MONTALE, PAGANO, E "LA DONNA DEI FIORI"




Gino Pisaṇ



"Ora che ho sentito Eliot recitare le sue poesie mi sono accorto che varrebbe la pena di emularlo, […] ma dove se non a Lecce?"
Eugenio Montale

"Caro Pagano, io la conosco benissimo, benché a Lei sembrerà strano". Così esordiva Eugenio Montale in una sua lettera inviata a Vittorio da Firenze (viale Duca di Genova, 38) il 19 gennaio 1948. Il testo è contenuto in quattro cartelle costituite da altrettanti fogli intestati a "Letteratura", la rivista fiorentina (con sede in palazzo Strozzi) che, fondata da Alessandro Bonsanti nel gennaio 1936 e da lui diretta, aveva appena terminato la sua prima serie di pubblicazioni bimestrali (1947). Il logo è cancellato a penna con fitte barrette trasversali.
L'occasione: Pagano, che per il poeta degli Ossi nutriva un'ammirazione "troppo calda" (v. infra), gli si era rivolto con autonoma iniziativa per avere informazioni bio-bibliografiche ed altre notizie sulla sua produzione letteraria più recente (Finisterre; Intenzioni) o comunque difficilmente reperibile a causa dei meccanismi editoriali ancora imballati per le dolorose vicende storiche da poco trascorse.
La prima edizione di Finisterre (Lugano, 26 giugno 1943, a cura di Pino Bernasconi) era stata tirata in soli 150 esemplari e comprendeva quindici liriche scritte dal '40 al '42 . Ma da poco (1945) era uscita a Firenze (ed. Barbera, a cura di Giorgio Zampa) una seconda edizione accresciuta di due prose e quattro nuove poesie: i due Madrigali fiorentini, Iride e Due nel crepuscolo (tutte le liriche di Finisterre confluiranno nella prima edizione, quella veneziana del '56, della Bufera. Intenzioni (intervista immaginaria)apparve invece nel 1946.
La richiesta di Pagano nasceva da duplice finalità. La prima, di ordine pratico: reperire, dicevamo, materiale bibliografico indispensabile per una tesi di laurea sulla poesia montaliana cui attendeva l'allora sua fidanzata, e poi consorte, Marcella Romano. La seconda, anch'essa del medesimo tenore, ma, direi, progettuale: convocare Montale a Lecce perché discorresse della sua poesia nell'ambito di una serie di incontri culturali patrocinati da un Comitato che avrebbe poi rimborsato al poeta le spese di viaggio. Sulla scia dei ricordi di Marcella Pagano e di altre informazioni in mio possesso (cfr. G. P., Lettere inedite di Ungaretti e Montale[a G. Comi], in "Sudpuglia", XVII- 1991, 3, p.82) credo di poter identificare detto Comitato nel leccese Circolo cittadino, il cui presidente, all'epoca (1948), era Giuseppe Zaccaria, sensibile alle pressioni culturali di Vittorio che, per il tramite di Giacinto Spagnoletti, aveva invitato a Lecce, nel maggio dell'anno precedente, Giuseppe Ungaretti. Il quale, accolto l'invito, tenne nei locali del sodalizio una memorabile conferenza su Leopardi (cfr. cronaca anepigrafa in "Libera Voce", V-1947, 26, p. 4 a firma di Yorg, pseudonimo di Vittorio Pagano).
Anche presso Montale è Spagnoletti a referenziare Pagano ("mi ha parlato spesso di Lei […] e in modo da destare la mia simpatia") dietro il quale, allineata e coperta, attendeva l'esito del contatto epistolare una piccola brigata di leccesi amici di Vittorio, anch'essi ammiratori del poeta ligure, come Tommaso e Iole Santoro, oltreché Marcella, la fidanzata.
Una terza, ideale finalità era, invece, segreta: l'inesausta necessità spirituale che induceva l'animo di Pagano a cercare interlocutori tra i Maestri della poesia italiana del Novecento per rompere il cerchio della 'solitudine' cui sembrava destinarlo la perifericità geografica della dimora salentina.
Ma la lettera a Pagano e le lettere a Comi (cui si è fatto cenno) non sono l'unico segno del rapporto Montale-Salento. Alle testimonianze epistolari se ne aggiunge un'altra: quella della signora Iole Guacci Santoro che incontrò il poeta a Milano presso la redazione del "Corriere della Sera". Frutto di quell'incontro è il disegno che Montale realizzò (e che qui si pubblica) sottotitolato "La donna dei fiori": siamo nella primavera del 1949. Il ritratto, effettuato con rapidi tocchi di penna, è, dunque, quello della giovane donna leccese, consorte dell'avv. Tommaso Santoro (grande amico di Comi e Pagano), all'epoca sulle tracce del poeta per ottenere direttamente da lui una copia dell'introvabile Finisterre.
Ebbene, Iole Guacci (devo a lei queste notizie che mi ha offerto nella sua ospitale casa leccese ritrovandole fra i ricordi), approfittando del fatto che a Milano viveva suo fratello, si reca in quella città e progetta di incontrare il poeta. Non sapendo come fare, telefona al "Corriere" chiedendo di Montale. Questi risponde e consente all'incontro. Accoglie nel suo ufficio di via Solferino la giovane ammiratrice.Ma Iole non si presenta a mani vuote: sorpresa da tanta disponibilità, acquista un mannello di gardenie che confeziona in un piccolo vaso effigiato alla maniera degli antichi crateri conviviali attici. Montale si sorprende a sua volta. Gradisce il bouquet, ascolta il motivo di tanta attenzione e, soprattutto, di sì lungo viaggio: Finisterre! Ma anch'egli ne è privo. Possiede una sola copia nel cassetto della sua scrivania. Allora indica a Iole Guacci un bar milanese dove potrebbe incontrare Luciano Anceschi (il critico, amico di Comi e Pagano, era fra i sodali dell' "Accademia salentina" e collaborava all' "Albero") per farsi dare da lui la plaquette. Iole ringrazia, saluta, va via. Attende Anceschi nel luogo indicato. Ma invano. Il giorno seguente torna delusa da Montale che, a sorpresa, estrae da un cassetto un libriccino un po' sdrucito. E' Finisterre. Lo consegna alla giovane donna pregandola di copiarlo e di restituirglielo appena possibile. Iole mantiene la promessa: il terzo giorno riporta il volumetto, con altre gardenie.
Montale si sorprende ancora e la invita a trattenersi per qualche minuto. Trascorreranno due ore. Le chiede notizie di Vittorio Pagano che immagina "nero come un tizzone … ardente". Ne conosce gli scritti: prose e versi giovanili. Poi di Vittorio Bodini, definito, con giocoso calembour, "fuorilecce" per il suo costume di viaggiare: libero con la sua ragazza. E ciò era segno di intelligente … trasgressione in quegli anni. Chiede poi delle cento chiese di Lecce, della pietra leccese di cui non sa immaginare il colore. "Color biscotto", risponde Iole. Montale sussulta. Il sintagma gli ricorda una sua lirica. Chiede di Macrì, di Comi e della sua Accademia, pronunciando questo vocabolo con malcelata, ma bonaria, ironia per quanto di astratto e retorico esso comporta. Iole sorride, lo rassicura dell'esatto contrario. Poi il poeta domanda di lei, ma ben presto è egli stesso a parlarle di suoi amori finiti.
Infine, il congedo. Non senza un ricordo tangibile: Montale estrae un foglio a caso fra i tanti già usati per minutare suoi scritti. Il recto è coperto di appunti autografi. Sul verso traccia in pochi minuti alcune linee. Ne esce il volto di Iole. E' "la donna dei fiori". Una stretta di mano suggella l'addio.

N.B. Ringrazio vivamente la signora Marcella Romano Pagano e la signora Iole Guacci Santoro per avermi autorizzato a pubblicare i testi in parola e per aver supportato la mia ricerca con i loro personali ricordi.

 


Avvertenza

a) La lettera a Pagano è dattiloscritta su fogli intestati a "Letteratura", formato cm. 14,5 x 23. Le aggiunte manoscritte (inchiostro bruno) saranno date, nella stampa, con sottolineatura. Ho preferito lasciare in tondo i titoli delle opere citate da Montale per non interpolare la scrittura spontanea, non ufficiale, perciò informale del poeta.
b) Sul recto del foglio che contiene il disegno di Montale è riportata una scheda critica manoscritta dal poeta: appunti inerenti all'attività letteraria di Henry Miller, scrittore americano figlio di genitori tedeschi. Montale lo chiama in causa citandone solo il cognome. Miller (1891-1980) visse una vita disordinata, spesso fatta di stenti. Fu per nove anni a Parigi (dal '30 al '39), ma girovagò per il mondo. Suoi autori preferiti furono Nietzsche e D. H. Lawrence al quale (oltre che al soggiorno parigino) Montale fa riferimento. Alcune opere milleriane sono dei pamphlets violentissimi contro l'America e la sua società puritana (The air-conditioned nightmare, 1945, Tropic of Cancer, 1934, e Tropic of Capricorn, 1939). Il colosso di Maroussi, qui citato e positivamente valutato da Montale, appartiene al genere odeporico: resoconti di un viaggio in Grecia alla ricerca "di un mondo di luce". Pubblicato nel '41, fu tradotto in italiano nel '48. Tempestiva, anzi recente la lettura che Montale ne aveva fatto, recensendolo nella primavera del '49 (v. infra, indicazioni esegetiche). Via Dieppe - new Haven, invece, è un racconto inserito nel volume Domenica dopo la guerra. Il formato del foglio è il seguente: cm. 19x25. Sul margine sinistro e su quello inferiore si notano geroglifici-abbozzi di ritratti, uno dei quali invade lo specchio testuale sovrapponendosi alla scrittura nella parte sinistra degli ultimi quattro righi.
c) Per quanto concerne l'edizione, si avverte che: con il segno Æ si intende "sostituisce"; con il segno Ø "una o più parole soprascritte"; con la barretta si riproducono gli a capo; con il punto interrogativo fra parentesi quadre si segnala un segmento grafico non del tutto decifrato; tra parentesi acute le lettere o le parole cancellate; fra parentesi quadre le mie integrazioni alle parole abbreviate.

La lettera a Pagano

Firenze, Viale Duca di Genova, 38 19 gennaio 1948

Caro Pagano,
io la conosco benissimo, benché a lei sembrerà stra/no. Mi ha parlato spesso di lei Giacinto Spagnoletti/e in modo da destare la mia simpatia. (Credo però/che a Giacinto Lei sembrasse troppo caldo mio estima/tore). Vorrei far qualcosa per favorire il compito/della Sua fidanzata, ma temo che da lontano mi sarà/poco possibile, anche perché non sono un buon corri/spondente epistolare. La signorina di cui mi parla/potrebbe consultare lo scritto autobiografico 'Inten/zioni' uscito due anni fa nel I fascicolo (anno I) della "Ras/segna d'Italia" di Flora; con errori che potrei correg/gere. La mia bibliografia è contenuta nel libro Liri/ci Nuovi a cura di Anceschi (ed. Hoepli): molti nume/ri sono importanti. Ad essa vanno aggiunti altri nomi/, p. es. quello del giovane Pasolini, autore di un Pa/scoli e Montale (rivista Convivium) di cui si dice/molto bene (io non l'ho letto), uno studio a firma/ R. Virgillito uscito un anno fa in "Humanitas" ecc. ecc./Occorerrebbe anche leggere la prefaz[ione] di Gianfranco/Contini a un Choix de poémes di E[ugenio] M[ontale] uscita a Gine/vra nel '45.
Quanto alle poesie mie successive a Finisterre (che/occorre tener presente nell'ediz[ione] Barbera e non nella /più smilza stampa di Lugano 1943) posso indicare/oltre "L'orto" e le 2 poesie di Società: la "Ballata/scritta in una clinica" (Il Ponte, anno I, n°5), "La/Primavera hitleriana"(Inventario n°3-4, 1947) e "Voce/giunta con le folaghe" (n°2 dell'Immagine a me dedica/to, con versioni, nota di Giovanni Macchia ecc.)./ Altre minori poesie: Da una torre (nel Politecnico/ uno dei primi numeri), Nella serra, (Il "45"/ n° I), Nel parco, (Lettere ed Arti di Milano n° 4, anno II).
Un libretto di mie versioni poetiche pubblicheranno fra poco/ le ediz[ioni] della Meridiana di Milano. Mondadori ristam/perà in tre volumi le mie poesie; Ossi di S[eppia], Le oc/casioni e Finisterre molto accresciuta. Cederna pubbli/cherà una mia traduz[ione] dell' Amleto di Shakespeare. Le/ mie versioni sono molte e non vale la pena di occupar/sene. Mondadori pubblicherà anche una scelta di miei/articoli critici, messi insieme da Anceschi.
Forse potrei dare più precise indicazioni se la Sua/fidanzata mi ponesse delle domande molto precise e/ concrete in forma di questionario; una sorta di in/ tervista (la citata "Intenzioni" era già una intervista/immaginaria).
Quanto a un mio viaggio a Lecce, Dio sa se mi piace/rebbe metter piede in terre dove forse non verrò mai/ più e dove posso contare aficionados come Lei; ma/ per ora non ne vedo la possibilità. Il solo viaggio/ Firenze Lecce e ritorno (io non godo di riduzioni/ ferroviare) e cerco di non viaggiare in terza classe/ sarebbe una grossa spesa. Inoltre il viaggio andreb/be spezzato- con conseguente ulteriore dispendio. Farei certo fal/lire il Comitato che mi invita e grande sarebbe il discredito in cui incorrerebbe Vittorio Pagano1. Pec/cato perché il testo (si tratta dell'auto-intervista/citata, con molte poesie inserite e recitate) è di/ effetto sicuro. L'ho già letto nelle Università di/ Ginevra, Friburgo e Zurigo2, con molto successo. In/ patria preferisco non esibirmi, ma Lecce è cosi fuo/ri mano che molte mie prevenzioni cadrebbero. Ora/ che ho sentito Eliot recitare le sue poesie mi sono/ accorto che varrebbe la pena di emularlo (almeno in/ questo); ma dove se non a Lecce? Lei forse non si/ immagina quale sia l'ambiente letterario dei così/ detti grandi centri italiani. Meglio restarne fuori.
Spero di non averla troppo scoraggiata con questa/ mia risposta. Specie per ciò che riguarda la biblio/grafia il compito della Sua fidanzata sarà arduo, se/ non dispone di una buona raccolta di giornali e rivi/ste. Oltre ai nomi da lei citati occorrerebbe tener/ conto dei giudizi di De Robertis, Gargiulo, Sereni, / Solmi, Varese, Ferrata, forse Pancrazi, ecc. Veda pure il giu/dizio espresso da Felice Balbo nel libro 'Il laborato/rio dell'uomo', ed. Einaudi, 1947); notevole perché mi/ stacca nettamente dalla corrente ermetica3, cosa in par/te vera ma non tale da far piacere a coloro che (come/l'amico Giacinto) pensano e sentono un po' troppo per generi e per / scuole.
Ancora grazie, caro Pagano, e i più cordiali saluti/ e auguri dal
Suo dev.mo
Eugenio Montale

1 Aggiunga che si tratta di una / settimana intera che andrebbe; ed io/ vivo di collaborazioni e di lavoro! (molto/malamente).
2 e nel prossimo marzo in quella/ di Oxford e di Cambridge.
3Era pure il pensiero di Giame Pintor.
P. S. Una mia poesia pubblicherà pure il/ pross[imo] numero (che esce a giorni)/ delle Tre Venezie.

L'autografo (su Miller)

Miller: tedesco americanizzato. Sensibilità notturna e inchiostrosa,/ (indi culto artificiale del sole, della luce). Lawrence era giustificato/ dal puritanesimo e dalla malattia, Miller no: ma reagisce contro/ un vero peccato; perciò i suoi libri, come quelli di Sartre, sono/ spesso oscuri ma non scandalosi ed eccitanti. Come scrittore M[iller]/ non ha la leggerezza e l'autenticità di Hemingway. Miller non/ ha portata sociale, ma è di quelli che passano dal comunismo/ alla teosofia e alla pederastia. Nemmeno si può dire che protesti/ contro la condizione umana come fanno gli esistenzialisti. Il suo/ sogno è un rousseauiano ritorno alla Natura, fonte di tutte le/gioie; non crede in riforme sociali, non crede e spera nell'/ al di là [sic]. Crede negli istinti. E', oggi, lo scrittore più direttamente vicino a Whitman, uno/ dei più lontani dal cavilloso sistematico, ma penetrante spirito joyciano.
Il suo limite artistico è che spesso ti fa dire: e a me che/ ne importa? Non ha la mano leggera. Nel racconto "Via Dieppe-/ new Haven" spiega come mai gli inglesi abbiano respinto alla/ frontiera lui disoccupato, senza un soldo e senza un'idea del/ perché egli sbarcava. Vorrebbe gettare onta sugli inglesi e il lettore e il lettore/ dà invece ragione ad essi. Perciò- pur essendo sincero-/ Miller è costretto a far la vita dell'esteta: Parigi, California, / è detto tutto. Il suo punto più luminoso è stato sinora la/ scoperta della Grecia. Togliete al Colosso di Maroussi tutte le/ ripetizioni e ne avrete una delle più belle proiezioni di sé / in un impianto [?] mitico che scrittore moderno abbia fatto.
[Eugenio Montale]

Indicazioni esegetiche e bibliografiche

Whitman, di cui si parla nel testo è Walt Whitman (1819-1892), poeta americano che si formò leggendo soprattutto Omero, Dante, Shakespeare, Ossian (i poeti "primitivi" cari ai romantici) ricavandone suggestioni profonde che lo accostarono alle teorie di Rousseau (qui citate da Montale) e del socialismo umanitario le quali penetrarono, poi, nella sua opera maggiore e più diffusa: Leaves of grass ( 1855) e Democratic vistas (1871). La sua poetica più matura influì in qualche misura sul futurismo e su D'Annunzio di Laus vitae con Song of Myself.
Quanto alle notazioni critiche su Miller, Montale le utilizzò sviluppandole in un articolo Trionfo e decadenza dei libri in "busta chiusa" apparso sul "Corriere della Sera" del 15 maggio 1949 ed ora in E. Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a c. di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 1996, I, pp. 810-15. Dal confronto fra l'avantesto qui pubblicato e il testo definitivo emerge quanto segue: ritornano molti dei passaggi e dei sintagmi presenti nella prima stesura, mentre emigrano altri che rimarranno, fin qui, inediti. Per consentire anche al lettore una collazione fra i due testi, riportiamo i luoghi confluiti nell'elzeviro dall'abbozzo originario, sia pure variati da Montale in un nuovo impianto sintattico-lessicale. Altresì interessanti mi sembrano poi quei passi che non trovano riscontro nella stesura definitiva, come il giudizio conclusivo sul Colosso di Maroussi. Ecco quanto scrive Montale nell'articolo citato: "[…] alla sua [di Miller] figura di anarchico estetizzante due sfondi tipici: la Parigi degli americani ubriachi […] e il Big Sur della California […]. Henry Miller, un tramp, un vagabondo che protesta, […] uno sradicato, un celebratore della vita degli istinti; un buon testimone della crisi contemporanea, interessante sempre, ma privo del genio verbale di Joyce e del profondo tormento morale di un Lawrence […]. Entro quali limiti vada rettificata questa prima impressione, valgono a chiarire tre libri minori di Miller […] e particolarmente […] un libro sulla Grecia, Il Colosso di Maroussi . Henry Miller fa un balzo innanzi nella nostra stima […]. Prevale […] il sole in questo Colosso […]. Giunto tardi in Grecia, Miller ha sentito snebbiarsi là quella sua sensibilità notturna, direi quasi inchiostrosa […] che le sue origini tedesche […] riescono forse a spiegare. […]"E a me che me ne importa?" […] . E' la domanda che purtroppo si pone il lettore in uno dei più impegnativi racconti milleriani: Via Dieppe - New Haven che si trova nel volume Domenica dopo la guerra. In esso il Miller ci dice come e perché privo di quattrini, privo di referenze, privo del visto sul passaporto, privo insomma di tutto, egli sia stato respinto dalla polizia britannica. […] E' un diario di viaggio […] un atto d'accusa contro l'Inghilterra; […] la generale protesta che corre in tutti i libri di Miller non è giustificata, come quella di Lawrence, dal moralismo puritano e dalla malattia. Non c'è in lui la reazione a un peccato sentito come tale. Perciò i suoi libri maggiori - i due Tropici - sono, come quelli di Sartre, osceni senza mai trovare una vera giustificazione erotica. […] Miller è troppo esteta […]. E neppure si può dire che Miller protesti contro l'assurdità della condizione umana, come fanno gli esistenzialisti. La sua è piuttosto una celebrazione della fondamentale bontà degli istinti; ma Miller è un Rosseau senza miti sociali, un Whitman privato di ogmi ottimismo […]. L'anarchia è la strada che l'uomo deve seguire per diventare un dio o un semidio terreno come il Colosso di Maroussi nel quale la natura pulsava liberamente, risolvendo in lui tutte le sue contraddizioni.


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