PAROLE ALATE, GLORIA FRAGILE




Claudio Alemanno



Archiviato il puzzle costituzionale nell'icona delle occasioni perdute, hanno preso vigore vecchi e mai sopiti impulsi propositivi. Restano tuttavia ben salde le incognite e le nequizie paralizzanti della "politique politicienne". In questo clima possono nascere nuove Tavole, ma non avremo mai un nuovo Stato. L'esercizio dei poteri forti - Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio - dovrà sempre fare i conti con la resistenza delle nomenklature di vario titolo. Il diritto di tribuna parlamentare garantito ai partiti e ad embrioni di partiti, l'aggiornamento continuo degli organigrammi senza programmi, le miniscissioni e le semifratture mettono in mora ogni ipotesi di riforma costituzionale paralizzando di fatto la formazione di maggioranze-guida omogenee e credibili. Il cittadino inerme continua a porsi l'interrogativo di sempre. E' meglio essere guidati da uomini di ferro su barche di legno o da uomini di legno su barche di ferro?
Un potere rappresentativo opaco rende opache anche le proposte dei Costituenti che assumono più valore di manifesto che di programma. "Non si può fare un'omelette senza rompere le uova", usava ripetere Isaiah Berlin, un prestigioso intellettuale da poco scomparso.
In Italia le uova sono state rotte all'inizio degli anni '90 ma non si vede ancora l'omelette. Che vi sia crisi endemica di governabilità è noto. Anche il recupero immaginato con l'esperimento federalista non può dare molti risultati. Intanto il termine è viziato di abuso e uso improprio. Nella proposta di riforma sta ad indicare solo l'ulteriore ampliamento dell'area delle autonomie. Non vi è traccia di pluralismo statuale (federalismo in senso tecnico: dal latino foedus, patto, alleanza tra eguali) né poteva essere altrimenti dal momento che nessuno, con eccezione per l'ambiguità della Lega, intende decretare formalmente la fine della storia unitaria e la polverizzazione del mercato domestico.
I leaders della Lega parlano nelle piazze di secessione, mentre nel Palazzo chiedono la "devolution" (devoluzione di poteri, attuata di recente in Polonia, Galles e Scozia). Questa formula amministrativa nulla ha a che fare con il federalismo. Si tratta di un istituto antico e largamente usato nel mondo anglosassone, assimilabile agli statuti speciali di alcune regioni italiane.
L'originalità è data dal concetto di delega che ispira questi provvedimenti, cosa diversa dal concetto di autonomia utilizzato in Italia (non è casuale che i sistemi di "common law" non abbiano diritto amministrativo). Dall'ampliamento del grado di autonomia nasce ora l'idea di un federalismo casereccio (con le leggi quadro lo zampino dello Stato c'è sempre!) fatto di ampi e quasi illimitati poteri legislativi attribuiti alle Regioni (istruzione, assetto del territorio, sanità, trasporti, fonti energetiche, sicurezza del lavoro, protezione civile, legge elettorale, ecc.). Questo grado elevato di autonomia legislativa può funzionare quando vi è in parallelo un grado elevato di autonomia gestionale (vedi Stati Uniti, Svizzera, Belgio, Gran Bretagna), quando cioè i servizi di cui si parla sono curati da aziende che operano in regime privatistico, di concorrenza e di mercato. Il "vizietto" italiano è notoriamente di segno opposto. Pertanto il rischio che la crisi di governabilità inghiotta gli ultimi propositi di rinnovamento dello Stato resta elevato. Ma se ciò è nella tradizione italiana lo è un po' meno nella logica delle cose europee. Gli accresciuti poteri delle istituzioni comunitarie danno all'Europa un primato morale, politico e giuridico di fronte al quale si avverte il progressivo affievolimento dei tradizionali poteri espressi dalle sovranità nazionali. Ne deriva che l'instabilità nel governo del sistema Italia, pur restando un fatto interno, produce turbative di rilevanza sovranazionale. Più difficile ad esempio diventa l'attuazione delle politiche di bilancio e delle politiche economiche di medio, lungo periodo. Cosa di rilevante significato in un Mercato europeo guidato dalla moneta unica ("Moneta" è l'appellativo che i latini davano a Giunone, dea della memoria, sempre pronta a consigliare e avvertire i mortali sulle ire e i favori degli del).
Se si considera che a seguito della globalizzazione si va rapidamente affermando un grande Mercato unico che acquista nuovo dinamismo da un regime valutario bipolare ancorato al dollaro (delegazioni americane ed europee hanno già contatti periodici a Bruxelles e Washington), è verosimile ritenere che le turbolenze regionali costituiranno variabili impazzite per le dinamiche di sviluppo programmate dai modelli eurocentrici.
Non essendoci più margine di manovra per politiche nazionali di svalutazione competitiva le questioni istituzionali diventano il vero banco di prova della futura realtà europea e non possono più considerarsi di esclusiva pertinenza nazionale.
L'idea dominante della cooperazione deve cedere il passo a quella più incisiva dell'integrazione su base federalista. Un sogno antico e incompiuto, sempre esiliato nel regno delle fantasie disneyane. Ora c'è un vero evento rivoluzionario, l'euromoneta.
Sulla credibilità del nuovo regime valutario l'Europa fa una scommessa con se stessa, con la capacità di attrezzarsi per una gestione pubblica di economie di mercato. Le Borse, nonostante l'euforia dell'esordio, sono sempre caute rispetto a fenomeni di questa natura. Vorranno garanzie e anzitutto una duplice certezza: avere di fronte una democrazia continentale diffusa, stabile ed efficiente e un mercato che non sia di marca anglofona, francofona, italofona, ecc. (anche le strutture aziendali dovranno cambiare, aderendo al progetto globale).
La democrazia italiana ad esempio ha caratteristiche peculiari che rendono instabile il suo sistema di governo. Un'anomalia presente sin dalla costituzione dello Stato unitario è rappresentata dalla forte enfasi attribuita alla componente politica. La sua forza invasiva penetra in ogni segmento della società civile. Finisce per rendere asfittico il mercato interno (una Borsa piccola si nutre di parentele autorevoli, agevola le manovre speculative ed espone i risparmiatori a posizioni di oggettiva debolezza) e per dare significato ideologico ad ogni anelito di vita culturale, due cardini della dialettica democratica mortificati dalla logica degli schieramenti. La stessa Carta Costituzionale porta i segni di una forte matrice politico-ideologica (antimonarchica nella forma Stato, antifascista nella forma Governo). E gli eventi che fanno Storia vengono letti, composti e scomposti con precise finalità strategiche di servizio.
L'overdose di politica obbliga i responsabili dell'azione di governo a tenere conto di una serie infinita di coordinate che rendono tortuoso, complesso e aleatorio il processo decisionale. In questo clima si è svolto anche il dibattito in Bicamerale dalla cui liturgia è stata esclusa ogni riflessione sulle problematiche che la nuova dote euro ci impone. Un approccio supportato da solide convinzioni di integrazione sovranazionale avrebbe consentito di ragionare più a freddo sulle istanze di buon governo, con una logica diversa da quella minimalista utilizzata per assicurare ai poteri dominanti successi effimeri nei meandri della politica nazionale. Eppure la sollecitazione all'efficienza e al riordino istituzionale impressa dal processo unitario in sede europea è un segnale certo e irreversibile (il progetto della Bicamerale conteneva un richiamo debole e formale all'impegno europeista negli artt. 114, 115, 116). Guardando oltre frontiera, l'unificazione del Mercato finanziario richiede nel dialogo internazionale la presenza di un soggetto politico europeo che abbia autorità e competenza sulle scelte di politica economica. Il presidente della neonata Banca centrale europea avrà nel settore monetario prestigio ragguardevole, potrà operare con determinazione sui tassi ma non potrà effettuare scelte di natura politica. La Commissione e il Consiglio restano organi compositi con poteri limitati, con i rispettivi membri espressi sempre da poteri statali. Costituzionalmente risultano inadeguati a svolgere un mandato autorevole di respiro internazionale.
Il federalismo europeo (l'unico accettabile in senso tecnico) è appendice necessaria dell'euromoneta. Ogni subordinata crea aree d'influenza semicoloniali, piccoli Commonwealth intraeuropei retti da giocolieri che perseguono i loro disegni di equilibrio utilizzando attrezzi altrui. Questa via maestra va percorsa rapidamente e con determinazione prendendo spunto dall'esperienza americana con cui il Mercato ha già creato molteplici coordinate di contatto (nel 1788, anno in cui la Costituzione degli Stati Uniti diventa efficace, il dollaro trova immagine politica in un Presidente che rappresenta nove Stati mentre opera alacremente il Partito Federalista per sollecitare l'adesione degli altri Stati). In Europa questo profilo di ricerca è rimasto sempre sotto tono. Sul versante economico dominano invece senza ostacoli di frontiera gli strumenti tipici del "new capitalism" angloamericano (flessibilità, mobilità, innovazione, monetarismo strisciante). A questo fenomeno occorre dare coordinate istituzionali che consentano al dinamismo economico di non mortificare la crescita sociale. Le risposte nazionali sono insufficienti a fissare regole per un capitalismo che la solidarietà transatlantica rende più aggressivo grazie al binomio curo-dollaro.
Non è casuale che l'accordo di 130 mld di dollari tra Daimler Benz (Deutsche Bank principale azionista) e Chrysler sia stato contestuale all'avvio dell'euro e che abbia assunto veste giuridica privilegiando l'adozione di un'Ag (SpA di diritto tedesco). Per la prima volta gli americani sperimentano attraverso il Consiglio di sorveglianza che definisce le strategie d'impresa la compartecipazione (con parità di seggi escluso il presidente) dei rappresentanti degli azionisti e dei lavoratori. La mitica "mithestimmung", fiore all'occhiello dell'economia sociale tedesca, varca la frontiera europea ed entra nei santuari del capitalismo americano. Viene così sottolineata autorevolmente la necessità di portare sul confronto istituzionale i temi centrali della dialettica di mercato. Incominciando a riflettere sulle diverse realtà politiche a confronto.
Negli Stati Uniti i singoli Stati sono i principali custodi della legalità. Ciascuno di essi ha Costituzione e leggi proprie. Il progressivo affermarsi del decentramento della legge ha poi consentito che nei distretti inferiori all'Ente Stato (città, contee, ecc.) si insediassero durevoli "conventions" per la gestione del governo locale. Le autorità federali sono invece accreditate di "poteri numerati", determinati dalla Carta Costituzionale. Questo criterio è stato poi precisato con l'adozione del decimo emendamento dove si stabilisce che "i poteri non delegati agli Stati Uniti dalla Costituzione, non vietati da essa agli Stati, sono riservati rispettivamente a ciascuno Stato o al popolo".
Nello schema costituzionale prevale un'articolazione piramidale del potere ma resta centrale la priorità delle convenzioni e degli usi locali (il localismo più estremo si ha nella gestione del territorio). La separazione dei poteri si è affermata invece come conquista dei diritti civili e si è realizzata utilizzando il principio dell'alternanza dei partiti nel controllo dei principali organi istituzionali. Per volere del corpo elettorale, Presidenza, Congresso e Senato da oltre cinquant'anni non sono più sotto il controllo del medesimo partito (cosiddetta prassi del "governo diviso").
Alcuni critici sostengono che il duopolio politico determini poca innovazione in sede di governo federale. Attualmente il dibattito è concentrato sui limiti dei poteri attribuiti alla Presidenza e al Congresso e sull'opportunità di stabilire con legge tali limiti.
Com'è noto, la debolezza organizzativa dei partiti rende esigua la partecipazione elettorale (il 48,5% alle presidenziali del 1996 contro la media dell'80% delle democrazie occidentali), ma si fa strada l'uso sempre più frequente delle consultazioni popolari (referendum) per influenzare le decisioni politiche al di fuori delle scadenze elettorali. Il politologo Theodore Lowi, studioso di istituzioni americane, sostiene che in America "vige un sistema funzionante ma non funzionale" e pensa agli interrogativi e alle aspettative della società civile alle soglie del terzo millennio. L'innovazione istituzionalizzata che caratterizza il dinamismo e la vitalità del sistema economico secondo Lowi ha interessato poco e in modo marginale la struttura di governo e il sistema politico.
Questi temi del dibattito sulle capacità di governo di una solida democrazia fatta di Stati federati e di agglomerazioni sociali composite suggeriscono diversi motivi di riflessione per l'architettura politica e istituzionale che dovrà essere adottata dalla futura Europa.
Qualcosa in questo senso è già scritto, ma la coalizione del New Deal che tanto ha insistito per il varo dell'euro senza rinvii dovrà lavorare molto per assicurare condizioni di stabilità che, se estranee a tentazioni egemoniche, passano in larga misura attraverso un progetto di riforma istituzionale di alto profilo, coinvolgente più livelli di governo. La governabilità dei singoli Stati dev'essere garantita da strutture centrali equivalenti in modo da consentire un agevole perseguimento di strategie comuni (il Governatore è un istituto presente in tutti gli Stati Uniti). Non può essere a lungo assicurata in negativo da "clausole di diffidenza" come l'anticipo del patto di stabilità imposto dal ministro delle Finanze tedesco.
In Italia si è pensato di migliorare il livello di governabilità lavorando attorno ad una parziale riforma costituzionale. La sensazione è che la capacità di governo resti adagiata su un letto di Procuste. Per l'alto livello conflittuale instauratosi tra i poteri istituzionali, per la scarsa sensibilità verso il principio dell'alternanza soffocato dal conipromesso consociativo, per il grado modesto di legittimazione politica (più di apparato che di partecipazione popolare), per la ragnatela di movimenti e formazioni politiche in competizione.
Intanto la società civile, delusa e disorientata, guarda in modo meno distratto alla realizzazione di un disegno europeo che conferisca ad un'Autorità federale forti poteri d'iniziativa e di indirizzo. E chi sogna di giorno - diceva Edgard Poe - vede molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte.


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