INTANTO IN AMERICA




M. B.



Che cosa si aspetta dalla nuova Europa un'America che è Paese di cosmopoliti e di indigeni, nazione che ha inventato Internet ma che ospita sette di Amish nemiche della tecnologia, dedite ancora oggi al calesse e al fuso per filare la lana? C'è chi teme il colosso venuto fuori da Maastricht e chi lo irride, chi lo interpreta come un'opportunità economica e chi si irrita perché persino in Bosnia (che è Europa) devono accorrere gli americani. C'è chi scommette sul Pacific Rim (l'alleanza Usa-Asia cara ai tecnocrati di Seattle) e chi invece considera la pozzanghera Oceano Atlantico il centro del mondo; chi è pronto a spiegare che l'eccesso di previdenza sociale porterà gli europei alla tomba, e chi, come i columnist del Washington Post, auspica per gli Usa una rete di sicurezza analoga a quella europea, non fosse altro che per avere intorno ghetti meno pericolosi.
Scettici sul futuro di quest'Europa sono i vecchi liberisti e i nuovi tecnocrati, personaggi che da noi andrebbero d'accordo col professor Sergio Ricossa: l'Europa? un continente vecchio che ha perduto la voglia di vivere e di fare; gli europei hanno sprecato per mezzo secolo montagne di denaro nei sussidi all'agricoltura, sicché il futuro della tecnologia èin Usa e in Asia. L'oscena battaglia dei contadini, guidata da leghisti e da nostalgici marxisti, in realtà è l'ultima apparizione del feudalesimo nel Vecchio Continente, una retroguardia capace di ammazzare ogni speranza di rinnovamento.
Insomma, gli americani sono amici o nemici di quest'Europa? Dipende di quale Europa si parla. Quella alla francese, orario di lavoro ridotto, bonomia socialista, alleanze mediterranee per bilanciare la Germania delle alleanze scandinave, trova pochi estimatori. Sulla rivista Foreign Affairs il professor Martiri Feldstein ha spiegato ai connazionali che in fondo l'Europa potrebbe non essere in gran forma strategica. Se - argomenta Feldstein - prevale l'Europa alla tedesca, Banca centrale egemonica, incuria totale per la disoccupazione, occhio fisso alle gelide cifre dei bilanci, l'attrito con la Francia provocherà instabilità. E prima o poi quest'Europa inciamperà.
Se, al contrario, prevarrà l'istinto politicosociale dei francesi, allora ci sarà una "Fortezza Europea" (come ai tempi di Carlo Magno, contro l'Islam) all'insegna del protezionismo, con la tutela dei bisogni locali, che non si cureranno del mercato globale, e dunque diventeranno sempre più deboli. Solo un vero passaggio ad una politica univoca, con una diplomazia unica, con un esercito unito, con una capacità di leadership mondiale, potrebbe scongiurare questi pericoli. Altrimenti, gli Stati Uniti d'Europa resteranno un miraggio.


Riportiamo la classifica della geopolitica (la forza strategica dei vari Paesi), stilata dalla rivista Economist per calcolare chi sarà il leader della prossima generazione, nel 2030: la realtà spinge gli Stati Uniti all'intesa con gli europei, intesa diplomatica e politica, ma anche economica, soprattutto se l'Europa sarà, come ha detto Agnelli, "all'inglese", cioè capace di mobilità nel mercato globale. Ma la difficoltà strategica degli europei appare nello studio dell'Economist in un altro aspetto. Gli Stati Uniti, per centralità geografica, culturale, economica, politica e militare, possono intrattenere relazioni sia con la Cina sia col blocco islamico (nel 2030 ci saranno più americani di origine araba che di origine ebraica). Insomma, con l'Africa ancora in faticosa rimonta, l'Asia, se domina, dovrà guardare all'America. E altrettanto dovrà fare l'Europa.
Non mancano, tuttavia, gli americani che invidiano agli europei la solidità sociale, i costumi, le tradizioni, un'identità forte che in America, spesso, finisce per essere garantita dalle soap opera televisive. E' E. J. Dionne, commentatore del Washington Post, di origine canadese e cattolica, per anni a Roma come corrispondente, a ricordare con i suoi editoriali che Welfare State, risparmio, famiglia e comunità non sono solo e semplicemente voci di bilancio economico, ma anche fattori di consenso umano e individuale che hanno, fin qui, evitato al Vecchio Continente gli orrori dei ghetti americani.
Dissente, sulla rivista conservatrice The National Interest, Cait Murphy, in un saggio dal titolo "I ghetti d'Europa": "Per anni gli europei hanno ironizzato sull'economia americana, vivace ma "crudele"[ ... ]. Il Vecchio Mondo, invece, avrebbe optato per la sicurezza, un'etica ugualitaria, ostile a quella del Nuovo Mondo, che è basata sull'opportunità e sul merito. Un tempo lo scambio era giustificabile. Ma non lo è più: che cosa rimane della sicurezza europea? Rendendo impossibile la creazione di nuovi posti di lavoro, l'Europa ha costruito, in buona fede, una rete di sicurezza sociale che esclude per sempre i nuovi poveri. Proprio quella classe la cui assenza rendeva finora tanto fieri gli europei".
Chi ha ragione? Quale Europa prevarrà tra quelle che oggi si alternano, come visioni, agli occhi degli americani? Nessuno lo sa. Ma si può giurare che gli americani si stanno preparando, dolorosamente e coraggiosamente, ad ogni evenienza, la migliore e la peggiore. Che cosa aspettano a fare altrettanto, gli europei?


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