AMARA TERRA MIA




Giulio A. Malorgio, Paolo Piccinni



Quando i consumatori esercitavano la loro domanda direttamente all'azienda agricola, i produttori potevano facilmente adattarsi al mercato modificando le loro produzioni in funzione delle esigenze dei consumatori, che avvertivano direttamente. Le aziende agricole erano poco specializzate e prevaleva la poliproduzione. Con lo sviluppo economico e l'allungamento dei circuiti commerciali, altre figure economiche sono comparse tra la fase di produzione e quella del consumo, trasformando la domanda di prodotti agricoli da domanda "diretta" in "derivata". In questa nuova condizione, la domanda di prodotti agricoli all'azienda, esercitata dai grossisti, dall'industria di trasformazione, dai centri di raccolta, dai mercati ortofrutticoli, ecc., ha obbligato le aziende agricole a specializzarsi in poche produzioni rispondenti ai requisiti di queste nuove figure commerciali.
La dinamica dei consumi alimentari, lo sviluppo delle forme di distribuzione e commercializzazione e la crescita della concorrenza sui mercati nazionali e internazionali hanno ulteriormente accentuato il processo di trasformazione organizzativa e produttiva del settore agricolo, non solo nell'attività produttiva ma soprattutto nell'aspetto organizzativo e commerciale.
La competitività, quindi, non dipende solo dalla possibilità di migliorare la tecnologia e le strutture, ma soprattutto dalla capacità di vendere non quello che l'azienda produce ma quello che il consumatore richiede. Ciò naturalmente ha imposto un cambiamento del comportamento degli operatori e la ricerca di nuove linee strategiche al fine di mantenere una posizione di mercato vantaggiosa.
Infatti diventano sempre più importanti elementi come la standardizzazione dell'offerta, caratteristica fondamentale per i gruppi distributivi che devono assicurare un approvvigionamento costante e uniforme in tutti i punti di vendita. Di conseguenza anche le tecniche di acquisto e di vendita dei prodotti, specie di quelli deperibili, come l'ortofrutta, rappresentano per i produttori che vogliono affrontare con efficacia i mercati esteri o le moderne forme distributive un vantaggio competitivo notevole.


Altro importante elemento è la qualità dei prodotti, che richiede un'azione coordinata dei diversi operatori della filiera e un elevato impiego dei derivati tecnologici.
Di fronte a tali evoluzioni la produzione agricola salentina non presenta un adeguato e soddisfacente grado di dinamicità. L'analisi delle caratteristiche evolutive dell'agricoltura leccese evidenzia la scarsa capacità di adattamento strutturale e organizzativo imposto dalle nuove condizioni del mercato. Le produzioni provinciali incontrano notevoli problemi sui mercati a causa della mancata o insufficiente organizzazione produttiva e commerciale, le cui difficoltà di penetrazione si sono accresciute con i rapidi processi evolutivi del sistema distributivo e della globalizzazione dei mercati.
Il disagio delle aziende agricole deriva principalmente dalla mancanza di un comune e coerente percorso evolutivo capace di rispondere con prontezza alle tendenze innovatrici del settore E' facile osservare come lo sviluppo dell'agricoltura leccese, inizialmente, è stato essenzialmente legato alla presenza di un mercato locale in grado di assorbire le modeste produzioni. Questa crescita non è supportata, però, da una logica programmatoria che tenga conto delle esigenze evolutive della domanda e dello sviluppo delle moderne forme distributive, ma resta ancorata ai fattori competitivi tradizionalmente riconosciuti, quali le condizioni ambientali, le tradizioni culturali, ecc. nella convinzione che tali fattori siano sufficienti a esercitare e mantenere una competitività nel confronti di altre regioni.
Va evidenziato che non basta disporre di un'offerta adeguata al soddisfacimento dei bisogni, ma occorre che i prodotti siano messi nella disponibilità del consumatore finale, nelle condizioni di tempo e di luogo idonee a soddisfare le esigenze del consumo. Questo significa individuare i più idonei canali di commercializzazione e organizzare il funzionamento dei flussi logistici in modo da assicurare la presenza dei prodotti nei punti vendita.

Il problema dell'adattamento dell'offerta
Caratteristiche delle strutture agrarie salentine sono le dimensioni aziendali molto modeste, mediamente intorno ai 2,6 ettari, l'elevata presenza del fenomeno del part-time, la scarsa mobilità della terra e la mancanza di forme di integrazione verticale o orizzontale. Ciò, naturalmente, rallenta qualsiasi processo evolutivo e la possibilità di investimenti capaci d'introdurre innovazioni di processo e di prodotto e di adottare moderne forme gestionali più remunerative ed efficienti. Nel 1995, la PLV provinciale ammonta a circa 1.000 miliardi e rappresenta il 12% di quella regionale. Nell'ambito dell'economia agraria leccese i settori che forniscono il maggior contributo sono l'olivicoltura con il 55% della PLV complessiva, l'orticoltura e la floricoltura, entrambe con il 10%, le coltivazioni industriali con il 9% e la viticoltura con il 5(Y0. Dall'andamento evolutivo nella composizione della PLV si possono constatare alcuni segnali rispetto ai cambiamenti delle esigenze di mercato; tra il 1980 e il 1991 aumentano la floricoltura e l'orticoltura, mantengono livelli più o meno costanti la patata e l'olivicoltura, diminuiscono i cereali, la vite e il tabacco, si sviluppano le colture "no-food".


Se da un lato si riscontrano fenomeni di intensivazione, dall'altro si denota una forma di disattivazione dei processi produttivi in cui si manifestano una riduzione dell'impiego di risorse e la volontà di non investire. Non a caso la provincia di Lecce, rispetto al resto della Puglia, presenta l'incidenza maggiore di colture che rientrano direttamente o indirettamente negli Interventi di sostegno comunitari e nazionali. Riguardo al comparto orticolo, questo occupa nell'ambito dell'agricoltura provinciale un posto di rilevante importanza per l'elevato impiego di manodopera e per il valore della produzione lorda vendibile ottenuta.
Il settore orticolo si è affermato sul territorio per le concrete potenzialità produttive espresse grazie alle favorevoli condizioni pedoclimatiche, esaltate dagli incrementi di superfici irrigabili, che consentono una continuità di produzione e un ampliamento della gamma produttiva. L'orticoltura salentina è tipicamente orientata al mercato fresco.
Dal punto di vista strutturale, il comparto interessa una superficie di 10.265 Ha, un cospicuo numero di aziende di modeste dimensioni con elevata parcellizzazione colturale, il che determina una notevole dispersione dell'offerta.
La gamma dei prodotti realizzati non presenta una razionale differenziazione né tantomeno un cambiamento nel tempo. Ciò deriva da un lato dalle caratteristiche
dell'imprenditore spesso poco propenso a modificare la propria attività e dalla scarsa conoscenza tecnologica e di mercato, dall'altro dalla mancanza di idonee strutture locali per la commercializzazione e la trasformazione di determinate specie orticole, tali da incentivare l'introduzione di nuove colture.


Se a tali considerazioni si aggiunge che nella stragrande maggioranza dei casi l'avvicendamento colturale è conseguenza della specifica struttura aziendale e degli obiettivi prioritari che l'imprenditore intende perseguire, come la massimizzazione dell'impiego di manodopera, spesso familiare, e del reddito di lavoro disponibile, si ha un'idea più esatta dei limiti oggettivi che si incontrano nella riconversione degli ordinamenti orticoli tradizionalmente seguiti.
Quanto accennato spiega chiaramente anche i motivi che spingono l'orticoltore a continuare con produzioni che trovano difficile sbocco sul mercato, risultando incapaci di fornire non solo redditi adeguati, ma anche di far cogliere quelle soddisfazioni correlate alle compiute valorizzazioni, di prodotto e di processo, delle produzioni attuate.
Ai problemi di carattere aziendale si aggiungono anche quelli di tipo organizzativo, dovuti alla mancanza di forme associative capaci di favorire un processo di concentrazione e orientamento dell'offerta. Ci si riferisce alla scarsa efficienza e operatività delle strutture cooperative e delle associazioni dei produttori. In Puglia sono presenti 2.209 cooperative agricole, di cui 357 dedite alla raccolta, trasformazione, conservazione e vendita di prodotti ortofrutticoli. La maggior parte di queste risulta concentrata in provincia di Foggia, Lecce e Bari, nelle rimanenti province è presente poco più del 20% delle cooperative (Graf. 3).
La maggior parte delle cooperative ortofrutticole pugliesi è di limitata dimensione sia nell'aspetto patrimoniale sia nel numero di soci aderenti e nelle quantità di prodotti trattati.
Per quanto riguarda il prodotto fresco, questi organismi non espletano alcuna funzione di rilievo. Nella provincia, così come in regione, infatti è molto diffuso l'utilizzo dello strumento cooperativistico, spesso da parte degli stessi operatori commerciali all'ingrosso, solo per ragioni di opportunità fiscale o contributiva.
La cooperazione nel comparto orticolo leccese, nell'ambito del trattamento e della commercializzazione del prodotto fresco, si presenta nel complesso strutturalmente debole nei confronti del mercato, con un volume totale di offerta limitato ed estremamente polverizzato, uno scarso potere contrattuale e una gamma di prodotti il più delle volte inadeguata in relazione alle esigenze e ai nuovi orientamenti della domanda.


Un fattore che accomuna la maggior parte delle cooperative leccesi e/o pugliesi sia di produzione che di trasformazione è la mancanza di strategie commerciali adeguate al tipo di prodotto ottenuto. Le politiche di vendita assumono un ruolo residuale in quanto la maggior parte della produzione conferita dai soci viene ceduta ad operatori privati che provvedono a commercializzarla.
Situazione analoga a quella della cooperazione si riscontra per le associazioni dei produttori. Nate, in base alla legislazione comunitaria e nazionale, come organismi atti a favorire la concentrazione dell'offerta e contribuire a migliorare la commercializzazione dei prodotti, le associazioni dei produttori ortofrutticoli in provincia di Lecce non hanno fornito alcun contributo all'organizzazione del mercato.
L'attività di commercializzazione dei prodotti ad opera delle associazioni è quasi del tutto inesistente in quanto risulta limitata solo ad alcuni ridotti quantitativi destinati alle industrie di trasformazione, con le quali vengono stipulati contratti in base ad accordi interprofessionali.
A ciò va aggiunto che il produttore orticolo associato si considera parte dell'associazione solo in presenza di situazioni di mercato sfavorevoli, per poter beneficiare di eventuali contratti o dei ritiri dal mercato, mentre in caso contrario preferisce collocare autonomamente sul mercato le proprie produzioni. Operando in questo modo, le possibilità di avviare forme di coordinamento tra le diverse attività capaci di affrontare l'evoluzione del mercato vanno completamente eluse.

Le figure e le strutture commerciali
L'assetto strutturale e funzionale del commercio all'ingrosso a livello nazionale va ridisegnandosi allo scopo di adeguarsi alle tendenze attuali. Le strutture annonarie vedono progressivamente ridimensionata la loro posizione di riferimento nell'organizzazione degli scambi tra gli intermediari commerciali. Questi ultimi, a loro volta, si trovano sempre più sollecitati da parte della distribuzione moderna a modificare le modalità e le tipologie di servizio offerto, basato sulla rapidità, trasparenza ed efficienza. Le strutture annonarie, realizzate e concettualmente valide all'inizio degli anni Sessanta oggi presentano alcune difficoltà nell'affrontare la dinamica del mercato.
Come risulta dal confronto temporale riportato nel grafico, dal punto di vista delle capacità di assorbimento, si nota come i mercati all'ingrosso non abbiano risentito, se non minimamente, delle consistenti variazioni che hanno interessato la produzione orticola nel corso del tempo (Graf. 4).
Del resto, l'impossibilità di incrementare ulteriormente la produzione transitata, in seguito ad eventuali espansioni della produzione, è dimostrata non solo dal fatto che ciò non è avvenuto in passato quando tali incrementi produttivi si sono verificati, ma anche perché i quantitativi trattati al loro interno sono rimasti pressoché stabili anche quando si sono verificate variazioni nel numero di operatori (grossisti e produttori) che svolgono la loro attività in queste strutture.
Tale situazione è confermata dalla dinamica del dato che esprime in percentuale il rapporto tra le quantità introdotte nei mercati annonari e la produzione orticola regionale in diversi anni.
Come si vede nella tabella di pag. 62, dunque, la produzione orticola transitata dalle strutture annonarie è diminuita nel corso del tempo, passando da oltre un quinto del totale al 9% circa del 1994.
Da quanto detto in precedenza, risulta che tale situazione si è determinata non in seguito ad una riduzione dei quantitativi commercializzati nei mercati all'ingrosso, quanto piuttosto per l'incremento avvenuto nella produzione orticola che in parte ha avuto la possibilità di essere collocata sui mercati utilizzando altri canali di commercializzazione diversi dai mercati pubblici. Questi ultimi conservano quindi la loro importanza e funzionalità nel circuito commerciale tradizionale e locale poiché risultano ancora perfettamente confacenti alla struttura della rete di vendita al dettaglio provinciale e regionale, ancora composta in prevalenza da tipologie di vendita quali il piccolo dettaglio e l'ambulantato, le cui esigenze di approvvigionamento e di servizio vengono ampiamente soddisfatte.
Il comparto ortofrutticolo comprende un elevato numero di operatori commerciali. L'espansione si è verificata nel decennio compreso fra gli anni '70 e '80 quando la crescita di questi operatori è stata del 130%, mentre nel decennio successivo ha sfiorato il 25%; la provincia di Lecce, fino al 1991 ha visto aumentare consistentemente gli operatori ortofrutticoli, il cui numero è passato da 69 a 613 (Graf. 5, pag. 63).
Per quanto riguarda la composizione, il maggior numero degli iscritti è rappresentato da grossisti, i quali costituiscono oltre il 90% del totale. In particolare, nelle province di Bari e di Foggia risulta iscritta la maggior parte dei grossisti e dei commissionari. Dal punto di vista strutturale l'elevata consistenza numerica appare il principale fattore che limita lo sviluppo dimensionale delle imprese grossiste. Nel Leccese, infatti, persiste ancora una quota cospicua di imprese commerciali all'ingrosso (circa il 90%) che impiega al suo interno un numero di addetti inferiore a dieci unità; mentre le aziende di medie dimensioni sono il 10% circa. Gli operatori all'ingrosso più "piccoli" (prevalentemente raccoglitori e incaricati d'acquisto) svolgono la loro attività nell'ambito locale e su volumi ridotti di merce che successivamente viene venduta a grossisti di maggiori dimensioni con i quali quasi sempre hanno stipulato accordi commerciali che vincolano entrambe le parti.
La quota della produzione orticola provinciale che passa attraverso il canale rappresentato dai grossisti che operano al di fuori di qualsiasi struttura di mercato è pari al 60% circa del totale; ciò evidenzia la particolare importanza che questa figura commerciale assume nella fase di commercializzazione.
Per quanto concerne il sistema di commercializzazione, le tecniche di acquisizione e vendita dei prodotti si basano prevalentemente su accordi verbali tra produttori e grossisti, definiti a campagna di produzione già avviata e soggetti spesso ad un elevato grado di aleatorietà. Ciò, naturalmente, preclude qualsiasi forma di programmazione e di trasferimento delle informazioni indispensabili per attivare qualsiasi strategia di sviluppo del comparto.
Per quanto riguarda la clientela dei grossisti ortofrutticoli, la sua composizione è fortemente influenzata dalla posizione geografica che impedisce di essere a contatto diretto con le aree di maggior consumo delle produzioni interessate, il che comporta ulteriori interventi da parte di soggetti residenti fuori provincia con funzione di intermediazione.
La quota di prodotto destinato ai mercati esteri corrisponde a un quinto circa del totale commercializzato da questi operatori. Per i grossisti-esportatori di maggiori dimensioni la clientela è rappresentata in larga misura dalla grande distribuzione, mentre le imprese minori trovano nei mercati all'ingrosso dei Paesi importatori lo sbocco per la maggior parte delle vendite. Va tenuto presente inoltre che la capacità di entrare in contatto diretto con la grande distribuzione estera dipende, oltre che dalla qualità del prodotto inviato, anche dal grado di flessibilità di cui è dotata l'azienda ad adeguarsi a nuove forme di confezionamento e condizionamento del prodotto.


Pertanto, la comune interpretazione dell'esportazione come valvola di sfogo per le eccedenze delle produzioni locali ha reso aleatorio e difficile il processo di internazionalizzazione delle imprese commerciali e ancora oggi, nonostante le esperienze di commercio con l'estero siano ormai avviate da diversi anni, permangono delle difficoltà di ordine organizzativo e strutturale:
- elevato numero di imprese esportatrici;
- limitato numero di referenze inviate all'estero, si tratta in particolare di una mono-esportazione, in ragione dell'assoluta prevalenza della patata (85-90%) rispetto alle altre specie;
- scarsa efficienza dei sistemi dei trasporti;
- sistema di vendita adottato, principalmente in conto commissione, basato sulla definizione del prezzo sui mercati d'arrivo.
In ragione di ciò l'esportatore leccese e ancor di più il produttore agricolo non conoscono il prezzo della merce se non quando la stessa è stata esitata sui mercati lontani anche migliaia di chilometri e dopo alcuni giorni dalla cessione effettiva. Inoltre, anche quando si verificano contrattazioni con prezzi fissati "fermo partenza" sul luogo di produzione, molto sovente vengono arbitrariamente decurtati delle eventuali flessioni di prezzo che si vengono a registrare nel periodo intercorrente fra la spedizione e l'arrivo sul mercato estero.
E' possibile quindi individuare elementi di rischiosità nel sistema esportativo leccese, dovuti alla forte concentrazione della gamma di prodotti limitata a poche referenze e alla mancanza, di fatto, di mercati alternativi a quello tedesco tanto da porre le produzioni provinciali alle strette dipendenze di pochi importatori. Ciò comporta la possibilità di pericoli derivanti da situazioni contingenti che si possono venire a creare e riconducibili a crisi di mercato, a cambiamenti nei' consumi individuali, alla presenza di produzioni concorrenziali in termini di prezzo o di qualità. Inoltre in termini di identificabilità delle produzioni, lo scarso sviluppo della politica di marca, le confezioni e gli imballaggi (quando previsti) diseguali tra loro rendono problematica qualsiasi politica di valorizzazione del prodotto. In definitiva, l'export leccese sembra che abbia come principale obiettivo quello di trovare mercati in grado di assorbire le produzioni locali in eccesso, senza attuare strategie e politiche che adattino il prodotto alla domanda estera. Infatti, nonostante negli ultimi anni il flusso di esportazioni ortofrutticole della provincia sia rimasto quantitativamente invariato, i profitti degli operatori sono diminuiti a causa della forte concorrenza proveniente dagli altri Paesi del bacino mediterraneo. Tale concorrenza infatti ha portato alla luce le carenze del sistema commerciale rispetto alle esigenze del mercato. Queste ultime hanno dimostrato quanto siano obsoleti i sistemi di acquisto e di vendita che vengono tuttora adottati nella regione.


Le dimensioni attuali non consentono agli esportatori di programmare le coltivazioni per offrire qualità e gamma completa di prodotti per l'intero arco dell'anno, ma, al contrario, consentono di perseverare su politiche basate sulla quotidianità e sul realizzo immediato.
Pertanto, considerando le esigenze della distribuzione finale (standardizzazione delle produzioni, servizio aggiuntivo sul prodotto, capacità di approvvigionare la grande distribuzione e la garanzia della qualità), si comprende perché non solo i mercati di partners europei, ma anche quelli interni, possano trovare "non preferibili" le produzioni leccesi, quando queste mantengono caratteristiche produttive e commerciali tradizionali la cui competitività è affidata solo a fattori di prezzo.

Alcune considerazioni conclusive
La mancanza di forme di aggregazione e la concentrazione dell'offerta e l'azione individuale e frammentaria degli operatori commerciali costituiscono i principali fattori di debolezza dell'intero comparto ortofrutticolo salentino.
Le condizioni di conservazione, collegate alla predisposizione di efficaci ed economici sistemi di trasporto, la crescente competitività dei mercati basata su azioni rivolte alla qualità e promozione dei prodotti e lo sviluppo della tecnologia nel condizionamento e lavorazione dei prodotti ortofrutticoli necessaria per far fronte alle richieste di servizi della distribuzione moderna richiedono da una parte notevoli investimenti e dall'altra un'efficace struttura organizzativa. Tali esigenze superano la capacità d'azione di singole strutture e necessitano l'individuazione di aree di attività in cui possano operare solo gruppi di imprese al fine di ottenere sostanziali vantaggi negli investimenti e nella gestione delle relazioni commerciali.
Va evidenziato che le possibili ipotesi di sviluppo devono nascere da un'azione comune tra produttori o loro rappresentanti e operatori commerciali in maniera tale da consentire un utilizzo razionale delle risorse umane e finanziarie nella ricerca di nuovi mercati, nella definizione degli standard qualitativi lungo tutta la filiera e nella messa a punto di un'efficace attività logistica.
Sul mercato salentino, come si è osservato, si riscontra una riduzione del numero degli operatori commerciali all'ingrosso tradizionali, solo parzialmente compensata dall'aumento del numero dei cosiddetti "repackers" e "pakagers", vale a dire di quegli operatori che provvedono a confezionare la merce nel modo più adatto per la sua vendita ai consumatori finali.
Ciò evidenzia il lento processo di adattamento della componente commerciale alle esigenze del mercato. Infatti gli operatori commerciali sono chiamati, in misura sempre più frequente, a ricoprire una funzione di coordinamento della produzione agricola e cioè a fornire ai committenti quei servizi di coordinamento e d'informazione indispensabili per l'incontro della domanda e dell'offerta. L'evoluzione di tale forma organizzativa richiede una partecipazione attiva sia della parte agricola nel recepire e mettere in atto gli interventi adeguati sia della parte commerciale nel fornire in maniera trasparente tutte le informazioni necessarie.
Tale evoluzione organizzativa richiede, però, la definizione e il rispetto di norme e di regolamentazioni ben precise, un coordinamento delle strategie aziendali e un impegno finanziario mirato all'acquisizione di mezzi tecnici e di innovazioni tecnologiche. Per raggiungere tali obiettivi si impone sempre più lo sviluppo di meccanismi di coordinamento verticale che, attraverso strumenti contrattuali o forme d'integrazione, possano rispondere in maniera tempestiva alle esigenze del mercato.
Per concludere, l'errore frequente nel campo della programmazione e dell'intervento pubblico a livello locale, vedi le iniziative della Provincia, della Camera di Commercio e di altri enti locali, è quello di non considerare l'attività produttiva e mercantile intimamente collegate ed economicamente integrate. Sovente si è pensato che l'obiettivo principale del pianificatore debba essere quello di favorire e di accelerare lo sviluppo della produzione agricola, limitando gli interventi esterni al solo settore della produzione. Ciò col presupposto che una volta stimolata la produzione, il mercato debba trovare autonomamente gli stimoli necessari per meglio adattarsi alla nuova situazione.
Altre volte si è riconosciuta la necessità d'intervenire nei settori distributivi allo scopo di favorire lo sviluppo dell'intero settore agricolo, ma generalmente tali interventi sono stati limitati alle sole attrezzature tecniche necessarie alla distribuzione fisica dei prodotti, senza tenere realmente presenti tutte le caratteristiche e le esigenze del mercato, sia quelle attuali sia, a maggior ragione, quelle future. Bisogna tenere presente che un mercato non è tanto un fatto tecnico quanto e soprattutto un fatto economico. E' sulle caratteristiche e sulle deficienze economiche che bisogna guardare in un primo momento per esaminare poi l'aspetto tecnico solo quando le prime siano ormai conosciute a sufficienza.


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