competitivo a causa delle tre grandi minacce/opportunità
evidenziate da Cresson nel Libro Bianco Insegnare e Imparare: smaterializzazione
del lavoro e avvento della società dell'informazione, globalizzazione
dei mercati, sviluppo tecnologico, vi è un elemento di trasformazione
interna di particolare rilevanza che si potrebbe chiamare la fine
della cultura del fordismo, e cioè la fine della cultura della
grande organizzazione, del lavoro dipendente e della grande appartenenza.
Il nostro secolo culmina con la crisi di questo modello. La grande
impresa non va più di moda perché il mercato, il sistema
economico e le stesse attese dei consumatori sono tutte così
segmentate e di nicchia che anche la grande impresa deve articolarsi
al suo interno in unità produttive molto mirate al cliente.
Il sistema produttivo privato europeo è un sistema che ha una
dimensione media di 6,8 addetti per impresa ed è quindi caratterizzato
da una stragrande maggioranza di Pmi (piccole e medie imprese) che
giocano un ruolo decisivo nella creazione di occupazione e sono un
fattore di stabilità sociale e di progresso economico. Ed è
proprio nella piccola impresa che troviamo le realtà più
vitali, e i dati lo confermano: oltre il 70 per cento dell'occupazione
europea risiede nelle Pmi. La loro vitalità rappresenta pertanto
un elemento determinante per l'economia europea: le politiche volte
a sostenere il loro sviluppo debbono costituire la colonna vertebrale
delle proposte destinate a stimolare l'occupazione e la competitività.
Di fronte a questa situazione, se entra in crisi il valore della grande
dimensione - perché solo la piccola sa stare in tutti i meandri,
in tutte le nicchie del mercato moderno - allora è evidente
che non è il lavoro dipendente della grande organizzazione
ad essere determinante per lo sviluppo futuro, bensì il lavoro
dipendente nella piccola organizzazione, ed una importanza ancora
maggiore assumono il lavoro indipendente, il lavoro autonomo e la
piccola imprenditoria. Identificandosi, in molti casi, il manager
con l'imprenditore, è dunque in questo ambito che la formazione
manageriale e quella continua assumono valenza strategica. I problemi
formativi del personale delle Pmi richiederanno soluzioni in grado
di interpretare adeguatamente i loro bisogni per offrire servizi e
prodotti mirati di formazione.
La sfida per
il management
L'alto grado di competitività dei mercati non consentirà
più alle imprese di sottoutilizzare la risorsa più importante
(e anche più costosa) del prossimo business: l'uomo. I lavori
ripetitivi saranno spazzati via dall'automazione e le persone dovranno
svolgere ruoli complessi, nei quali si sommeranno competenze tecniche,
gestionali, relazionali. Il livello culturale di tutti i lavoratori
si muoverà nel tempo verso l'alto, e per tutti diventerà
sempre più importante mantenersi competitivi attraverso un
apprendimento continuo.
Iniziativa, autoaggiornamento, autostima e fiducia in se stessi, leadership
e capacità di comunicare e far crescere i propri collaboratori
saranno qualità sempre più importanti per i lavoratori
di domani e soprattutto per manager e quadri.
Come si rileva facilmente, quelle sopra elencate sono proprio le qualità
di base di un imprenditore, e lo sforzo che molti manager si dovranno
preparare a fare è proprio quello di trasformare se stessi
e i propri dipendenti in imprenditori.
Il lavoro complesso di domani richiede già ora un grosso sforzo
di formazione: l'80 per cento della manodopera del 2000 si trova già
sul mercato del lavoro. Formazione, dunque, non solo tecnologica per
tener conto delle innovazioni: si pensi alla tecnologia dell'informazione
e della comunicazione, oppure a Internet che fino a due anni fa, o
poco più, era sconosciuta ai più, ma soprattutto alle
competenze di base che umanizzano la persona distinguendola da una
macchina o da un robot, per quanto tecnologicamente sofisticati li
si vogliano pensare: autonomia, lavoro di gruppo, comunicazione, capacità
di relazione e socializzazione, attitudine ad apprendere.
Il già citato Libro Bianco ha ben messo in evidenza queste
priorità e ha auspicato una rivalutazione da parte dei sistemi
di formazione professionale della cultura generale, che viene incoraggiata
soprattutto nei programmi di riconversione dei lavoratori quale passo
obbligato verso l'acquisizione di nuove competenze tecniche. Questa
indicazione è un confortante segnale di un ritrovato umanesimo
all'interno della società tecnologica.
Le sfide per
la formazione
Nonostante i molti successi ottenuti negli ultimi anni, scuola e impresa
restano due parallele che raramente si incontrano. Specie nei Paesi
a cultura latina, il pregiudizio che la cultura d'impresa (basata
in gran parte sull'acquisizione di un sapere operativo attraverso
l'esperienza) non sia vero sapere in quanto non assimilabile ad una
scienza di tipo fisico-matematico è spesso diffuso in modo
più o meno latente. I sistemi formativi rivelano questa impostazione:
prova ne è il fatto che la cultura manageriale è entrata
nel "recinto accademico" solo in tempi relativamente recenti,
e spesso solo marginalmente.
Un altro pregiudizio, che i sistemi formativi europei si portano ancora
dietro, è la convinzione che la formazione manageriale sia
una formazione elitaria, riservata a pochi privilegiati. Prova di
questa affermazione è che raramente il sistema di educazione
e formazione iniziale prevede esplicitamente il finanziamento dei
cosiddetti Mba (Master Business Administration).
Gli Stati membri, attraverso il riconoscimento del pieno diritto della
formazione manageriale ad entrare a far parte dei sistemi formativi
nazionali, e la Comunità, attraverso il sostegno fornito dai
programmi di cui dispone in materia di istruzione/formazione, unitamente
alla concreta utilizzazione delle risorse del Fondo sociale europeo,
potrebbero svolgere un forte ruolo di "democratizzazione"
della formazione manageriale, consentendole di cessare di essere uno
strumento elitario quasi opzionale a cui si fa ricorso occasionalmente
e non strutturalmente, come invece esige il mercato e in particolare
il mondo delle Pmi.
Esaminando le cifre che gli Stati membri investono nel sistema di
educazione e formazione, si può rimanere impressionati dall'entità
dei finanziamenti nazionali e di provenienza comunitaria. Tuttavia
si ha a volte l'impressione che la partecipazione diretta ai programmi
europei sia ancora troppo bassa. Le imprese, infatti, concentrate
sul proprio business (ciò vale in particolare per le Pmi),
non dispongono spesso del know-how né del tempo per costruire
progetti formativi da sottoporre all'approvazione comunitaria.
In tema di diffusione della cultura e delle conoscenze, l'insieme
delle ricerche, progetti pilota e corsi di formazione che l'Unione
promuove stimolando la costituzione di parternariati transnazionali,
anche attraverso le università e le scuole di management, dovrebbero
essere diffusi al pubblico delle imprese e segnalati quali prototipi
da imitare e da diffondere in nuove edizioni riproducibili sull'intero
territorio dell'Unione.
Strumenti informatici, quali Internet e la costituzione di banche
dati dei prodotti e dei progetti, possono essere un primo passo operativo
per favorire l'abbattimento delle frontiere al libero movimento della
cultura e dei risultati della ricerca.
La consapevolezza che gli investimenti sulle persone costituiscano
la modalità principale per dare solidarietà alle imprese
e mantenerle competitive è ormai un fatto diffuso e acquisito
da molti imprenditori e manager. La formazione deve essere promossa
a nuove logiche, diverse da quelle segnalate dal benefit per i dipendenti,
se si vogliono ottenere i risultati in termini di accresciuta competitività
delle imprese.
Per i manager, occorrerà passare presumibilmente dall'apprendimento
individuale a quello organizzativo e in questo può essere di
utile riferimento il modello della "Learning organisation",
l'organizzazione che apprende, che si può sintetizzare in tre
caratteristiche:
- incoraggia gli individui ad ogni livello dell'organizzazione ad
imparare regolarmente e rigorosamente dal proprio lavoro;
- dispone di sistemi per assimilare l'apprendimento seguendo obiettivi
diversi;
- considera l'apprendimento da parte dell'intera organizzazione come
uno degli obiettivi aziendali.
L'attuazione di questo schema potrà avvenire solo attraverso
il coinvolgimento dei manager delle imprese, i quali dovranno essere
pronti ad accettare la sfida di una rottura con i tradizionali modelli
organizzativi e di management in favore di modelli "cooperativi".
Ai nuovi e futuri manager, oltre alle competenze legate al loro ruolo
funzionale, occorreranno capacità innovative di formazione
che portino a coinvolgere e far partecipi dell'apprendimento l'insieme
delle risorse umane in azienda.
A fianco dei nuovi modelli organizzativi, occorrono nuovi schemi per
la formazione in impresa che recepiscano le differenze di apprendimento
tra giovani in formazione iniziale e adulti già inseriti nel
sistema lavorativo. I nuovi schemi di formazione continua dovrebbero
essere integranti nei processi di lavoro tali da portare alla valorizzazione
dell'apprendimento informale: sviluppo dell'alternanza scuola-lavoro,
stage.
Sul piano generale, la formazione da dispensare ai futuri quadri e
dirigenti comporta la necessità di creare una cultura della
formazione, e ciò richiede particolare attenzione e impegno
da parte delle strutture educative e formative. Il modello europeo
a cui si deve confrontare l'impresa è un modello che postula
una cultura imprenditoriale diffusa in cui il manager deve essere
preparato ad affrontare una realtà in continuo cambiamento
che richiede livelli sempre più elevati di professionalità
ed esige una formazione continua di alta qualità estesa a tutti
i livelli aziendali poiché il tasso di obsolescenza dei processi
di conoscenza e di abilità è fortemente aumentato. L'integrazione
progressiva del mercato interno, la globalizzazione dell'economia
e l'avvento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione
cambiano il modo di gestire le imprese. Le differenze culturali dell'Europa
significano per definizione che la flessibilità manageriale
e le diversità di qualifiche richieste alle imprese implicano
una crescente estensione della capacità di lavorare in équipe
interculturali per padroneggiare in modo efficace le relazioni internazionali.
In questa dinamica, si colloca naturalmente la formazione manageriale,
che rappresenta lo sbocco più alto dell'istruzione e della
formazione professionale. E' proprio a livello manageriale che la
formazione continua è più avvertita, poiché è
a questo livello che è necessario apprendere rapidamente le
nuove regole del mercato europeo e dell'economia internazionale per
attuare principali strumenti di guida aziendale e ottenere i conseguenti
obiettivi di nuove tecniche gestionali: qualità totale, inserimento
di nuove tecnologie, marketing, ecc.
L'Unione europea può avere in questo un forte ruolo di stimolo
affinché la formazione in impresa si trasformi e diventi sempre
più adeguata alle esigenze di apprendimento dell'impresa.
L'azione comunitaria
L'importanza della dimensione europea dell'educazione e della formazione
è stata ripresa e rafforzata dagli artt. 126 e 127 del Trattato
di Maastricht, in cui viene ribadito, nel rispetto della sussidiarietà,
il ruolo della Commissione europea nell'assistere le istituzioni nazionali
nell'ambito di particolari discipline, ivi incluso l'aspetto della
formazione dei manager.
Le sfide indicate spingono verso nuovi sistemi pedagogici di apprendimento,
in cui l'apprendistato diventa parte integrante dell'insegnamento.
L'individuo si trova ad avere una nuova responsabilità: la
ricerca attiva di conoscenze. Tale approccio è fondamentale
per sviluppare la giusta attitudine verso l'occupazione e per l'adattamento
continuo ai cambiamenti. Inoltre, la relazione tra scuola e mondo
del lavoro viene descritta come la chiave di volta per favorire l'incontro
tra la domanda e l'offerta di occupazione. Le imprese vengono incoraggiate
ad aprirsi ad un ruolo sociale per facilitare il processo di apprendimento
durante tutta la vita.
Una significativa risposta a queste esigenze di cambiamento necessita
di una reale collaborazione tra i diversi attori interessati al tema
dell'educazione e della formazione: da un lato le scuole, le università,
gli istituti di formazione professionale e manageriale; e, dall'altro,
le parti sociali, il sistema delle imprese e le istituzioni nazionali
e comunitarie. Questa collaborazione permetterà di mettere
più concretamente in contatto il mondo formativo allargato
col mondo produttivo e con la società civile.
La collaborazione tra le parti dovrà consentire anche di meglio
definire la creazione di un sistema di rilevazione permanente dei
fabbisogni educativi e formativi, da rendere disponibile su scala
comunitaria attraverso un network o banche dati, la cui conoscenza
articolata permetterà di strutturare con elevati gradi di flessibilità
i livelli di istruzione e formazione in rapporto alle reali esigenze
delle imprese e della società civile europea: condizione, questa,
fondamentale per far comunicare in tempo reale i luoghi del sapere
e della produzione, far rilanciare la competitività in Europa,
ovviare all'attuale paradosso che vede da un lato elevati livelli
di disoccupazione e, dall'altro, una domanda di occupazione inevasa
per mancanza di specifiche qualifiche professionali.
Dobbiamo riconoscere che in quest'ultimo decennio in Europa sono stati
effettuati molti sforzi per mettere a punto politiche di formazione
continua, in cui particolare attenzione è stata posta alla
collaborazione tra gli attori interessati alla materia a livello del
territorio.
La questione che resta tuttora aperta è come promuovere il
curriculum europeo in un vero spirito europeo, cioè come favorire
il cambiamento di mentalità che faccia fare il salto di qualità
al sistema educativo e formativo. Dobbiamo passare da un curriculum
a base nazionale ad un altro, a base europea. Per far ciò sarà
fondamentale la capacità degli attori interessati a diffondere
le buone esperienze europee (buone pratiche). Uno sforzo dovrà
essere altresì fatto da parte degli enti competenti in ogni
Stato membro, al fine di promuovere una maggiore integrazione delle
conoscenze e dei curricula in Europa. Questo approccio va al di là
dell'aspetto prettamente giuridico del Trattato di Maastricht e implica
la reale volontà degli Stati membri di arrivare alla comunanza
degli obiettivi, senza perdere le caratteristiche proprie di ogni
sistema nazionale.
In questa logica sono stati concepiti i programmi Socrates e Leonardo
che, attraverso il finanziamento di progetti pilota, promuovono il
cosiddetto "spirito europeo". Per poter partecipare a questi
due programmi, la collaborazione tra i partners e la messa in comune
di obiettivi e risorse prendono il sopravvento sullo spirito di preservazione
nazionale. Le buone soluzioni adottate in uno Stato membro possono
servire da esempio e riferimento ad altri Stati, al fine di poter
sviluppare nuovi programmi.