Pura Sinfonia - 3




Sergio Bello



Scrive il Carpani: "Questo Sammartini era uomo singolare. Eccovene una piccola biografia, giacché la fama non ha parlato di lui quanto meritava. Nacque in Milano verso la fine del secolo XVII; fu prima sonatore d'oboe, e poi di violino. Devesi a lui l'uso del mordente, delle note sincopate, delle contro-arcate e delle punteggiature continuate; le quali grazie, se pure si conoscevano, non erano in grande uso...". Sammartini, così come Haydn, dotato di una mente creatrice, imparò il contrappunto da sé, e si diede a scrivere musica strumentale, soprattutto dei Trio e delle Sinfonie. Il generale Pallavicini, (nominato Ministro plenipotenziario di Milano nel 1745), gli fece comporre le prime Sinfonie a grande orchestra. Esse venivano eseguite en plein air "sulla mezzaluna della cittadella, a divertimento dei cittadini che a diporto trovavansi nella sottoposta spianata le sere d'estate".
Carpani prosegue affermando che fu in quelle Sinfonie che si sentì per la prima volta il giuoco separato delle viole, che in passato suonavano col basso; e fu la prima volta che si ascoltarono movimenti continuati di secondi violini, "i quali si fecero con bella novità scorrere per un modo tutto diverso da quello dei violini primi". Ciò soprattutto perché Sammartini aveva cognizione pratica di tutti gli strumenti, tanto che fu da lui che la apprese lo stesso Gluck, "stato per più anni suo scolare". Se a tutti questi pregi Sammartini avesse sommato una più fondata teoria e una maggiore applicazione, avrebbe dato all'Italia il suo Haydn, prima ancora "che lo avesse l'Alemagna...".
Di questo straordinario autore parla anche il Burney nel suo "Viaggio musicale": "La parte strumentale delle sue composizioni è fatta a meraviglia. Nessuno degli esecutori può restare lungamente in ozio. I violini soprattutto non hanno mai riposo: si potrebbe peraltro desiderare ch'egli ponesse la briglia al suo Pegaso, poiché sembra portarsi seco il cavaliere fuggendo di scappata. E, per parlar fuori di metafora, la sua musica piacerebbe ancor più se fosse meno ricoperta di note, e men ripiena d'allegri; ma l'impetuosa foga del suo genio lo sforza a percorrere una successione di rapidi movimenti…".
"Mi resta a spiegarvi - sostiene senza giri di parole Carpani - come l'Haydn di Vienna potesse trar profitto dai parti originali e numerosi del Sammartini di Milano. Non mi sarà difficile... Prima del Pallavicini era stato Governatore della Lombardia austriaca il conte d'Harrac. Questi aveva il primo portata a Vienna la musica del Sammartini, la quale subito ottenne applausi e voga in quella gran capitale, così amante d'un tal genere di passatempi... L'Haydn, giovinetto e studioso, poté e dovette udirla più volte, e più ancora quando passò dal servizio del conte di Mortzin a quello del principe Nicola Esterhazy, dove se ne riceveva di nuova ogni mese, attesoché il principe fissato aveva al suo servizio anche la lontana penna del Sammartini... L'Haydn poté contrarre facilmente il gusto del Sammartini ed imitarne le mosse, il fuoco, il brio, e certe belle stravaganze che regnano in quella musica piena di idee e di invenzioni".
Un esempio? "Osservate nel primo quartetto di Haydn in Beffà, al principio della seconda parte del primo tempo, quel movimento di secondo e viola; e voi che conoscete lo stile del Sammartini, dite se quello non gli somiglia...".
Si mormorò per qualche tempo che alcune delle Sinfonie che Haydn offriva al principe Esterhazy come proprie e che come tali furono poi sempre ritenute appartenessero in origine proprio al Sammartini, avendo avuto soltanto "il ritocco della penna più colta di Haydn". Difficile dire quanto possano le dicerie nascondere una qualche parte di verità. Quel che invece è storicamente provato è l'aneddoto secondo cui Mysliweczech (conosciuto anche come il Boemo, compositore tedesco), trovandosi a Milano in un concerto e udendo per la prima volta le "vecchie sinfonie di Sammartini" (sono parole del Fétis), gridò: "Ho scoperto il padre dello stile di Haydn!". Dov'è il problema, per smentire (non facilmente), o confermare (con più di una ragione) la "scoperta" del Boemo? In una sola cosa: nel fatto, purtroppo, che Sammartini pare abbia scritto tremila opere, mentre a noi ne è giunta "solo la millesima parte". Troppo poco per poter esprimere un giudizio inappellabile. Abbastanza per cogliere il genio creativo del Milanese.

(3 - continua)


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