Cartoline da Barbaria




a.b.



E' accaduto a fine maggio, venticinque giorni dopo che le lavine di fango avevano cancellato paesi e quartieri dell'agro nocerino-sarnese, seminandovi la morte. La prima cartolina veniva da Bologna. Vi era scritto: "Duecento sono pochi. Dovevate morire tutti". L'altra era timbrata Vallecrosia, ignoto villaggio dalle parti di Bordighera. Era indirizzata ai "Cittadini di Sarno - Terronia" e recitava: "Duecento camorristi schiacciati. Crepate bastardi. Viva la melma". Il sindaco felsineo si è scusato: ("La stupidità non ha confini"), al pari del collega di Vallecrosia ("Un episodio che non fa certo onore alla nostra città"). Il vescovo della diocesi campana ha ricordato che "i cittadini di Sarno hanno i calli alle mani e le gambe curve, oppressi dal lavoro", e ha posto il sigillo alla vicenda: "Non dobbiamo accettare simili provocazioni".
E invece tali "provocazioni" vanno raccolte e ribaltate.
Perché c'è un'Italia orribile che non dovrebbe avere diritto di cittadinanza in un contesto civile e che andrebbe cancellata (con la forza dell'azione politica e dell'azione giudiziaria) se soltanto ci fosse la volontà di fare i conti con essa, una volta per tutte. E' l'Italia rappresentata dagli emuli dei cialtroni che negli stadi gridavano "Colera colera" o "Grazie sisma", e che sui muri delle loro strade e delle loro case scrivevano "Forza Etna" o "Svegliati Vesuvio"; l'Italia infame di coloro i quali fanno disperare del genere umano, perché nei confronti degli "altri" ritengono di poter concepire odio e disprezzo, mentre la desolante consapevolezza della loro nullità denuncia la loro paura e la sfiducia in se stessi. Ciò che pesa è la codardia di chi non ferma la mano neppure al cospetto di centinaia di morti, preso dal pregiudizio che al di qua di fiumi che un pensiero più idiota che debole definisce "sacri" (si tratti del Po, dell'Arno, e ora persino del Reno) tutti quanti gli "altri" siano una massa indistinta di camorristi o di mafiosi che insidiano, minacciano, compromettono l'esistenza, l'economia, l'etica civile delle anime belle che abitano e diffusamente delinquono (Tangentopoli è cosa loro; i livelli di spaccio e consumo di droghe insegnino, al pari degli affari delle criminalità del Nord realizzati in collegamento con le criminalità organizzate del Sud) al di là.
Emerge da questa idea melmosa, che non comprendiamo se più oscena o demenziale, la considerazione che riguarda gli effetti devastanti che su spiriti intonsi e su sottoculture triviali può avere la predicazione insistita dell'odio, della discriminazione etnica, dell'insulto livido e sanguinoso, dettato dall'ignoranza abissale della storia della civiltà, dalla spregevole preoccupazione di veder compromesso il proprio benessere, dal terrore di perdere i propri privilegi (consentiti a lungo anche oltre i confini della legge) grazie ai quali hanno costruito la loro ricchezza sulle fondamenta dell'altrui povertà. E non si può fare a meno di ricordare come da troppo tempo i predicatori delle secessioni, i crociati delle guerre anti-unitarie, i grandi e piccoli Goebbels da stazzo, da fondovalle o da rocca urbana diffondano le loro velenose calunnie contro i meridionali, gli immigrati, i "diversi" d'ogni tipo, spacciando le menzogne più feroci e letali dello stesso fango che dalla montagna, in una tragica notte, è precipitato a seppellire gli uomini e i loro antichi sogni di riscatto.
Speranza vana ritenere che questi sordidi profeti vengano messi a tacere, o per lo meno siano costretti a pensare. Per sapere di esistere, costoro hanno bisogno soltanto del "nemico", e poiché non c'è limite alla loro viltà, lo scovano nell'immigrato, nel vicino di casa, o come presumono, nel meridionale geograficamente confinante. Allora, coraggio, untori d'Italia. In nome della legge di Peter, continuate a dimostrare di essere all'altezza della nostra barbarie.


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